Ci vuole un bel coraggio

Davvero ci vuole coraggio per fare i capi scout? Sì, anche se non ci viene spontaneo ricordarlo. Quando capita di porci la domanda “Ma chi me lo fa fare di farte il capo?!”, la risposta “Perché sono coraggioso” non è la prima che viene in mente. Epperò, tutte le altre risposte che ci diamo (“Perché amo il servizio”, “Perché educare è il mio modo per lasciare il mondo un po’ migliore” ecc.) a ben guardare hanno nel fondo quella motivazione di cui non sempre siamo consapevoli ma che è bene riconoscere: noi siamo capi perché siamo coraggiosi.

Perché ci vuole coraggio a mettere tanto del nostro tempo (quindi tanta della nostra vita) a disposizione degli altri. Ci vuole coraggio per “dare senza contare”. Senza contare le ore dedicate alle riunioni con i ragazzi, le serate passate agli incontri di staff, di Comunità Capi o in Zona, i giorni e le settimane intere impiegate per i campi delle unità, per le route o per i campi di formazione… Ci vuole coraggio per fare tutto questo anche quando l’entusiasmo si attenua e prevale la sensazione dello sforzo e della fatica. Allora, insieme al coraggio, vengono fuori anche il nostro carattere, le nostre convinzioni, la nostra tenacia… Ci vuole coraggio, a volte, per non mollare!

Ci vuole coraggio a fare gli educatori e a trasmettere i valori in cui crediamo quando tutto intorno a noi sembra “remare contro”; quando è chiaro che stiamo andando controcorrente e non sappiamo quanto i nostri sforzi riusciranno a orientare le scelte dei nostri ragazzi nella direzione che vorremmo. Eppure viviamo in un momento storico nel quale non solo dobbiamo avere e testimoniare coraggio, ma siamo anche chiamati a trasmettere coraggio. Oggi a tutti, ma in particolare ai ragazzi e ai giovani, viene chiesto un supplemento di coraggio che conduca a un’apertura di credito in termini di fiducia nei confronti di se stessi e del mondo. È urgente avere il coraggio della fiducia e, al tempo stesso, fiducia nella convinzione che si può essere coraggiosi. Soprattutto nelle scelte più impegnative, come quella – importante per noi educatori – di non sfuggire di fronte alle domande fondamentali dell’esistenza, agli interrogativi che, se posti in maniera costruttiva e seria, sono in grado di orientare una vita. E non serve nascondere le difficoltà di un cammino di ricerca che i ragazzi e i giovani sentono impervio e ostico da compiere, oggi più di ieri. Perché tutto sembra distoglierli dall’intraprenderlo e troppi sono i messaggi che li martellano spingendoli nella direzione del disimpegno. Pare, insomma, che prevalga un sentire comune secondo il quale “non vale la pena” mettersi su una certa strada e nel clima odierno, pervaso da un senso di precarietà che ingenera sfiducia in un futuro apparentemente avaro di prospettive rasserenanti, la chiusura in un presente nel quale limitare al massimo le preoccupazioni sembra l’unica soluzione in grado di evitare lo scoraggiamento. Soluzione che rende difficile progettarsi in un “domani” che appare lontano (o si vuole mantenere tale) e limita lo sguardo agli spazi angusti di una vita vissuta a brevi tappe di corto respiro.

Educare oggi significa far nascere nel cuore dei ragazzi e dei giovani l’urgenza di una prospettiva nuova, che li faccia guardare con fiducia al fururo e che li aiuti ad affrontare e a dare risposta a problemi e interrogativi che sanno di non potere rimandare all’infinito… Ma per fare questo – oltre ad avere già percorso per primi la strada sulla quale si vuole guidare anche i nostri ragazzi e le nostre ragazze – ci vuole coraggio! Ed è un coraggio che i ragazzi e i giovani spesso non riescono a darsi da soli: occorre aiutarli, fare intravvedere la bellezza di un cammino che ha condotto noi e può condurre anche loro ad avere maggiore sicurezza, maggiore serenità vera, non la tranquillità ingannevole che viene dal non voler affrontare i problemi.

Ci vuole coraggio per accettare la sfida di un cammino da proseguire, a livello personale, anche sul sentiero della fede. Un sentiero per alcuni difficoltoso, per altri persino smarrito o interrotto, e quindi da riscoprire, rimettendosi in discussione. Ci vuole coraggio per accettare la cura, il farsi avanti, la “tenerezza” di Dio, come dice papa Francesco: perché sono una cura e una tenerezza che disarmano, mettono a nudo la coscienza, portano all’essenziale e non ammettono alibi o fughe. Ci vuole coraggio per affidarsi al Signore.

Ci vuole forse ancor più coraggio nel momento in cui l’essere capi-credenti sollecita direttamente le nostre scelte in campo morale ed esige una coerenza talvolta non facile, che viene sentita come un peso insopportabile, perché ancora ci pone nella condizione di chi procede contro corrente. È inutile nasconderci lo scollamento che per alcuni esiste tra una fede abbracciata con sincerità e comportamenti che paiono in contraddizione con essa. Sappiamo anche che in molti tutto questo crea un senso di lacerazione, aumenta la sfiducia, alimenta sensi di colpa che ingenerano scoraggiamento e possono indurre a “gettare la spugna”, soprattutto quando ci si sente inadeguati nell’affrontare gli interrogativi e le provocazioni che i ragazzi pongono. Eppure, anche in questo caso ci vuole coraggio ad accettare il fatto che la maturazione di certe scelte esige la pazienza di un cammino lungo, talvolta anche tormentato: sono un punto d’arrivo, non un punto di partenza. E questo non deve levarci il coraggio di indicare comunque, anche ai ragazzi, una meta a cui tendere, se davvero ci crediamo. Una meta alla quale si arriva attraverso un percorso fatto di piccole tappe intermedie, senza nascondersi difficoltà e ostacoli che sono di tutti. A volte ci vuole il coraggio di portare il peso dell’incoerenza per potere proseguire nel cammino della fede, che è molto più grande e molto più luminoso di qualsiasi contraddizione. Ed è importante che i ragazzi percepiscano, accanto alla nostra debolezza, anche tutta la forza del coraggio che ci rende perseveranti. Perché questo coraggio è contagioso e aiuta ad avere la forza della sincerità e dell’impegno, con tutta la fatica che questo può comportare. Ma anche con tutta la gioia e la soddisfazione che può dare l’avere raggiunto una meta, ognuno secondo le proprie possibilità. Tutti noi l’abbiamo provato nell’esperienza della strada.

Ci vuole coraggio a fare i capi, certo. Ma guai a fare i capi senza coraggio: saremmo inutili e persino dannosi.

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