LO DOBBIAMO A QUEGLI OCCHI

di Oscar Logoteta

Stare in pax, non in pace

Gli occhi dei nostri bimbe e bimbi, e ragazze e ragazzi, sono il test più grande che un capo possa passare. Che tu sia un capo appena entrato in Co.Ca. o con parecchie primavere sulle spalle, quel test lì c’è sempre. Gli occhi di un lupetto o coccinella che ti dice che le manca la mamma alle VdBeC. Gli occhi di un esploratore o una guida che ti chiedono consigli sulla scuola superiore da scegliere. Gli occhi di un rover o di una scolta che ti chiede per cosa voti. In tutti questi interrogativi che ti vengono posti, quegli occhi ti spogliano e non sono ammesse piroette retoriche, devi dare risposte autentiche. Se non lo sono, quegli occhi prima ti giudicano, e poi ti abbandonano.

Ma cosa dà la misura dell’autenticità della risposta? Seppur banale come risposta, la misura SEI TU. Con il tuo percorso. Con la tua storia. Dove le tue radici affondano non in inamovibili convinzioni ma in solide certezze, in granitiche promesse, in robuste scelte. Non in ottusi radicalismi o integralismi, ma in ferme direzioni che sono la bussola del tuo cammino. Per essere educatori credibili, educatori di pace, dobbiamo noi per primi essere in pace con la nostra storia e le nostre radici. Pace intesa nella sua accezione etimologica latina: pax, che significa unire, legare. Bellissimo concetto. Io immagino il capo scout come dunque una persona che mai si senta arrivata, che sempre sia in movimento e che sia forte del legame con le sue scelte. Questo è per me stare in pace, anzi in pax – che non significa stare fermi, anzi.

Non possiamo permetterci di essere capi mediocri. Non possiamo permetterci di essere capi tiepidi. È più facile fare il capo tiepidino. Soprattutto in branca R/S. Certo, ci ritroviamo con Clan da decine e decine di R/S. Perché stanno bene lì, in un ambiente reso comodo dalla tiepidezza del capo. Tutto mite. Ma il nostro compito non è certo farli stare bene. Non siamo intrattenitori. Per quello, ci sono gli educatori professionisti e – viva Dio – noi non lo siamo. Il nostro compito è rendere loro la vita scomoda. Farli faticare. Farli arrabbiare. Fargli fare delle scelte e, perché no, farli uscire – che certo non vuol dire dimenticarsi di loro: io le migliori relazioni, oggi, le ho con chi ha lasciato in noviziato o al primo anno di clan.

Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro a Milano, degli adolescenti di oggi dice: «Non sono né trasgressivi né ribelli ma parecchio allineati. Sono sempre meno interessati al sesso, e siamo solo all’inizio di un processo di recessione della sessualità giovanile. Non organizzano risse per picchiarsi ma per riprendersi con lo smartphone alla ricerca di audience. Non si suicidano per colpa di una challenge in internet o perché trascorrendo troppo tempo davanti allo smartphone dormono poco, ma perché non intravedono un futuro e ne hanno tanto davanti a loro».

E noi capi AGESCI? Vogliamo solo essere bravi a insegnare a fare il nodino giusto? Ad avere l’uniforme perfetta? A dire quanto sia importante andare a Messa – senza magari andarci mai noi per primi? Non possiamo permetterci di prenderli in giro!

Era vero prima della pandemia, lo è ancora di più ora. Noi capi dobbiamo far capire loro che il futuro è una figata. E il presente, lo è ancora di più. E che loro ne sono protagonisti, ora, adesso, dove capiscono che tipo di uomini e donne vogliono essere e diventare. E il futuro sarà loro quando saranno cittadini attivi, presenti sul territorio e in cui troveranno – e ricaveranno – spazio. E noi capi in questo dobbiamo essere facilitatori, lì con loro, non davanti, ma a fianco. Lo dobbiamo a quegli occhi.

Dopo la pandemia un adolescente su quattro ha sintomi depressivi. Significa che sul tuo reparto di quaranta adolescenti, dieci hanno sintomi di malessere mentale. E di questi dieci, due o tre sono a rischio suicidio – dati provenineti dal XXIII congresso nazionale virtuale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf).

Ma ci rendiamo conto della responsabilità che abbiamo? Oggi, ne sono sempre più convinto, siamo un’oasi per i nostri bimbi e ragazzi. In un mondo di adulti distratti. Che non ascolta. Che non è interessato a loro. Noi siamo spesso la loro unica àncora di salvezza. Ed è giusto che ne sentiamo tutta la responsabilità – senza mai perdere la leggerezza che fa parte di quella magica arte di fare il capo.

Quindi dico a te, che alla domanda «Per chi voti?» rispondi «Agli scout non si parla di politica». Sei in “pace” – come don Abbondio – o sei in pax – come abbiamo descritto prima? È simile alla sottile ma dirimente differenza che anche Gino Strada ci sottolineava tra l’essere pacifisti o essere contro la guerra.

Quindi, se dai una risposta di quel tipo, da capo “in pace”, ricordati che quegli occhi ti guardano: inizia a pensare a impegnare il tuo tempo in maniera diversa.

[Foto di Martino Poda]

Un commento a "LO DOBBIAMO A QUEGLI OCCHI"

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    Elisa Del Pero 12 Febbraio 2023 (10:19)

    L’articolo è in massima parte condivisibile. Trovo però quetsa frase uno scivolone: “Ma il nostro compito non è certo farli stare bene. Non siamo intrattenitori. Per quello, ci sono gli educatori professionisti e – viva Dio – noi non lo siamo.”
    Voglio pensare che sia stata solo una uscita infelice. Da pedagogista, educatrice e capo scout, ritengo opportuno fare riferimento a differenze di competenza, purché non siano semplificazioni poco chiare e male interpretabili. Fare l’educatore “professionale” è mestiere assai complesso e che richiede una preparazione specifica continua. Non è come fare il capo scout. Il fine dell’educatore professionale è sicuramente il benessere della persona, in senso globale. Siamo facilitatori e stimolatori del cambiamento che ciascuno sente di dover compiere, anche quando non è chiaro del tutto alla persona che lo vive. Ritengo quindi che siano pochi i capi scout in grado di accompagnare e sostenere questo tipo di percorso. E lo dico da capo scout. Ben venga, invece, la scomodità, il richiamo alla cittadinanza attiva, la stimolazione alla riflessione e all’azione per costruire il mondo che vorrei. Questo è ciò che compete ad un capo scout che non sia tiepido.
    Grazie,
    Buona strada

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