#raccontamiunastoria

ecco le vostre storie di accoglienza: storie di scelte, di ricerca, di tentativi e insuccessi ma anche storie di amicizia, crescita e pienezza.

 

Latte e miele: uno stile di Gruppo

Ad un certo punto della mia vita scout arrivò il momento di stare dalla parte dei genitori.

In verità già ero la mamma di una lupetta, Agnese, ma quasi non contava perché ero anche la Capo Gruppo, nonché l’ex capo di quasi tutti i membri della Comunità Capi, insomma ero il classico Capo/Genitore storico del Gruppo. Con Marta cominciava, invece, un’altra storia, un percorso completamente nuovo di cui non avevo assolutamente idea di come sarebbe andata.

Di Marta, ero solo la mamma.

Tentavo, con mio marito, l’inserimento di una ragazzina cieca con tratti autistici, nel reparto presente nella nostra Parrocchia di Regina Pacis a Monteverde, il Roma 148. L’idea non era stata nostra, ma della neuropsichiatra. Conoscevo bene sia mia figlia che lo scautismo e pensavo, allora, che non fossero conciliabili. Per questo Marta non aveva seguito le orme della sorella.

Il fermo suggerimento della neuropsichiatra, però, ci/mi mise alle strette.

Se reparto doveva essere, doveva essere quello di quartiere dove io fossi solo la mamma di Marta e Marta avesse un contesto tutto suo.

Una domenica di gennaio, dopo la Messa, ci presentammo un po’ timorosi ai capi. La frase con cui ci rispose Alessio, allora capo reparto, rimane per noi a tutt’oggi, la sintesi dell’accoglienza: “Mi avete preceduto, è tempo che vedo questa ragazza a Messa e avrei voluto chiederle io  se voleva entrare negli scout”. Per i genitori di un figlio disabile, che è quasi sempre trasparente a chi lo incontra, le parole di Alessio furono letteralmente latte e miele.

Accanto all’accoglienza, Alessio e Chiara mostrarono immediatamente la loro serietà. Prima di darci una risposta chiesero un incontro con noi per conoscere i problemi di Marta e un po’ di tempo per parlarne in Comunità Capi, per capire se fosse possibile elaborare un progetto per lei. Già questo bastava per dar loro fiducia, insieme alla risposta di Marta cui sarebbe piaciuto molto andare agli scout “come Agnese”.

Marta ha percorso dieci anni, dalla Promessa alla Partenza, nel Roma 148, poi Roma 17, oggi Roma 19.

E’ stata una vera “progressione personale” in cui la scoperta, la competenza e la responsabilità sono state giocate attraverso esperienze concrete personalizzate, capaci di tener conto dei limiti, ma anche dei talenti di Marta. Il suo sentiero in reparto e la sua strada in clan sono stati “pensati” e “cercati” dai capi unità e dalla Comunità capi nei tempi giusti perché fossero comprensibili e adeguati a lei. E mentre ciò avveniva, l’unità dov’era inserita percorreva un sentiero di scoperta, di competenza e di responsabilità nei confronti di Marta.

Nonostante volessi essere solo la mamma di Marta, negli anni, non ho potuto fare a meno di osservare con l’occhio della capo, apprezzandola enormemente, la graduale maturità del Gruppo nell’accogliere e nel proporre a mia figlia il suo percorso scout.

Dietro l’inserimento di Marta in reparto ci fu un progetto scandito da fasi gradualmente più impegnative che l’accompagnarono a conoscere la squadriglia, a sperimentare alcuni giorni di campo, a pronunciare la Promessa. E poi a partecipare alle riunioni, alle uscite e ai campi, a prendere la specialità di musicista, a raggiungere alcune tappe, a ricevere il totem dalla comunità. Se gli anni del reparto furono per Marta impegnativi e sicuramente non sempre facili, il coraggio di farla salire al noviziato e la seguente vita di clan, progettata anch’essa con cura dai capi, furono ampiamente ripagati dall’entusiasmo con cui Marta partecipò alla branca R/S.

In noviziato e ancor più in clan, Marta ha vissuto con un gruppo di pari che l’ha sentita e fatta sentire parte della comunità e dove ha potuto sperimentare la fraternità e la solidarietà.  Ha partecipato a tutte le routes organizzate in modo che, con piccole attenzioni alle sue problematiche, le permettessero di godere al meglio dell’esperienza ed è sempre tornata cresciuta.

Le immagini più vive e più belle di mia figlia in clan sono quelle del ritorno dai due campi all’estero: il campo in Romania e il cammino di Santiago. E’ difficile poter raccontare quello che vedemmo, mio marito ed io, al ritorno del clan all’aeroporto. Fu un’emozione intensa e profonda. Marta con tanti ragazzi: entusiasta come loro, allegra come loro, l’uniforme un po’ stazzonata come tutti, la zaino sbilanciato sulle spalle e un sorriso che le illuminava tutto il volto. Appariva più alta, più grande, più sicura e, più che altro era proprio una di loro.

