Fare trekking nello spirito

[di f.Nicola Riccadona, Ae di CFA]

Ieri parlavo con un capo appena tornato dal Campo di Formazione Associativa e facendo una sintesi dell’esperienza fatta andavamo a ritrovare come l’essere scout “passa attraverso”. Attraverso cosa? Attraverso…tutto!

Per alcuni lo scautismo passa dai piedi (speriamo ci sia testa!), per altri si fa con le mani (e speriamo ci sia anche pensiero!), per “ics” capi si fa trapassando il metodo (speriamo ci sia cuore!), per altri ancora è moto del cuore irrefrenabile che porta oltre (speriamo ci sia realismo)! Sono d’accordo con tutti, perché lo scautismo passa per ogni dimensione dell’essere: la dimensione del corpo, della psiche, e quella spirituale. Ed ogni buon capo sa bene che è chiamato a prendere in considerazione ognuna di queste dimensioni.

A volte capita di sentire qualche capo alle prime armi dire che noi facciamo catechesi “perché facciamo parte della chiesa, o perché siamo in una parrocchia o, addirittura, perché nella sigla della nostra Associazione c’è quella benedetta “C” che sta per “Cattolici” e quindi non si può non parlare di Dio, e non si può non andare a Messa e alla processioni. Se queste sono le motivazioni per la catechesi e il cammino di fede nello scautismo mi sembra che proprio non ci siamo!

C’è un motivo ben più profondo e sostanziale che rende indispensabile un cammino di fede all’interno della proposta dello scautismo cattolico, così come è pensato e realizzato nell’Agesci. Il motivo è dato proprio dalla scelta dell’educazione globale, che non è un’idea dei nostri giorni, ma risale proprio a Baden-Powell. Fare educazione con il metodo scout vuol dire accettare la sfida di credere che sia possibile pensare alla vita del ragazzo come ad una unità profonda di tutto quello che egli è, e non piuttosto ad un casellario a compartimenti stagni.

Noi abbiamo fiducia nei nostri ragazzi. Crediamo che sia importante farli crescere in tutti gli ambiti della vita: nella consapevolezza della propria corporeità, nell’adesione ad alcuni valori importanti, nella capacità di amare e di essere amati in modo corretto e profondo, nella capacità di relazionarsi con se stessi, con gli altri, con Dio, nella capacità di discernere e scegliere in modo responsabile.

Ecco, allora che anche il percorso di fede diventa un “attraverso”, diventa un trekking nello spirito: un cammino di avvicinamento fino a guardare il volto di Dio, per potergli dire “TU!”. Si cammina nella parola di Dio come su una strada che si snoda tra paesaggi sempre nuovi, ma che può conoscere anche smarrimenti, ed esige di essere con gli altri per verificare il tracciato, per incoraggiarsi nonostante ciascuno sia l’unico arbitro sempre responsa­bile delle sue scelte, del suo ritmo, del suo equipaggiamento, e del suo rapporto con l’Altro.

1. Prima di partire è necessario fare l’operazione zaino.
Cosa c’è nello zaino dei ragazzi/e? Si tratta di saper vedere cosa hanno dentro la vita a partire dalla loro età: il loro mondo affettivo e sessuale, i loro desideri, le difficoltà.  Poi è necessario anche rovistare nelle tasche dei diversi ambienti ed ambiti vitali: la famiglia, gli amici, la scuola, la parrocchia, il quartiere.
E che cosa c’è nel mio zaino di capo? Io stesso devo saper riconoscere la mia situazione socio-culturale perché comunque sono condizionato dal mio ambiente, dalle forme religiose cui ho partecipato. Sono un capo-testimone che vive con coerenza anche la scelta di fede nella verità e nella libertà?
Ed infine guardare anche cosa c’è nello zaino dell’Associazione?
La carta del coraggio, l’essenzialità vera, l’attenzione agli altri, la strada, l’incontro, l’esperienza di chi ha fatto delle scelte “forti” in realtà di frontiera, sono sempre sfide che ci chiamano in causa. La spiritualità scout, ed in particolare, la spiritualità della strada, sono la nostra eredità e da questo si tratta sempre di ripartire.

2. Una cosa necessaria mentre si cammina: orientarsi.
Orientarsi significa trovare la direzione giusta per rag­giungere la meta.
E’ anche vero che quando ti poni a progettare un sentiero di catechesi per la tua unità ti trovi di sicuro con il cervello che fuma. Dove andare? Come fare? Cosa fare? Verso dove orientare la proposta? Si tratta di far vedere ai ragazzi/e i punti di riferimento fondamentali perché capiscano dove sono nella loro vita, e che vale la pena scommettere di andare verso Gesù: è Lui il Nord! L’atteggiamento dello scout che giunge alla Partenza, si può sintetizzare con questa frase: “Vivere con la fede in Gesù Cristo, unico Signore, nel popolo di Dio: la Chiesa, dichiarando di voler compiere la propria missione nella vita come risposta a una per­sonale chiamata di Dio, con un atteggiamento di ‘fidu­cia nella vita’ con spirito di “servizio” e di “libertà”, con la certezza che lo spirito di Dio è presente in lui per fare un mondo un po’ migliore di come l’ha trovato.” (Progetto Unitario di Catechesi – parag. 17)

3. Come trovare il nord?
Non è sempre facile arrivare a proporre un annuncio che sia semplice e coinvolgente, e che porti nutrimento alle radici del credere. Per affrontare questa avventura abbiamo una bussola, che è la spiritualità scout, e una carta topografica (PUC e Sentiero Fede) che con le loro principali proposte ed elementi ci sono di riferimento per trovare il passo. E’ poi importante usare anche gli strumenti (la trippletta: “Profetico-Sacerdotale-Regale”; e l’altra: “esperienza- simbolo-concetto”; e poi “umano-religioso-cristiano”).

4. L’abitus.
Quando si cammina si indossano abiti adeguati perché “non c’è buono o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento” (che per noi ora è l’abitus del capo scout come catechista ed educatore alla fede nella tradizione e nell’esperienza dell’Agesci).

5. E poi le scarpe!
Due piedi…due scarpe! Anche nella proposta di fede i destinatari sono due: – il singolo ragazzo e – l’unità nella sua globalità (L\C, E\G, R\S) con la quale il ragazzo-a celebra, si confronta con la Parola, cerca coerenza per la testimonianza.

6. Infine è ovvio che alla base ci sta un buon allenamento magari con un buon trainer (= confessore, padre spirituale…)
A me piace definire il nostro stile come “l’incontrare il Signore al meriggio”. Sì incontrare il Signore a mezzogiorno: quando tutta la gente è pienamente immersa nel suo lavoro e nel suo ufficio; quando anche le casalinghe sono di certo impegnate a preparare il pranzo alla famiglia… Non separati dal mondo come i monaci, ma dentro al nostro mondo di cui facciamo parte per starci con Dio, innamorati di Lui. Sì, perché due che si amano non smettono di fare quello che fanno, non abbandonano il lavoro per volersi bene, possono anche guidare l’auto nella loro situazione di innamorati!

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