Se ripensiamo alla nostra storia di capi e capo ci sarà stato un momento in cui abbiamo sentito che quella era la nostra vocazione, la risposta necessaria alla chiamata di Gesù. Quel sì l’abbiamo detto tante altre volte, tutte quelle in cui abbiamo scelto di esserci.
“Possano le tue scelte riflettere le tue speranze, non le tue paure”
(Nelson Mandela)
Ci sono scelte che sembrano grandi ma che in realtà iniziano nelle piccole cose. Una parola detta al momento giusto. Un sorriso ricevuto quando ti sentivi invisibile. Un posto lasciato nel cerchio, anche se ancora non sapevi bene come starci. Una mano tesa quando le lacrime e l’insuccesso erano più forti del desiderio di continuare. Uno zaino messo sulle spalle quando queste facevano davvero male.
Io non ricordo il giorno esatto in cui ho deciso di diventare capo, ma ricordo benissimo tutte le volte in cui qualcuno, senza dirlo, ha scelto di esserlo per me. Forse tutto è cominciato lì, nel momento in cui, senza saperlo, ho imparato una cosa importante: essere capo è fare spazio e dare fiducia per lasciare che l’altro si accenda.
Poi cresciamo. Allora la domanda cambia: non più Cosa devo fare?, ma Chi voglio essere? Perché essere capo non è un insieme di compiti, di scadenze, di riunioni. È una scelta di identità: vuol dire decidere di essere guida, testimone, compagno di cammino, fratello e sorella maggiore.
Questa scelta non è sempre facile. A volte è scomoda. Ci troviamo davanti alle nostre insicurezze: Ce la farò? Sarò all’altezza? E se sbaglio? Ma è proprio lì che si fa spazio qualcosa di più forte della paura: la speranza. La speranza che, anche se non siamo perfetti, possiamo essere significativi e che il nostro esserci, anche fragile, sia già una risposta. La speranza che, come qualcuno ha creduto in noi, ora anche noi possiamo credere in qualcun altro.
Essere capo è scegliere ogni giorno. È dire sì più volte di quante possiamo contarne.
Sì alla fatica, al dubbio, al non ho tempo ma ci sono lo stesso.
Sì al mi metto in gioco, al ti ascolto, al non scappo da questa relazione anche se oggi sono in difficoltà.
Sì al non ho tutte le risposte, ma ci provo.
Ogni volta che diciamo un sì, anche piccolo, anche incerto, stiamo diventando capi di nuovo. Ogni volta che restiamo, ogni volta che tendiamo la mano, ogni volta che crediamo che valga la pena esserci, stiamo scegliendo ancora.
Essere capo è un verbo al presente. Non lo sei “perché lo sei stato”, lo sei perché oggi lo scegli. Cosa succederà domani? Domani ci sarà un altro cerchio, un altro volto, un altro sguardo in cerca di qualcuno che gli faccia spazio e, di nuovo, potremo scegliere di esserci.
E allora oggi, in mezzo alla fatica, ai dubbi, alle agende piene e ai sogni che sembrano troppo lontani, provo a fermarmi un attimo. Torno con la memoria a quel capo e a quella capo che mi hanno fatto sentire accolta. A quella volta in cui qualcuno ha creduto in me anche quando io stessa non ci credevo. A quella promessa che ho fatto, non agli altri, ma a me stessa: Ci sarò.
Perché per qualcuno, oggi, potrei essere lo sguardo che fa la differenza. Quindi ci provo. Faccio spazio. Resto. Prego. Perché, alla fine, si sceglie di essere capi non una volta sola, non quando si è perfetti e ben riusciti o testimoni coerenti, ma tutte le volte che decidiamo di esserci davvero.
[Foto di Valeria Leone]
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