In piedi fuori dalle sedi

di Antonella Cilenti

«Una società giusta non si costruisce da sé, serve il nostro contributo: qui e ora, con tutto noi stessi»

In questo pezzo forse dovrei fare l’identikit di uno scout nella sua scelta politica, ma… dicono che uno scout si dovrebbe riconoscere da lontano, dicono che si è scout con la propria vita, dicono ci siano dei tratti caratteristici espressi nel nostro fingerprinting! Quindi dovrei avere la fotografia già più o meno pronta per la stampa. E noi siamo la foto di noi stessi? Ci capita di essere riconosciuti a prima vista? Di non dover dire io sono scout perché i nostri interlocutori lo hanno capito già dai nostri comportamenti? Siamo scout o facciamo gli scout?

L’attitudine a essere in pace, portare pensieri di pace e di gioia, credere nel futuro, vivere la carità come incontro, rispettare l’ambiente – avendo tasche piene di fazzoletti sporchi e di gomme già masticate, da noi e dai ragazzi – conoscere il creato perché sappiamo chiamare per nome gli alberi e le stelle, vivere lo scouting, essere testimoni e insieme ogni anno stupiti per un Cristo che nasce e muore per noi… Tutto questo insomma passa attraverso i nostri sorrisi, i nostri volti sempre aperti e puliti, le nostre mani sporche dal voler fare, il nostro osservare ciò che ci circonda e voler essere protagonisti di azioni sul territorio, con la testa e con la voce, con le braccia e il sudore, con il nostro essere pronti?? La nostra libertà passa dalla verità che il corpo testimonia per noi, con la semplicità, l’essenzialità, la purezza?

Don Tonino Bello, amatissimo vescovo pugliese, per anni alla guida di Pax Christi, diceva: «La pace è finita, andate a Messa» e con questo voleva che fossimo scaraventati fuori dalle chiese, ma io direi anche dalle nostre sedi, e vivere in prima linea i valori che portiamo, le scelte del Patto associativo, il nostro essere figli di Dio.

Era il 30 aprile 1989 quando, all’Arena di Verona in occasione di un incontro sulla Pace, don Tonino riprendendo un’audace traduzione di Isaia, fece slittare la parola “BEATI” nel termine «IN PIEDI costruttori di pace», invitando tutti a cogliere nel qui e nell’oggi della storia, i primi frutti del Regno già interni alla nostra fede. Vivere il qui e l’oggi, come ha fatto lui. Fisicamente don Tonino si metteva in auto di notte e raccoglieva i senza tetto per portarli a dormire in curia; quando incontrava i cresimandi, voleva per forza preparare loro la merenda e capitò che una volta, avendo anticipato la data dell’incontro e non avendo nulla in dispensa, preparò per loro le friseddhere con il pomodoro, dicendo ai catechisti che protestavano per non scomodarlo: «Citti, citti subbeto è prontu!»; era dritto in piedi quando nella Marcia dei 500 verso Sarajevo la sua figura forte e mite fu subito insegnamento di nonviolenza attiva.
E noi, come ci giochiamo il nostro qui e oggi da capi? Quanti atteggiamenti di nascondiglio nel corpo. Ci esprimiamo facilmente in chat o sui social, affidiamo al telefono i messaggi rinunciando agli sguardi, risolviamo tutto con un “Invio” e non con un incontro. E purtroppo questo avviene non solo quando parliamo tra adulti (a lavoro, in famiglia, con gli amici), ma anche quando pensiamo di fare progressione personale con i ragazzi. Quante riunioni in cui non si parla di loro ma si è piuttosto intenti a programmare attività perfettissime e definite al dettaglio? Quanti tecnicismi nell’applicare il metodo piuttosto che corpi vicini che si trasferiscono sogni, ambizioni ed esperienze, così semplicemente come un fratello maggiore accanto al fratello minore? Come se poi passare il tempo con loro, stargli accanto, prendersi cura non sia già la nostra scelta politica di esserci tutti interi, con tutto il corpo. Abbiamo tanto bisogno di occhi che guardano e luccicano, mani che gesticolano e insegnano, gambe che dondolano o tremano, arrabbiature e scuse, pianti e risate sguaiate, rughe che vibrano. Mi è capitato che alcuni rover e scolte, quando scherzavo sulla comparsa delle mie rughe, per consolarmi mi dicessero che non fossero legate all’età che avanza, ma piuttosto presenti per portare il conto dei troppi sorrisi! I miei capi campo di CFM ci hanno insegnato che i ragazzi ci fanno la fotografia subito, a prima vista e non sbagliano mai.

Consideriamo che in associazione possiamo contare su degli strumenti di aiuto: degli zoom su noi stessi utili a ricalibrare il nostro Qui e il nostro Oggi. Primo fra tutti, penso al Progetto del capo nel quale si potrebbe inserire una nostra riflessione su come sappiamo essere armonici con noi stessi, per poter educare poi all’armonia i nostri scout; poi i campi di formazione, la formazione continua… Per non parlare delle tante occasioni quotidiane: portare lo zaino, sentire la strada, sentire le pietre con la schiena se si dorme in una tenda montata troppo in fretta, il servizio, giocare sul serio, sorridere e cantare anche nelle difficoltà, essere laboriosi ed economi… Per uno scout non sono tutti di aiuto per esserci dalla testa ai piedi?

Allora capi, cerchiamo di essere pronti per il prossimo scatto, che sia la fotografia più bella e più vera che i ragazzi ci possano fare.

[Foto di Martino Poda]

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