INCIAMPANDO SI APRE CAMMINO

di Vincenzo Pipitone e Valentina Enea

Crescere nella consapevolezza 

La cosa più difficile nella vita? Essere se stessi. E avere carattere a sufficienza per restarlo
Georges Brassens

 

Michael Jordan, prima di diventare “his airness”, venne fatto fuori dalla squadra di basket della sua scuola. Eppure, piuttosto che arrendersi, visse la sua adolescenza passando ore e ore sul campo, fino allo sfinimento. Riuscirà a superare la stanchezza leggendo, tra una pausa e l’altra, la formazione della squadra senza il suo nome. Dirà: «Ho sbagliato più di 9000 tiri nella mia carriera. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte, mi hanno dato la fiducia per fare il tiro vincente dell’ultimo secondo e ho sbagliato. Ho fallito più e più e più volte nella mia vita. È per questo che ho avuto successo».
Beatrice ha 11 anni quando viene colpita dalla meningite, subirà diverse amputazioni. Lei stessa ha raccontato che un giorno, a causa del gran dolore, minacciò di suicidarsi, ma il padre, sempre al suo fianco, ebbe il coraggio di dirle: «Smettila, goditi quello che hai perché la vita è una figata».  Da quel giorno sarà sempre meno Beatrice e sempre più Bebe… Bebe Vio: «Non domandatevi perché è successo proprio a me, chiedetevi come posso fare per ricominciare da qui?».
Quando le vite degli altri ci travolgono con la loro straordinarietà non ci chiediamo forse “Ma che vita hanno vissuto da piccoli? Chi è stato loro accanto durante la stagione dell’adolescenza? Quale seme è stato gettato nel terreno della loro infanzia? Quando hanno dato un nome a se stessi? O, per dirla meglio “Come hanno scoperto la loro identità e forgiato così il loro carattere?”.
Gli errori e gli infortuni della vita non sempre sono da condannare; talvolta sono addirittura necessari e, spesso, persino belli e divertenti. E invece in noi capi alcune volte predomina la tendenza a ricompensare il “fare giusto” e a penalizzare “l’errore”, ostacolando la creatività dei nostri bambini e ragazzi, magari capaci (“dando loro fiducia”) di trovare soluzioni originali. Dovremmo essere preparati ad agire in un’atmosfera in cui tale sforzo sia incoraggiato e ricompensato, piuttosto che in un clima educativo in cui vengono approvate soltanto le soluzioni caute e scontate. Questo non significa certo essere sconsiderati, poco attenti a progetti e programmi, propensi a esaltare il fallimento. Significa invece lodare i bambini e i ragazzi per lo sforzo immaginativo compiuto. Ci perdoneranno “his airness” e Bebe Vio, ma non abbiamo bisogno di fare tanta fatica a immaginare che, senza i propri genitori, educatori, allenatori, il primo sarebbe rimasto un bambino che tira cannonate al canestro e la seconda una ragazza convinta che la propria vita non avesse senso.
Il senso della vita? Scontato: la «felicità si ottiene facendo felici gli altri», come direbbe B.-P.; ossia, la «disciplina esteriore, la sola via che conduca alla felicità per quegli infelici troppo dediti all’introspezione» (B. Russel). Un continuo contatto con la natura, le strette relazioni con gli altri, il gusto per l’ignoto, la precarietà dell’esperienza, consentono ai nostri ragazzi di passare dall’io al noi e ancora dal noi all’io e così in ognuno sorge la consapevolezza di donne e uomini – non numeri – che vivono la storia del loro tempo in una data comunità della quale condividono il destino, la responsabilità. Senza l’amore verso Dio e gli uomini, senza pensiero critico, consapevolezza di sé, fiducia altrui, non si coglie la propria bellezza, la profondità del proprio essere, e si rimane sulla superficie di un oceano la cui profondità fa paura… e rende infelici! Si rimane soli, fedeli solo a se stessi.
È nella relazione con l’altro che ognuno si riconosce e definisce: è proprio da lì che ognuno scopre i propri limiti. Che non sono le limitazioni, ma sono i confini di ciascuno, le sagome dei nostri corpi e dei nostri cuori, che vanno custodite e rispettate. E come in un coloratissimo planisfero, dal toccarsi dei confini di ogni nazione si rivela la magnificenza del mondo, in cui non c’è da difendersi ma da lasciarsi attraversare. Nella vita da capo (e genitore!), qualcuno di noi si è trovato davanti all’enigma di dover scegliere se dire o meno ai propri ragazzi (e figli) una verità scomoda, se comunicare una brutta notizia, come una diagnosi che arriva a cambiare le vite. Se sei la capo fuoco è dura dire ai ragazzi che non potrai andare in route di Pasqua con loro perché l’ospite indiscreta che da qualche anno hai scoperto di avere sta provando a fermarti. Non sarà scontata la loro reazione. Magari la rabbia o il senso di abbandono prevarranno. E l’istinto di proteggerli dal dolore sarà dominante. Ma, asciugate le lacrime (non solo dei ragazzi…) e canticchiato Colori di Comunità, si troverà il modo per andare in route e la capo fuoco sarà presente all’alba del Sabato santo per la partenza di Sara (tanto con il cortisone non si dorme)! E, tornati a casa, tutti avranno un po’ meno paura di fare e farsi certe domande, e lo spirito con cui si consolerà una coetanea o un familiare dopo una brutta notizia magari sarà diverso. E anche arrabbiarsi per una cosa andata male a scuola avrà un altro sapore. Li avremo temprati? Li avremo preparati al peggio? Nulla potrà più abbatterli? Forse non proprio, ma i ragazzi avranno scoperto che non serve fare gli eroi per essere capi e, soprattutto, che essere felici è questione di scelta, condivisione, esercizio e fede.

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