QUINTO, CONSAPEVOLEZZA INTEGRALE

di Nicola Cavallotti
Autori:

Quattro per uno, uguale quattro. I quattro punti cuciti insieme ci restituiscono una possibile forma di educazione integrale, sono sintesi di un metodo che ambisce alla totalità della persona per accompagnare la crescita del singolo nell’ecosistema comunitario. Ma qual è la “fisionomia contemporanea” dei ragazzi, e come rispondono a questa nostra educazione “ecosistemica”? Intervista allo psicoterapeuta Alberto Pellai.

– Baden Powell ideò i 4 punti più di cento anni fa. Sono ancora validi per accompagnare i ragazzi di oggi?

«I bisogni sono gli stessi di ieri. Per diventare adulti servono esperienze eterogenee fuori dalle mura domestiche, in contesti dove ci siano adulti con un progetto educativo che crei le condizioni affinché il ragazzo viva la dimensione relazionale e riesca a mettere in gioco tutto il suo il potenziale corporeo, il fare concreto, il fare operativo e il fare concettuale. Inoltre c’è tutto un aspetto di costruzione del significato, di complessificazione del pensiero, di potenziamento dell’intelligenza critica personale: questo lavoro è il risultato di una proposta educativa in cui viene messo in gioco un materiale che è stimolo per la costruzione del pensiero critico e del dialogo con gli altri».

 

– In un mondo frammentato, in cui gli ambiti della vita sembrano slegati, come “educare all’intero”, ovvero al crescere in armonia con sé, gli altri e il mondo tutto?

«L’idea di visione globale è ottenibile solo attraverso un lavoro globale. Servono alleanze interne alla comunità educante, una sfida enorme visto la conflittualità che ha segnato il rapporto tra agenzie educative negli ultimi vent’anni, con esiti confusi e spesso divergenti sulla crescita dei ragazzi. Ciò che serve è che l’educatore abbia visione d’insieme di tutti questi pezzi frammentati, perché li conosce e perché li ha studiati. L’altra grande sfida è che la relazione educativa si giochi nel mondo reale: ne va di quella stessa frammentazione che i ragazzi vivono, potendo da una parte moltiplicare le loro identità all’infinito nei diversi contesti in cui possono immaginare di essere tutto e di sperimentare tutto. D’altra parte i ragazzi hanno una quantità di stimoli tale che la frammentazione rimane inevitabile: è difficile generare una visione unitaria in questa complessità. Occorre riportarli in un principio di realtà, tanto più semplice quanto più completa di quella complessità tutta finta che sperimentano nel mondo virtuale».

 

– Nel pensiero del fondatore i 4 punti sono correlati. Nell’era della specializzazione non dovremmo concentrarci o sul corpo o sull’intelletto per eccellere almeno in uno dei due?

«Invito a osservare il modello dell’intelligenza di Howard Gardner. Egli teorizza nove intelligenze tutte all’interno del nostro intelletto. La crescita di ognuno di noi dipende da quanto riusciamo ad allenare ciascuna di esse. Se proviamo a dividere in due gruppi queste intelligenze, ne troviamo alcune legate alla dimensione “scolastica” (l’intelligenza letteraria o quella logico-matematica ad esempio), altre collegate non tanto al saper fare ma al saper essere, come l’intelligenza interpersonale o quella spirituale ecc. Serve una visione educativa d’insieme, ce lo insegna la nostra stessa storia evolutiva: il successo non dipende dalla specializzazione ma dall’interazione e dalla capacità di mettere insieme diverse competenze».

 

-E le mani abili, a che ci servono oggi se non a premere una tastiera?

«L’incapacità di usare le mani per concretizzare ciò che si trova al di fuori di noi ci impedisce di metterlo dentro di noi. Per i bambini riuscire a mettere il mondo dentro la mente significa prima di tutto poterlo toccare ed esplorare con tutti i 5 sensi, mentre la tendenza dell’oggi è trasferire molto di quanto si fa dentro la mediazione degli schermi, dove tutto perde consistenza, tridimensionalità e plurisensorialità. Il rischio è che le mani funzionino anch’esse come strumento di consumo e non di conoscenza».

 

– Davanti alla complessità “semplificare” diventa una scorciatoia. Come trasmettere ai ragazzi la voglia di esperire la vita nel suo intero?

«Impariamo a dare voce al saper essere – non solo al saper fare – immaginandoci che chi cresce si trasformi da pensiero pensato a pensiero pensante, permettendo alla mente del ragazzo di sperimentarsi in libertà e autonomia.  In questo tempo dove tutto avviene attraverso la vista e l’iperstimolazione, utilizziamo di più ciò che non si vede: il dialogo, l’ascolto, la condivisione in piccoli gruppi, la lettura e poi l’esperienza della spiritualità e il contatto con la natura».

 

– C’è un quinto o un sesto punto oltre a quelli pensati dal fondatore?

«Tutto quello che facciamo andrebbe pensato in una cornice di consapevolezza integrale, elemento chiave nonché madre della storia evolutiva degli esseri umani, altrimenti il rischio è di imparare a fare delle cose ma senza comprenderne il senso. Dobbiamo rimettere al centro la dimensione cooperativa polivalente rispetto a quella agonistica competitiva, ponendola come obiettivo educativo, politico ed economico. Fin tanto che faremo branco invece di fare squadra, prevarrà la logica del più forte».

Nessun commento a "QUINTO, CONSAPEVOLEZZA INTEGRALE"

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.
    I tuoi dati personali, che hai fornito spontaneamente, verranno utilizzati solo ed esclusivamente per la pubblicazione del tuo commento.