La definizione è da sempre una terminologia molto ambigua. Se basta usare la violenza con lo scopo di generare il terrore nella popolazione civile per essere qualificati come terroristi allora anche molti stati potrebbero essere qualificati come tali. Di solito si indicano come terroristi i gruppi non-statuali che usano la violenza contro i civili, ma anche questa definizione é molto ambigua: per alcuni questi stessi gruppi sono terroristi, per altri sono “combattenti per la libertá”. Molti dittatori definiscono come “terroristi” tutti i loro oppositori, anche quelli non-violenti. É per questo motivo che é meglio non creare un grande contenitore come “terrorismo”, ma concentrarsi sui singoli casi, tenendo sempre presente il criterio principe: questo gruppo o questo stato violano i diritti umani? L’uso della violenza non é di per se vietato dal diritto internazionale, vengono vietati gli attacchi indiscriminati contro i civili o le reazioni sproporzionate.
Nel 2011 molti popoli della regione si sono ribellati all’ordine esistente, e quindi ai dittatori che lo garantivano. Contro queste rivolte popolari c’é stata la reazione non solo di quei dittatori (che sono stati in gran parte sconfitti), ma anche da parte delle potenze della regione, in primo luogo l’Arabia Saudita e l’Iran. E cosí la rivolta siriana, che inizialmente era pacifica ed inter-confessionale, é “sbattuta” contro i giochi delle grandi potenze. E la guerra che vediamo oggi in Siria é la tipica “guerra per procura” in cui le grandi potenze si combattono attraverso i loro alleati locali. L’Iran é il grande sostenitore del dittatore Assad, responsabile di una repressione durissima della rivolta del 2011 e poi della stragrande maggioranza delle vittime nella guerra civile. L’Arabia Saudita ha sostenuto i gruppi armati di opposizione che erano piú vicini all’estremismo religioso. Finché queste due potenze non si siederanno ad un tavolo per fare la pace, é difficile che possa finire la carneficina siriana.
Quelli del Daesh sono terroristi. Per capire di cosa si tratta dobbiamo pensare ad un misto tra la nostra mafia e un gruppo che fa violenza politica ma che allo stesso tempo, un po’ come la nostra mafia, cerca di fornire alcuni servizi tipici dello stato. Anche qui non bisogna cadere nell’equivoco: Daesh per esempio “raccoglie delle tasse” tra gli abitanti delle città che controlla, ma si tratta di un’operazione molto simile a quello che fa la mafia con il pizzo: non si raccolgono dei soldi che saranno amministrati dai rappresentanti dei cittadini ma si esige denaro in cambio di protezione..dallo stesso gruppo che esige il denaro. Gli stessi cittadini stranieri che contribuiscono al conflitto (i foreign fighters) pur avendo storie e motivazioni diverse ed individuali sono attratti dall’’idea di partecipare ad un’utopia che, cosí come tante nel passato, puó implicare violenza. E non va trascurato che una parte non proprio secondaria di chi va verso le terre dell’Isis dall’Europa poi cerca di fuggire. Ma questo il piú delle volte é impossibile.
Il cambiamento della guerra ha cambiato il movimento pacifista, che in alcuni momenti appare spiazzato. L’ultima grande guerra organizzata con mezzi convenzionali (un’invasione, truppe a terra, una forza d’occupazione etc.) é quella dell’Iraq del 2003. A quel metodo si oppose un movimento globale che il NY Times definì “la terza potenza mondiale”. Ora si usano i droni, si colpisce a volte un individuo, ma uccidendo anche dei civili, ci sono raid aerei e operazione di forze speciali. La stessa narrazione della guerra è cambiata: é meno “totale” se fatta dall’occidente ed é invece piú medievale se fatta da altri. Il problema é che la guerra “informale” non ha i meccanismi decisionali di una volta ed è quindi piú difficile opporsi. Ma la pace la si continua a farla anche se in modo diverso. Ci sono tantissime iniziative di dialogo anche a livello locale. La frontiera dei pacifisti oggi forse sta più nell’accoglienza civile qui in Europa di chi fugge da quelle guerre, perché lancia un messaggio di dialogo proprio verso il Medio Oriente. Speriamo non si perda questo slancio.
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*Mattia Toaldo é analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra dove si occupa di Medio Oriente. Ha un dottorato in storia delle relazioni internazionali presso l’Universitá di Roma Tre e fa parte del consiglio scientifico di Limes.
Il grafico in apertura è tratto dal Global Peace Index Report 2015.
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Leggi per intero “Facciamo Pace“, il numero di PE da cui è tratto questo articolo.
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