ORGANIZZARE LA SPERANZA

di Anica Casetta

Scelte e gesti tremendamente da educatori, sfacciatamente scout

Giustizia? Pace? Speriamo, ce n’è tanto tanto bisogno.
Ok, qualche idea su come sperare al meglio?
Mi sono fatta l’idea, forse un po’ semplicistica, che possiamo sperare in due modi: seduti, aspettando e incrociando le dita, oppure in piedi con lo zaino in spalla e la cartina in mano.
Questo secondo modo di sperare mi pare fare meglio il paio con la nostra vocazione all’essere artefici del mondo che cambia, al futuro, all’educazione.
Dobbiamo allora prepararci perché per sperare così, la speranza va organizzata. Sembra un ossimoro, un bell’esempio tratto da un manuale di grammatica, di parole nella stessa locuzione che esprimono concetti contrari. Sembra, ma non lo è, perché organizzare non è pre-definire e la speranza non è un’illusione.
Se la speranza la immaginiamo lì a volteggiare nel vuoto, pronta a concretizzarsi e a caderci addosso quando meno ce lo aspettiamo, allora stiamo pure seduti e attendiamo.
Ma se la speranza è un futuro sognato la cui probabilità di realizzazione non è dovuta al caso, ma è direttamente proporzionale alla consapevolezza di ciò che è e a un meditato slancio verso il futuro, allora su in piedi, si spera!

Come possiamo allora sperare in piedi?
Ce lo dice don Tonino Bello: dobbiamo organizzare la speranza traducendola in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura, in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico perché la speranza è opera di muratori.
La speranza è operante. Scelte, impegno, concretezza, progetto hanno un denominatore comune: sporcarsi le mani. È faticoso anche sperare allora? Mi sa di sì. Lo è però con la consapevolezza che la speranza non è una scommessa basata sul caso, ma sulla fiducia, sul cuore e sulle azioni.
Ce lo dice Rosaria Cascio, alunna di Padre Pino Puglisi e segretaria del Centro Diocesano Padre Pino Puglisi: “Il riscatto, ovvero la speranza di una nuova vita, va meditato, pensato, progettato, è necessaria una testimonianza alternativa, costante, disinteressata di un modello alternativo” (leggi la sua testimonianza a pag. 14).

La speranza è esserci, è testimonianza. È crederci talmente tanto che già faccio quello che spero avvenga. Lo faccio per gli altri, così da essere d’esempio di un’alternativa possibile. Lo faccio per me, per dar corpo e per misurarmi su ciò che per me auspico.
Lo abbiamo detto nel documento Artigiani di Pace, approvato all’ultimo Consiglio Generale, e che trovate allegato a questo numero di Pe: «Guardare alla nostra storia non per alimentare la nostalgia, ma per essere memoria operante che affronta le sfide di oggi con rinnovato slancio».
La speranza è futuro che si nutre di passato e presente. La speranza non si realizza saltando, ma facendo strada, orientandosi tra le nostre radici, i nostri desideri, il nostro essere e rileggendo il nostro vissuto. Un po’ come si fa quando si riprende in mano un libro: si va al punto indicato dal segnalibro e si rileggono un paio di paragrafi prima per poi procedere… più attrezzati verso il futuro.
Ce lo dice Papa Francesco, in occasione della Giornata mondiale della Pace 2020: «La speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili».
La speranza è coraggio, che prevede anche un po’ di rischio, quello dell’insuccesso. Se ciò accadesse, avremmo quindi sperato inutilmente? Avremmo certamente seminato e a guardar bene qualcosa sarà comunque cresciuto, forse non quello o quanto ci aspettavamo. È stato un problema di acqua, di errata esposizione al sole, di terreno troppo acido? Indaghiamo.
Ce lo dice David Sassoli: «La speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo ogni forma di ingiustizia».
La speranza è collettiva. Anche voi e loro sono pronomi collettivi, ma qui si parla di noi, prima persona, quella in cui ci si è dentro fino al collo, ed è plurale, non singolare. La speranza si può camminare insieme. Si potrebbero qui sprecare le citazioni a tema, ma credo la nostra esperienza di strada fianco a fianco ci parli a sufficienza.
Concludo solo condividendo la sensazione che questa speranza così organizzata sia una cosa terribilmente umana, tremendamente da educatori e sfacciatamente scout.
Eccoci, umani, educatori e scout, pronti a educare anche alla speranza! Magari di pace e di giustizia. E allora «Auguri a noi, auguri alla nostra speranza!» (David Sassoli).

[Foto di Andrea Parato]

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