Marta si è sentita e si sente tuttora scout. Sa che con la partenza la sua permanenza nello scautismo è terminata, ma non ha dimenticato l’intensità delle esperienze che ha vissuto. Un odore, un luogo, un sapore, un canto, un ambiente le riportano alla mente il suo vissuto “come con gli scout”.

Come genitori sappiamo quanto determinanti per la stima di sé, per l’autonomia, per il distacco dalla famiglia, per l’inclusione, siano stati i dieci anni nel Gruppo. Faticosi, gioiosi, formativi, entusiasmanti, unici, come per tutti gli scout, ma per Marta di più. Il reparto e il clan le hanno dato la possibilità di confrontarsi con una comunità di pari che l’ha accettata e trattata come una di loro, senza sconti o pietismi, accogliendola così com’è. Non è frequente. Ma so che anche Marta ha lasciato qualcosa di sé: l’ironia, alcune battute, il suo buffo linguaggio, la musica, le chiacchiere notturne e i suoi mitici panini.

Tempo fa ho incontrato una capo, da poco entrata nel Roma 19.

  • Ah, ma lei è la mamma di Marta – mi fa dopo un po’ che parliamo.
  • Perché la conosci? Io non mi ricordo di te…-
  • No, di persona non la conosco, ma in Co.Ca è un personaggio… ogni tanto esce fuori una frase “alla Marta”. Sua figlia deve essere un tipo simpaticissimo…

Altro latte e miele a distanza di quindici anni… allora è… uno stile di Gruppo!

Lucina Spaccia, la mamma di Marta

Taddeo

Quando chiama non si capisce mai quello che dice: inizia a balbettare, farfuglia e attacca il telefono dopo mezzo minuto. Lo frega l’emozione,  ma Taddeo ti cerca per chiederti di continuo quando si fa quella cosa che lui ti ha proposto, quando ci si vede, quando quando quando.

Il primo anno facciamo un bellissimo albero insieme, su ogni ramo ci sono i cartoncini dei compleanni di tutti i ragazzi del Reparto. Taddeo non scrive bene, ma con i cartoncini se la cava e l’albero viene bene. Quando andiamo in uscita si lamenta e vuole tornarsene a casa perché -mi dice – “lì ci sono tutte le comodità che in tenda non ci sono”, “qui piove, è umido, si sta scomodi e poi a casa yuk yuk: tv, patatine cellulare”. Ridiamo insieme. Tutti e due stiamo al gioco. Alla fine è un ragazzo che si diverte. E’ simpatico e tutti gli vogliamo bene nonostante qualche volta si metta di traverso e non si smuove neanche se…

Insomma Taddeo in Reparto è un protagonista, a scuola meno. Ha la certificazione, i ritardi cognitivi che lo escludono, ma lui non si arrende. Si sente forte nonostante tutto, perché come sa fare lui il Fuoco di Bivacco non lo sa fare nessuno. In classe sua quando sono andati in gita alla Fattoria Didattica lui ha stupito tutti perché era l’unico a sapere accendere il fuoco, a cucinare alla trappeur. La sua Squadriglia ci ha visto bene e infatti è riuscita fargli percorrere il Sentiero fino al Brevetto e quando è tornato dai campo di competenza, una sera -la prima sera di Campo- si è messo ad armeggiare intorno al grande cerchio di sassi per fare un fuoco riflettente.

Da quella sera intorno a Taddeo dopo cena di formava sempre una piccola folla che voleva imitarlo e lui coi suoi modi scomposti e arruffoni insegnava agli altri e così ogni sera avevamo un tipo di fuoco diverso: fuoco di scena, riflettente, per cucina trappeur, pire, capanne … insomma è stato il protagonista del campo e nessuno ha più visto Taddeo come un ragazzo che – “poverino” – ha bisogno, perché gli altri hanno scoperto che per accendere un fuoco erano loro ad avere bisogno di lui.

Luciano Coluccia

Indomit’Alice, il cuore me lo dice

sono il papà di Alice, una lupetta del Genzano 2.

Sono anche un capo scout brevettato che ha trascorso molta della propria vita tra route, viaggi e campi, con gioia e entusiasmo, condividendo la mia strada con tanti ragazzi.

Nel 2008 è nata Alice, a quel tempo ero un capo Clan che aveva programmato un paio di anni di uscita dal servizio come capo unità, 

proprio per essere presente a casa con la mia cara Manu anche Lei capo scout.

Dopo pochi mesi di vita Alice mostrò i sintomi di una grave malattia genetica,la Sindrome di Aicardi Goutierres. 

