Un invito a farsi trovare pronti, nel tempo che abbiamo a disposizione. Ma pronti rispetto a cosa e in tempo rispetto a quando? Nell’educazione siamo interpellati dal tempo che scorre lineare fatto di urgenze e scadenze o da un tempo che si riempie di significato perché autentico?
Giuseppe Dossetti (1913-1996) – professore universitario, partigiano, politico e giurista, monaco e padre costituente, figura di primo piano del Novecento italiano – è ingiustamente oggi poco ricordato, se non colpevolmente quasi rimosso. Uomo del Concilio, difficilmente etichettabile, ci ha lasciato un’eredità culturale e spirituale che continua a interrogarci. Tra le sue affermazioni più lungimiranti spicca l’invito a “conservare una coscienza non solo lucida, ma vigile, capace di opporsi a ogni inizio di ‘sistema del male’, finché ci sia tempo”¹.
Un’esortazione che, per noi capi, suona come un richiamo all’urgenza educativa: un invito pressante a vivere il nostro servizio con sollecitudine, attenzione, premura. Un appello a farci trovare pronti (eh già, Be prepared) prima che sia troppo tardi. Ma pronti rispetto a cosa? E, soprattutto, essere in tempo rispetto a quando?
La questione non è solo “quando”, ma quale tipo di tempo ci interpella. Gli antichi greci – e con loro anche la teologia cristiana – distinguono tra kronos e kairos: due modi di vivere il tempo profondamente diversi.
Kronos è il tempo lineare, quello della quotidianità che scorre inesorabile, segnato da impegni, doveri, urgenze. È il tempo dell’orologio, del fare, del “non ho tempo”. Lo scautismo vive, certo, anche nel kronos: nelle attività settimanali, nei campi, nelle riunioni. Ma non può e non deve esaurirsi in esso.
Lo scautismo autentico è, soprattutto, kairos: tempo opportuno, qualitativo, decisivo. È quel momento in cui si aprono spazi di significato, in cui un gesto, una parola, un’esperienza diventano occasione di crescita vera. È il tempo del discernimento, della trasformazione, della possibilità. E richiede attenzione, preparazione, molta amorevolezza.
Beninteso, quindi: il kairos non accade da solo. Dipende da noi. È frutto di scelte educative intenzionali, progettate. Non offriamo ai ragazzi semplicemente una sequenza ordinata di attività, per quanto ben fatte: offriamo loro opportunità di vita piena. Occasioni preziose per mettersi in cammino, per scoprirsi, per costruire non solo se stessi, ma in relazione con gli altri. E – vi assicuro – il tempo che abbiamo a disposizione è meno di quanto immaginiamo. Ecco perché siamo chiamati a seminare il kairos dentro iI kronos: innescare in quelle due ore di riunione settimanale o in quei sette giorni di route, un potenziale trasformativo, capace di generare. Due ore o sette giorni, in fondo, sono niente. Ma possono dare senso, valere quanto una vita intera. Ed è questa la nostra responsabilità. Una responsabilità che si traduce in coscienza vigile, come l’avrebbe definita Dossetti. E allora, come si “costruisce” un tempo di kairos?
La Scrittura ci offre una famosa, potente immagine del profeta Isaia: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21, 11)². La sentinella veglia. È posta sulla soglia, tra la notte e l’aurora. Ha memoria del passato, ma lo sguardo rivolto al futuro. Legge i segni dei tempi, ascolta, accompagna, orienta. Non abbassa la guardia.
Essere capi significa anche assumere il ruolo della sentinella: accompagnare i ragazzi in un cammino mai lineare, leggendo la realtà non solo per quella che è, ma anche per ciò che può diventare. Significa essere presenti, abitare la soglia della loro esistenza, lucidi, pronti a orientare verso l’alba, verso una realizzazione adulta, significativa, felice.
Che la Provvidenza ci doni la sapienza della prontezza. Una prontezza concreta, reale, che si gioca nell’oggi, e non in un vago “tempo che verrà”. Oggi è il momento giusto per offrire ai ragazzi questa possibilità. Non facciamoci trovare impreparati – o peggio, assenti – sul binario delle occasioni mancate.
[Foto di Matteo Buffa]
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