Ma i cartelloni chi li fa

[di Francesco Castellone]

In genere succede al secondo/terzo giorno di CFM. Si sente scoccare una scintilla dentro. Un clic, un interruttore spinto da qualcosa, una frase, un esempio, una parola chiave. Un’ondata di calore ti conquista il volto, il sudore si impadronisce delle tue mani, ti senti mancare la terra sotto i piedi, la panca sotto il sedere.

In quel preciso istante succede come in Matrix, inizi a vedere i numeri che stanno dietro le cose. Capisci, come una rivelazione, che fino a quel momento credevi di fare vero scautismo. Credevi di applicare il metodo, perché il tuo capo unità, forte della sua esperienza decennale, ti aveva assicurato che le cose si fanno così come ti aveva spiegato. Credevi di aver svolto più che egregiamente il tuo “lavoro”, organizzando tutte le riunioni dell’ultimo trimestre, assicurando ai ragazzi a te affidati un divertimento quasi dimenticato negli ultimi anni. Credevi che tutte quelle riunioni di staff passate a fare cartelloni degni di Matt Groening e a inventare giochi ispirati all’opera omnia di Tolkien potessero essere un vanto anche di fronte agli altri allievi.
Credevi. Poi la rivelazione, appunto.

“Il vero lavoro di un capo scout, e di uno staff in generale – sentenzia il capo campo – è quello di osservare. Nulla più. È partire dalla conoscenza di quello che si ha di fronte per poter costruire un progetto, unico e specifico, per ognuno dei ragazzi. È mettere in pratica tale progetto e osservare ancora, per capire se funziona, se ha bisogno di aggiustamenti. E se ha funzionato, bisogna osservare ancora, per godersi la bellezza di questo processo“. Parole forti, non c’è dubbio.

“Se durante le riunioni di staff sei impegnato solo a far cartelloni, stai facendo il disegnatore, non il capo. Se prepari solo giochi superlativi, stai facendo l’animatore. Se poi passi un’intera riunione di staff a parlare del menu del campo estivo, magari scontrandoti pure con il capo unità, stai facendo null’altro che il nutrizionista”.
Glom. La deglutizione è un po’ un affaraccio al momento.

“L’associazione non impiegherebbe tutto questo tempo e tutte queste risorse a formarti, se ti venisse chiesto solo questo. Ti chiede invece di prendere i tuoi occhi e di farne uno strumento potentissimo.  Occhi leali, sinceri, che devono imparare a guardare oltre i comportamenti aggressivi, oltre le bricconate, oltre le reticenze, oltre i cambiamenti. Oltre gli sguardi dei genitori, oltre i rimproveri, oltre il divertimento. Oltre”.

A questo punto, generalmente, appaiono i seguenti stati emotivi, nell’ordine:
1 – sgomento (non c’ho capito una ceppa fin qui);
2 – delusione (ho perso tempo, quindi?);
3 – rabbia (io lo dico sempre che sono in uno staff di imbecilli);
4 – ansia (io questa cosa qui non la so mica fare, non ce la farò mai, passo all’Azione Cattolica).

In genere tutto rientra dopo qualche giorno di campo, conoscere gli strumenti della Branca ti aiuta a capire che questo lavoro è fondamentale e propedeutico per tutto il resto. In alcuni casi i capicampo devono intervenire con chiacchierata a pranzo/cena con effetto Xanax. Nei casi più gravi serve l’Assistente Ecclesiastico, con confessione.“Osservare non è una cosa da poco.

È un’arte che si impara sul campo. Alcuni ragazzi ti aiuteranno, perché faranno di tutto per stare al centro della tua attenzione, nel bene e nel male. Ma è con i casi meno estremi che viene il bello, perché lì osservare vorrà dire vivere davvero il gioco, l’avventura, il servizio con quel ragazzo, fianco a fianco, conoscerlo per com’è e non per come vuole essere visto. Saper cogliere quel cambiamento, quella crisi che non sa di stare attraversando. E proporgli, con il suo aiuto, la risposta giusta, lo strumento che risponde all’esigenza che ha dentro e che con ogni probabilità non ti avrà rivelato.  Hai osservato, dedotto e agito. Questo è lo scouting, cari ragazzi.

Altro che accendere il fuoco con il riflesso della fibbia della cintura”.

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