I due anni di pausa si trasformarono in quasi otto con molti, troppi ricoveri e altrettanto dolore, che ha lasciato cicatrici e che ha sicuramente cambiato sia il mio modo di ridere che quello di mia moglie.

Scrivo ‘cambiato’ perché dopo tanto lavoro su noi stessi non abbiamo perso quel sorriso sincero che bisogna saper tirare fuori nella vita e nei momenti di gioia.

Tanto dolore se trovi la chiave per reagire porta anche a saper gioire di poco, pochissimo.

Dopo otto anni sono rientrato nella comunità capi, comunità che nn era mai uscita dalla mia casa.

I ragazzi del vecchio clan venivano e vengono tutt’ora a trovarmi quando possono anche se molti vivono fuori dall’Italia.

Ho portato Alice nei lupetti e sono rientrato come capo che la segue nel suo percorso Scout.

Alice vive su una sedia a rotelle non parla ma è molto viva intellettualmente. Sa farsi capire subito e coi sui occhietti ti dice cosa vuole, cosa la interessa.

Parallelamente abbiamo fondato una associazione, Indomit’Alice Onlus, per aiutare i bambini e i genitori che come noi si trovano ad affrontare la vita di tutti i giorni in maniera molto diversa da quella che in genere una famiglia affronta.

Proprio per evitare che famiglie come la mia si sentano sole di fronte ai tanti problemi che la disabilità comporta, Indomita’Alice onlus programma molti eventi annuali e cerca di farli sempre tra ragazzi con disabilità e ragazzi normodotati utilizzando il gioco principalmente come metodo educativo.

Cari Capi Scout utilizziamo il metodo che abbiamo appreso nello scoutismo per far divertire tutti, per lasciare un segno, una traccia da seguire utile a chi ci frequenta. Per far ricordare a tutti che si può sempre sorridere.

Questo grazie anche al mio gruppo di appartenenza che si è messo in gioco in maniera formidabile.

Tutti gli anni oltre agli enventi mensili, organizziamo una festa dove partecipano tanti ragazzi e adulti e durante la quale proponiamo momenti di puro divertimento educativo pensati per tutti.

Credo che insieme sia venuta fuori una ricetta bellissima per portare avanti un discorso che sembrerebbe piu grande di noi.

Ma non ci pensiamo mai a questo, la nostra forza è pianificare gli eventi e formare pattuglie che con l’aiuto di volta involta di tanti amici competenti portano avanti il progetto.

Ed intanto Alice cresce felice e pure tutti noi ai quali ha insegnato che la vita a volte è dura ma noi siamo ancora piu indomiti ed andiamo avanti col sorriso: “tutti felici tutti diversi”.

Il mondo scout deve ricordarsi sempre che è cresciuto nei piccoli oratori nelle chiese e non deve mai perdere il contatto con il proprio territorio.

Il metodo scout fa della esperienza il suo punto di forza: Impara, metti in pratica e insegna la tua competenza. 

E solamente con esperienze forti si diventa migliori cittadini del mondo, perché sono quelle che ti fanno crescere e ti mostrano la vita da un’altra prospettiva.

Quindi buttiamoci sempre nella mischia per fare del nostro meglio, per fare la differenza, mai da spettatori.

Un caro saluto Capi,

Pier Paolo Zaccagnini

Criceto Sognatore

 

Un bicchiere mezzo pieno

Ciao io sono Livio capo scout di Porto San Giorgio nelle Marche e faccio servizio in Branco. Sono Wontolla. Circa 14 anni fa ho incrociato nella mia vita una compagna di strada che mi accompagna sempre: la disabilità a causa di una malattia che c’è ma non si vede. Nel 2004 quando avevo 30 anni mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla. Nel raccontarmi sono molto sereno e come dicevo in una testimonianza a Lourdes durante il pellegrinaggio nazionale dell’unitalsi (sono anche baralliere nell’unitalsi attività di servizio che non ho mai troncato e che porto avanti tuttora come quella scout) non mi sento uno sfigato non me la prendo con il Signore con la vita. La sclerosi multipla colpisce a random e potrebbe capitare a chiunque. Una sentenza che ti può distruggere psicogicamente ma il mio carattere estremamente positivo e la mia fede che era forte e si è rafforzata molto di più mi ha permesso e mi permette di affrontare la vita con serenità e grande ottimismo. Per me il bicchiere è sempre mezzo pieno e vedere la vita in maniera positiva non significa non affrontare i problemi ma viverli con un altro spirito. Io ho deciso che difronte a nsituazioni imprevedibili come questa di affrontarla. Non posso guidare perché il neurologo me lo ha sconsigliato. Pazienza. Non possp fare più le escursioni in montagna. Pazienza. Ma i neurologi consigliano di camminare con i bastoni. Seguirò questo consiglio e qualche passeggiata la farò.

