Verso Neverland!

di Tiziana Paternò e Giuseppe Rossi

Pattuglia Nazionale Branca E/G

 

I nostri ragazzi, come ogni essere umano, sperimentano continuamente nella loro vita mutamenti voluti e non (scuola, lavoro, famiglia, malattie, lutti e così via) che permettono loro di acquisire nuove competenze materiali e spirituali. Il tempo trascorso, quello del lockdown, ci è stato messo dinanzi portando con sé l’isolamento affettivo-familiare, l’interruzione delle abitudini sociali, l’adattamento e l’uso intensivo di strumenti tecnologici per favorire i contatti sociali. 

Secondo il parere autorevole di psicologi ed educatori, in particolare Ezio Aceti e Gabriele Nardi, intervenuti a un incontro con gli Incaricati regionali di Branca E/G, il tempo della pandemia, destabilizzante per gli adulti, non è stato altrettanto difficile per gli adolescenti. Da un lato gli adulti di fronte a una percezione amplificata dei problemi, dall’altro gli adolescenti capaci di vivere il presente in questo tempo pieno di novità. Due modi diversi di adattarsi all’imprescindibile comunicazione incorporea, due modi diversi di accettare il presente e la visione del futuro.

I ragazzi anche prima del lockdown sapevano che esistono relazioni senza corpo. Noi adulti abbiamo per anni negato che scrivere un messaggio whatsapp o snapchat potesse essere un modo di “sentirsi” o di “vedersi” e solo adesso ci siamo resi conto che a distanza possiamo avere relazioni forti, che una videochiamata è davvero un modo per stare vicini. Nonostante questo la corporeità è imprescindibile. E allora servirà un nuovo modo di stare insieme quando tutto sarà passato. Per mesi ci è stato detto che il corpo dell’altro era il nemico. Sarà quindi necessario ridefinire un modo di stare con gli altri nello spazio.

Come capi educatori e catechisti, dovremo anche essere bravi e acuti nel porgere significati ai ragazzi, a distillare senso, e a fare catechesi occasionata traendo spunto praticamente da tutto. Da ciò che i nostri ragazzi avranno vissuto in prima persona (che in alcuni casi potrà essere fortemente negativo se condizionato da lutti e malattie nella cerchia ristretta) a ciò che invece avranno percepito attraverso i mass media: il dono della vita, il patriottismo, il ruolo della politica, della ricerca e dello studio, il valore della preghiera e il senso della Chiesa attorno a papa Francesco, il rapporto con i beni di consumo, il valore del contatto fisico per esprimere emozioni, eccetera eccetera.

Il grande gioco dello scautismo con la sua continua esperienza di essenzialità, precarietà, far da sé per sopperire ai bisogni essenziali (mangiare, coprirsi…) in una parola, probabilmente dall’uso esasperato, sopravvivenza, contribuisce all’adattamento mentale e fisico durante i mesi appena trascorsi. In altri termini, lo scout, che nell’idea di B.-P. osserva, deduce, interviene, crea con le proprie mani ciò di cui ha bisogno senza dimenticare la cura del fisico e l’ottimismo antidepressivo generato da se stessi, sa gestire il cambiamento indotto da situazioni esterne.

Non è stato necessario andare per i boschi, fare riunioni, dare significati attraverso tutta la simbologia scout. Nell’iter pedagogico esperienza-simbolo-concetto il capo scout potrà tranquillamente attingere dall’esperienza vissuta con il lockdown, sostanziale e simbolica di per sé, arrivando ai concetti ai quali normalmente si arriva con le attività scout. Si dirà – per fare un esempio estremo – «ma una squadriglia che sognava l’impresa di alpinismo non potrà più farla» oppure «Paolo che era in cammino per la tappa della Competenza o il brevetto di artista non potrà realizzare e dimostrare nulla». Ecco che il vecchio nodo della confusione fra strumenti e fini si ripresenta e il problema si proporrà solo per quanti hanno vissuto o fatto vivere l’attività scout per l’attività scout. 

“Gestione del cambiamento” o del “cambiato” vuol dire immutabilità delle intenzioni e degli scopi non tanto degli strumenti e del metodo. «Devo arrivare a Neverland, all’Isola che non c’è!». Il sogno rimane, se non ho più le gambe mi trovo un altro mezzo, se non ho più la strada imparo a volare. 

Un ultimo aspetto di questo tempo che dovremo sfruttare nelle nostre relazioni educative è quello di far comprendere agli EG che ognuno di noi ha delle fragilità. Questo tempo lo ha mostrato in maniera chiara, a noi sottolinearlo e non rimuoverlo. Ripartire magari da questo per proporre occasioni significative che privilegeranno più il Sentiero all’interno di una piccola comunità ma che non potranno fare a meno di avventura e competenza, capisaldi dell’esperienza in Branca EG che in questi mesi di “apparente blocco” non si sono fermate ma, anzi, sono state vissute nella quotidianità di tutti.

[Foto di Martino Poda]

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