Mi chiamo Chiara e da più di trent’anni…

di Chiara M.

Mi chiamo Chiara e da più di trent’anni viaggio su una carrozzina. Ho sempre amato fortissimamente la vita, soprattutto la natura, che ho imparato a conoscere fin da piccola quando sono entrata a far parte degli scout: avevo sette anni e ricordi di essere stata timidissima.

Proprio grazie alle prime esperienze nello scautismo e alla vita all’aperto ho imparato a incontrare l’Immenso, nascosto in una foglia illuminata dal sole, in una goccia di rugiada appoggiata su un filo d’erba, nel calore della terra che mi rigenerava mentre me ne stavo sdraiata a guardare col naso all’insù, la corsa delle nuvole nel cielo.

Lì, nell’abbraccio con la natura, non avevo timore: ero me stessa, mi sentivo “armonia”, affondando quasi le mie radici nel terreno, per succhiare energia. Dico sempre, adesso, che al posto di una flebo, mi farebbe sicuramente meglio una “flebo di natura”.

La vita alle volte non va come tu avresti sognato. All’improvviso il tuo mondo si capovolge. È esattamente quello che è successo a me.

La prima “botta” iniziale mi ha travolta come uno tsunami e poi, nel tempo, lentamente, “lei” – così chiamo la malattia – ha cominciato a rosicchiare speranze, sogni, ideali, progetti, regalandomi limitazioni, rinunce, incognite, domande senza risposte: ma soprattutto dolore.

Un dolore sempre più presente, sempre più crudele, più cattivo, invasivo. Un dolore che alle volte mi mangia persino il pensiero. Un dolore che non mi lascia mai, da anni, 24 ore su 24.

Conosco il dolore: è una voragine, enorme, che inghiotte tutto e sempre più spesso non ne vedo la fine. Puoi lasciarti andare e affogare in questo dolore, oppure guardarlo in faccia, imparare a conoscere le sue dinamiche, il suo linguaggio e provare ad agire di conseguenza.

Non è facile, non ci si mette qualche settimana: ci vogliono anni di duro lavoro, anni in cui ho imparato che non posso agire sull’ineluttabile, ma posso piuttosto provare ad agire sul “come” vivere l’ineluttabile. Ho imparato che ciò che prima mi sembrava indispensabile, ora è carta velina; ciò che non avrei mai immaginato di dire o di fare o, soprattutto di accettare, prima o poi, mi ritrovo a viverlo.

Ho imparato a non giudicare, perché ognuno ha la propria storia, il proprio vissuto, il proprio modo di vivere il dolore, piccolo o grande che sia. Un bellissimo proverbio indiano dice: «Non giudicare il tuo vicino finché non avrai camminato per due lune nei suoi mocassini». È proprio così, ve lo assicuro.

Ho imparato che il dolore rende autentici, le maschere crollano, i rapporti più veri, paradossalmente, nascono dalle lacrime, dalla sofferenza condivisa. Ascolti l’altro, entri nella sua vita e soffri con lui, speri con lui. In quei momenti, capisci cosa è davvero l’essenziale. Sei in una realtà dove il mondo resta fuori con la sua corsa, le sue urla, le sue illusioni. Il tempo è come rallentato, ovattato. È come vivere in moviola.
Non sempre il dolore migliora, anzi! Ci sono anche casi, in cui, invece, il dolore uccide “dentro” purtroppo, e questa è una sofferenza aggiunta.

C’è una cosa preziosa però che ho scoperto ed è quella che chiamo “la forza del nulla”: proprio perché, arrivata a questo punto del mio viaggio, ho praticamente perso tutto, posso chiedere qualsiasi cosa a Colui che per imperscrutabili disegni mi ha creata, mi ha voluta e vuole ancora qui. Lo posso guardare negli occhi, vis a vis, alla pari.

Lo sento Padre, mi sento figlia e chiedo. Qualsiasi cosa. Nel quotidiano, cose ‘banali’, viste dalla prospettiva di chi riesce a muoversi in libertà, ma essenziali per chi non può dare per scontato il poter prendere in mano un bicchiere, oppure riuscire a raccogliere qualcosa che è caduta per terra o, ancora, trovare qualcuno che ti tiene aperta la porta e aspetta che tu passi, anziché trovartela davanti che ti arriva addosso senza pietà.

Chiedo anche cose importanti, soprattutto per gli altri. Non che non abbia tentato anche per me, ma sembra che non sia compreso nel ‘pacchetto’ che ho ricevuto. Forte di questo, chiedo. Con insistenza e lo sguardo di logica fiducia verso il Padre. Mio Padre.
Con che coraggio può dirmi di “no”? Personalmente ho solo il compito di “consegnare” la richiesta. Il resto lo fa LUI. Poi, se la Sua Volontà è un’altra, ovviamente, chino la testa. Ma nel frattempo io ci provo, non si sa mai…

[Foto di Ernesto Brotto]

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