Livio Panittieri

 

Matteo

Matteo è un ragazzo sordo, cardiopatico e con un ritardo mentale medio/lieve. Nonostante ciò la sua famiglia ha deciso di fargli intraprendere il cammino scout nel gruppo in cui vi era sua sorella minore di tre anni. Il suo percorso è stato ritardato in modo tale che fosse considerato della sua stessa annata, perché lui ha un grande attaccamento verso lei e grazie alla sua presenza si sente più sicuro poiché è un grande punto di riferimento.
Tendenzialmente ha sempre fatto tutte le attività come gli altri ragazzi, ma con alcune differenze per via della cardiopatia, poiché non può salire sopra gli ottocento metri e non può camminare a lungo. I campi estivi, infatti, sono sempre stati cercati sotto quell’altezza in modo da permettere la sua partecipazione. Questa è stata graduale, partendo da due o tre giorni e arrivando a una settimana, nel periodo in cui le attività erano meno faticose, così poteva partecipare completamente. La sua presenza è sempre stata seguita con un programma ad hoc per lui: viveva le esperienze assieme agli altri, aveva vita di squadriglia, ma quando c’erano delle attività troppo faticose, diventava un aiuto capo reparto e aiutava nella gestione dei ragazzi.
Dopo il reparto si accede a un anno di noviziato. Matteo non ha vissuto questa esperienza appieno per due motivi: il primo era quello di lasciare un anno di “libertà” alla sorella, il secondo era che le persone con cui aveva stretto i legami più forti erano già passate in clan; quindi i capi hanno deciso di fargli trascorrere un anno particolare a cavallo tra il reparto e il noviziato: principalmente faceva attività con il reparto e periodicamente si ritrovava con il noviziato, in cui erano strutturati momenti solo per lui, dove raccontava quello che aveva vissuto in reparto e altre attività che faceva, in modo tale da tener vivo il legame con i ragazzi del noviziato, ma aspettando l’anno di passaggio in clan. Ora è al suo secondo anno di clan, la vita di comunità la trascorre molto serenamente. Matteo non riesce ad esprimersi bene, essendo sordo ha difficoltà nel modulare la voce e, a causa del ritardo, ha un linguaggio molto deficitario. Tuttavia i ragazzi che hanno trascorso tanti anni con lui hanno trovato il modo di comprenderlo e infatti riescono a comunicare con lui. Nonostante la difficoltà nella conversazione, i ragazzi hanno stretto con lui un bel legame.
Le route di cammino le percorre in parte non potendo camminare troppo, quindi il clan si divide in gruppi che lo accompagnano tappa per tappa in treno. Arrivando prima degli altri svolgono delle piccole attività di cui portano un resoconto al resto del clan la sera. Quando la route è troppo difficile, viene mandato comunque a svolgere una esperienza di servizio come cuoco in branco o in reparto. In questi casi, poiché non sa cucinare, Matteo ha tanti piccoli compiti che scandiscono la sua giornata, come ad esempio scrivere il menù, leggerlo ai ragazzi e apparecchiare.
Avendo problemi a livello comunicativo predilige avere delle mansioni concrete da svolgere. Cerca speso il confronto con il capo di riferimento e vuole sempre sapere quello che succederà o si farà. Durante le riunioni c’è sempre un momento in cui lui è protagonista: raccontando qualcosa o ponendo domande. Hanno sempre cercato di renderlo il più partecipe possibile. La sua partecipazione agli scout lo ha aiutato moltissimo. Appena entrato non seguiva le regole, faceva quello che voleva, il suo unico modo di rapportarsi con gli altri era morsicarli. Nel tempo, un obiettivo dopo l’altro, ha imparato a calmarsi, a rispettare le regole e i momenti. All’inizio trovava molto difficile la separazione dalla famiglia per partire per le uscite. Tutt’ora ha qualche difficoltà, ma preparandolo per tempo, descrivendogli tutte le attività che si faranno e rassicurandolo, riesce a partire senza troppi problemi.
Lo scautismo è diventato uno dei suoi punti di riferimento soprattutto da quando ha finito la scuola e quindi la sua routine si è interrotta. Lo ha aiutato nelle conquiste personali e nelle autonomie. Anche i genitori sono molto contenti dell’esperienza che Matteo ha vissuto, si sono sempre molto affidati ai capi con i quali hanno creato un forte legame di fiducia che ha permesso di chiedere ai genitori di fare un passo in dietro per lasciare una maggiore autonomia al figlio. La staff, durante l’anno, va spesso a casa sua per confrontarsi con la famiglia sugli obiettivi su cui lavorare durante l’anno.

 

Maddalena Pioli – Parma 6

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