Tra evidenza e mistero

di Sorella Cristina Zaros

Il corpo manifesta ciò che agita il nostro cuore. L’invito di Dio è ad accogliere ciò che siamo con gratitudine e a ridonarlo

Il corpo ci parla e parla di noi. Lo sappiamo, ma a volte lo dimentichiamo o lo diamo per scontato. Esso ci dovrebbe essere familiare, visto che lo abitiamo da sempre (fin dal grembo materno) e ne disponiamo, ma allo stesso tempo alcune sue dimensioni ci sfuggono, ci precedono, non si lasciano dirigere da noi. Esso è intimamente legato a noi, alla nostra identità e questo lo rende evidenza e mistero insieme.
A prima vista il nostro corpo è evidenza immediata: noi siamo il nostro corpo, in nostro corpo siamo noi. Siamo noi che sentiamo, vediamo, viviamo e siamo noi che ci facciamo sentire, vedere, riconoscere. Il nostro corpo ci permette di recepire e di comunicare con l’esterno. Ci situa nello spazio e nel tempo.

Cambia e si trasforma, ma resta sempre il nostro corpo, riconoscibile e capace di identificarci. Questo ci è evidente e già di questo potremmo essere grati: esso ci dà un confine e insieme ci apre agli altri, all’ambiente in cui viviamo, ci consente di muoverci e di conoscere, di lavorare, di fare esperienze, e per mezzo di tutto questo, di arricchire la nostra personalità.
Eppure il corpo, nella sua evidenza, è anche mistero: questa esteriorità ci sfugge, rivelandoci qualcosa sulla nostra interiorità, manifestando ciò che agita il nostro cuore, prima ancora che ne abbiamo consapevolezza. Sentimento e passione, emozione e piacere, gioia e sofferenza sono dimensioni della nostra esperienza soggettiva che ci raggiungono attraverso la nostra corporeità. Il nostro corpo dice di noi e per questo va ascoltato con attenzione e fiducia, è un mezzo fondamentale per conoscere noi stessi.

Consapevoli di sé e degli altri

Sentire il proprio corpo, nel proprio corpo, significa mantenere aperta quella comunicazione vitale tra il nostro io e il mondo che ci circonda, e lasciarsi istruire da esso. Ascoltandone la sensibilità riconosco se sono delicato e rispettoso o se sono violento e rude; osservandone le reazioni, posso individuare cosa crea in me paura e diffidenza, ciò che favorisce in me fiducia e gratuità; imparando a leggerne i segni superficiali (lacrime, riso, rossore, scioltezza o rigidità…) scopro ciò che c’è in fondo al mio cuore; sperimentandone la fragilità comprendo che la vita è limite, ma anche soglia che fa spazio all’affidamento all’altro. Il nostro corpo, infatti, è il tramite della relazione con gli altri: esso comunica, cerca e offre aiuto, riceve e accoglie ciò che l’altro è. E ci mostra che è proprio nella relazione con l’altro che generiamo vita. Non solo biologicamente, ma anche e proprio nel confronto, nello scambio, nel dono di sé all’altro da me. Il nostro corpo, così come tutto il nostro essere, ci è donato da una relazione e si realizza nella relazione, nell’essere per qualcuno, donato per.

Il corpo nell’esperienza cristiana

Il corpo è anche il luogo della relazione con Dio. Il fatto che Dio si sia fatto conoscere, attraverso il corpo, i gesti, le parole di Gesù, dice quanto la corporeità sia importante agli occhi di Dio e luogo che lo manifesta, che ne mostra i tratti. Gesù ha saputo vivere la sua umanità in modo limpido e vero, mettendo in atto relazioni rispettose che liberano, gesti che donano aiuto e speranza, parole che interpellano e offrono prospettive di vita. Ha reso il suo corpo un’offerta a Dio, orientandosi a compiere in tutto la volontà del Padre. Lo ha fatto mettendo in gioco tutto se stesso, la sua corporeità (gesti, atteggiamenti, sguardi) e la sua interiorità (parole, sentimenti, desideri…). Questa è la via che Gesù ci invita a percorrere con lui: farci dono libero e gratuito, accogliere ciò che siamo con gratitudine e ridonarlo.

Questo tempo di pandemia ci ricorda che non siamo solo il nostro corpo, con le sue sofferenze, le sue attese, i suoi desideri e bisogni, ma siamo parte di un corpo più grande che è l’umanità, fatta di fratelli, siamo le membra di questo corpo. Realizzare fino in fondo quello che siamo è il compito che ci spetta per far crescere questa famiglia umana, per renderla più completa e a immagine del Padre che ci ha voluti e chiamati alla vita.

[Foto di Martino Poda]

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