UN’ESPERIENZA SPAZIALE

di Antonella Cilenti

Rispondere alla chiamata per andare oltre il tempo e lo spazio

«Il servizio passa dall’anima alle mani senza che io me ne accorga… è un attimo!». Eravamo intorno al fuoco serale di una delle prime uscite di primavera, l’aria era profumata e accogliente, conservavamo il tepore del cibo condiviso intorno al fuoco, mettevamo in comune qualche pensiero di verifica della nostra esperienza. Il giorno prima ci aveva ospitato una casa di riposo, dove avevamo prestato vari servizi concordati con i responsabili della struttura, e qualcuno dei più piccoli della comunità R/S aveva descritto il proprio disagio nell’accogliere nella fisicità gli anziani ospiti. Poi durante la nostra soporosa verifica la voce di Chicca tuonò proprio così: «Il servizio passa dall’anima alle mani senza che io me ne accorga … è un attimo!». Si alzarono i capi chini sull’erba e si destarono gli sguardi rapiti dal fuoco. Eleonora – per tutti Chicca non si sa perché – continuò: «Sapete? Quando avevo 16 anni non facevo nulla per collaborare in casa, mia madre era costantemente al nostro servizio, non mi sono mai chinata a raccogliere nessun simpatico rotolino di polvere che galoppava per il corridoio, né a sostituire la carta igienica quando finiva il rotolo, né a svuotare il cestino delle carte nella mia stanza…. Poi in un’uscita di noviziato ho lavato per la prima volta i piedi a Gina, 81 anni, immobilizzata da una vita ma con un sorriso spaziale! Da allora quel chinarsi e toccare è diventato il mio specchio quotidiano, la misura di ciò che potevo e sceglievo di fare. Di rientro a casa era cambiato il mio approccio alle cose e ogni volta mi chiedevo cosa potessi o dovessi fare io, se fosse giusta la tendenza a delegarlo ad altri. Ricordo la faccia di mia madre la prima volta che le dissi di aspettare a chinarsi perché lo avrei fatto io al suo posto! Anche mia madre pensò fossi spaziale… ma nel senso che venissi da un altro pianeta!».

Chicca stava riportando tutti al senso del servizio, nel suo ragionamento lineare c’era il Vangelo, c’era l’impegno, c’era il fare del proprio meglio per definire a noi stessi chi siamo e come vogliamo essere. Se ci pensiamo, la buona azione per L/C ed E/G e il servizio per gli R/S sono strumenti che noi proponiamo per la crescita dei ragazzi, per aiutarli a definire la loro identità: questo fa sì che la medesima esperienza, che per alcuni è “semplicemente” volontariato, sia nella nostra proposta risposta a una chiamata. Alcune volte i testi di B.-P. ci sembrano difficilmente contestualizzabili ma su questo credo che il nostro fondatore abbia detto chiaramente tutto ciò che si possa dire: «La repressione delle tendenze egoistiche e lo sviluppo dell’amore e dello spirito di servizio del prossimo aprono il cuore alla presenza di Dio e producono un cambiamento totale nella persona, dandole un’autentica gioia celeste, tanto da farne un essere completamente diverso. Il problema per lui diventa ora non “cosa mi può dare la vita”, ma “cosa posso dare io nella vita”. Il servizio non è solo per il tempo libero. Il servizio dev’essere un atteggiamento della vita che trova modi per esprimersi concretamente in ogni momento» (Giocare il gioco).

Il servizio diventa palestra per uno scout e la palestra comporta fatica, rivoltarsi come un calzino, fare aggiusti su di sé; diventa strumento metodologico di educazione all’amore e alla libertà. Devo confessare che ancora oggi, mamma, capo, insegnante, moglie se qualcuno mi chiede: cosa volevi e vuoi essere nella vita? Io continuo a rispondere di voler essere la donna della partenza.

C’è poi un secondo pensiero che mi gira in testa da quando è iniziata la pandemia: cosa resterà di questo periodo nella vita dei ragazzi e nella nostra? A parte tutte le letture storiche-scientifiche-sociali, cosa ricorderemo e ricorderanno di questi due anni? Cosa ha distinto uno scout da uno che scout non lo è? I nostri lupi e le nostre cocci potranno raccontare di aver fatto la buona azione scrivendo magari un biglietto di auguri pasquali da mettere dietro la porta dei loro condomini? Gli esploratori e le guide di aver organizzato un torneo a distanza per raggiungere chi della squadriglia stava soffrendo di più la solitudine? I rover, le scolte e i capi si sono sentiti tremare le sedie perché chiamati a fare qualcosa, a reagire, a non farsi sopraffare dalla paura ma piuttosto a lanciare segnali di speranza?

Alle volte facciamo salti mortali per proporre le esperienze più variegate, elucubriamo situazioni, impegniamo un tempo più lungo nel pensiero che nell’azione, dimenticando che dobbiamo vivere servendo, secondo il tempo in cui viviamo e che, come dice un canto famoso «già sporcarsi le mani in questo mare è un segno!».

[Foto di Nicola Cavallotti]

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