Il test della forcola

[di Emanuela Schiavini]

E’ l’alba. La rugiada copre leggera l’erba che calpestiamo trascinando i piedi, mentre raggiungiamo la chiesetta che si affaccia sulla pianura. Parliamo sottovoce, forse per rispetto alla natura che si sta destando o forse semplicemente perché ancora assonnati, dopo una notte –breve- trascorsa a vegliare. Qualche novizio domanda curioso cosa cadrà esattamente: è la sua “prima volta”.  Luisa, una scolta anche lei prossima alla Partenza, risponde: “Dopo l’Eucarestia Stefano leggerà una lettera che ha scritto per la Comunità esprimendo i valori che ha fatto propri, le sue scelte e i suoi impegni. Rinnoverà la Promessa e riceverà alcuni simboli, ad esempio la forcola che insieme ieri abbiamo scelto per lui. Ci saluterà e partirà.. Vedrete, sarà un momento forte e bello…!” “Ma poi? –incalza sottovoce qualcuno- Poi cosa farà? Entrerà in Co.Ca?”.

La domanda che si fanno tutti, sempre, dal novizio al capo reparto, pensando al cammino post-Partenza di Stefano (o chi per lui), è proprio questa: entrerà in Co.Ca.?

Il percorso educativo scout accompagna i ragazzi a conoscere il mondo e se stessi e a maturare scelte solide, libere e autentiche, fondate su una comprensione e interiorizzazione profonde e vere della Promessa scout. Come capi siamo chiamati a mostrare a ciascun R/S le numerose possibilità di servizio e impegno nel territorio, a suscitare domande curiose e risposte personali e profonde, a preannunciare le infinite strade tra cui sarà chiamato a scegliere mettendo in campo i valori in cui crede e i carismi che gli appartengono, ricercando sempre le ragioni profonde per intraprendere una via e abbandonarne un’altra.

La forcola racconta questo: sei un uomo, sei una donna capace di scegliere. Che sceglie di vivere sulle orme di Cristo e rimanendo fedele a una legge di cui riconosce il valore; che sceglie di compiere il proprio dovere nel suo territorio e che desidera mettersi al servizio di ogni fratello che incontrerà lungo la strada. E qui, allora, –se ancora ce ne fosse bisogno- sfatiamo un intramontabile mito: non si parla di partenza associativa, perché sarebbe limitante e toglierebbe valore e pienezza ad una scelta che è ben più estesa e profonda. Non esiste il servizio associativo o quello extra: esiste la scelta di servire. Chiediamo a un R/S non un impegno occasionale ma l’interiorizzazione di uno stile di vita, un atteggiamento di perenne ascolto e disposizione verso il prossimo che, dopo la Partenza, si potrà concretizzare nel servizio associativo o in mille altri modi e –soprattutto- verrà vissuto nel tempo in modo nuovo e diverso in base a nuove sensibilità, esigenze e disponibilità, e –perché no- a diverse stagioni della vita.

Ecco allora che entrare in Comunità Capi, intraprendere un servizio educativo in Agesci, non è un semplice passaggio automatico, un percorso per gli eterni affezionati che non sanno dire al proprio gruppo “ciao, grazie” o la risposta a un invito (non troppo) velato a dare una mano perché si rischia di chiudere un’unità. E’ una scelta. E’ una delle prime scelte che Stefano e Luisa saranno chiamati a compiere con quella forcola in mano, una delle prime occasioni in cui testeranno se sanno ricercare, anche per decisioni talvolta banali e quasi scontate, le motivazioni profonde per intraprendere il cammino. È una sorta di “test della forcola”!

Noi capi, per contro, abbiamo il dovere della chiarezza e del rispetto.

Il servizio educativo è affascinante, stimolante, stupendo; ma è anche impegnativo ed esigente, in termini di tempo e umanamente. Dobbiamo essere chiari e onesti nello spiegare (o nel ricordare) che scegliere di entrare in Comunità Capi significa sentire come proprie non solo le scelte della Partenza, ma le scelte del Patto associativo, richiede disponibilità a formarsi, per il bene dei ragazzi che ci sono affidati, esige il desiderio di costruire relazioni autentiche e significative con ragazzi e con adulti, richiede tempo, impegno, fedeltà. E’ doverosa la comprensione delle motivazioni al servizio in associazione e la chiarezza di ciò che sta alla base della scelta di essere capo e di ciò che concretamente significa fare servizio in Agesci.

Allo stesso tempo abbiamo il dovere di mettere al primo posto, ancora una volta, il bene del singolo e dei ragazzi che ci sono affidati. È necessario rispettare, senza pressioni, scelte diverse, che possano magari essere per quella persona risposta più “significativa e felice” alla chiamata a servire il prossimo, anche se il gruppo arranca perché i capi sono (troppo) pochi: i nostri ragazzi hanno il diritto di essere accompagnati da persone che hanno scelto consapevolmente e serenamente di essere loro fratelli maggiori.

Ecco allora che nell’accompagnare dei futuri capi dalla Partenza alla Co.Ca dobbiamo saper, ancora una volta, uscire da qualsiasi automatismo, di modi e di tempi, e comprendere di cosa ha bisogno chi stiamo per accogliere. Non ha senso tenere un giovane fuori dalla Co.Ca. per un intero anno per “abitudine”, né ha senso “promuoverlo”, automaticamente il giorno dopo la Partenza, da rover in servizio ad aiuto capo reparto. Tempi e modi vanno incontro alla storia di quella persona, che la Comunità Capi deve impegnarsi a comprendere, anche grazie alla condivisione dei percorsi di progressione che in particolare i capi clan conoscono. Ai Capi Gruppo –ma non solo- è affidato quindi il compito di accompagnare e sostenere i giovani capi nei loro primi passi.

Chiarezza e rispetto. Accompagnamento e sostegno.

La forcola ricorda a chi parte di essere un uomo o una donna capace di scegliere. E ricorda a noi il dovere di educare, accogliere e accompagnare, ciascuno a suo modo, in queste scelte.

Dalla Partenza alla Co.Ca? C’è’ il test della forcola. Per loro e per noi

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