Il sogno? Non è di Dio ma con Dio

di Vincenzo Pipitone

«Una vita impegnata e sensata, con una moglie e tanti bambini: questo era il mio Sogno da ragazzo. Ho lavorato per tanti anni, vivevo da solo, avevo una ragazza, di tutto ciò poi è rimasto il desiderio grande di impegno e di senso: dopo un cammino di maturazione nella relazione con il Signore, il modo con cui realizzare quel sogno è cambiato e ho scelto la consacrazione religiosa». E proprio di sogno parliamo con padre Francesco Cavallini, gesuita, «un cercatore della vita, della qualità della vita», come lui stesso si definisce.

Padre Francesco, il sogno è strada o meta, metodo o fine di un percorso?

«Il sogno è il desiderio di una vita sensata, quindi piena, che si va costruendo. Non c’è una strada già data ma una strada che va formandosi, dove il sogno è una bussola, non è una mappa. Il sogno orienta, ma il modo in cui si declina concretamente è qualcosa che tu vai costruendo con le tue capacità, passioni, sensibilità, qualità».

Come si fa a coltivare il sogno?

«È fondamentale la consapevolezza di sé, nel doppio senso di sapere chi si è e di sapersi ascoltare: questi sono gli strumenti per inseguire il sogno, alimentato dal Dio alleato e dalla concretezza della vita. Chi sono io? Che messaggi mi sta dando la vita? Nell’Eucaristia Gesù dice “questa è la mia alleanza”. Abbiamo un Dio che parla attraverso la vita, attraverso l’azione dello Spirito in noi, da saper riconoscere. Un Dio che ti aiuta a tirare fuori il meglio di te, perché è un Dio che insegna ad ascoltare la vita, attraverso la sua Parola».

Talvolta tenere troppo i piedi per terra impedisce di sognare…

«Se ascolti solo il sogno e non ti confronti con la realtà, rischi di vivere una vita fatta di un mondo fantastico. Uno che non si ascolta, che non è consapevole dei suoi desideri, sensibilità, talenti, rischia di delegare le proprie scelte a ciò che gli accade nella vita, al fato. Ma spesso non siamo educati ad ascoltarci e ad ascoltare la propria vita».

Spesso si parla di “disegno di Dio” come qualcosa da rintracciare a prescindere dalla nostra libertà. È così?

«Parlare di disegno di Dio come qualcosa di già dato è una perversione che fa molto male. Il disegno non è di Dio, ma con Dio; è l’incontro tra due libertà e due generosità, non c’è niente di già dato. Parlare di progetto di Dio spesso produce, in special modo nei ragazzi, la frustrazione del “speriamo che Dio non mi chieda di…”. Altro che Dio alleato, ma un Dio che ti frega! La conseguenza è abdicare alla responsabilità che hai di fronte a Dio, a te stesso, agli uomini. E il delegare è esattamente l’antivisione biblica e cristiana della vita e della libertà. Tu hai in mano la tua vita e ne sei responsabile, solo che fai fatica e quindi vuoi essere guidato. Se fossi dio sarei io a chiederti: dimmi cosa vuoi, io sono qui per aiutarti».

Libertà e fedeltà, parliamone.

«Non c’è scelta, anche la più bella, che non incontri la croce e la morte, nel senso di fatica, e che costi. Capita in tutte le scelte, anche in quella del capo scout, che la scelta a un certo punto ti pesa: pesa non vedere gli amici perché c’è riunione o usare le ferie per i campi. C’è un momento in cui rimanere fedeli al servizio (come al tuo lavoro, alla tua missione, a tua moglie) vuol dire morire al proprio ego, al proprio tornaconto. Tuttavia, siccome facciamo fatica, spesso si è infedeli e non si porta a termine il proprio servizio. Il passaggio all’adultità sta nell’attraversare l’esperienza della morte che incontriamo nelle nostre scelte, specialmente quando queste sono radicali. La realizzazione del sogno non può prescindere da questa esperienza. Ma la morte è abitata dalla vita, chi può attraversare la morte se non chi crede che in quella morte trova la vita? Ecco la forza che viene dalla Resurrezione! Ecco perché crediamo nella risurrezione! Questo permette di essere libero dalle paure e più fecondo, perché proprio nell’essere fedele si diventa più fecondi in quel servizio, in quella professione, in quella relazione».

Hai parlato di comunione e relazione, esiste una dimensione collettiva del sogno?

«Non c’è sogno autentico che non implichi una fecondità per gli altri. Negli scout, i migliori progetti nascono dal sognarli insieme. Occorre tenere insieme peculiarità ed unicità di ognuno di noi, inseriti in una relazione».

In questo periodo difficile alcuni continuano a vedere il buio “oltre le nuvole più nere”.

«Se crediamo che Dio è l’alleato, se viviamo la dinamica dell’ascolto di sé e della Parola, riconosciamo che il Signore anche nelle situazioni peggiori dà delle luci ed è all’opera per te. I maestri spirituali chiamano questa dinamica la consolazione senza causa , per me è la prova provata dell’esistenza di Dio: quella pace del cuore che non è frutto delle cose che ti vanno bene, ma quella che è esperibile anche prove più dure. Mi viene in mente Etty Hillesum che ad Auschwitz sperimentò l’azione dello spirito: pace, serenità, coraggio. Il Signore non cambia la realtà esterna, ma sei tu che affronti in modo diverso la vita».

Come si raggiunge la consolazione senza causa?

«Con strumenti di vita spirituale adulta: per l’appunto l’ascolto di sé, le regole del discernimento, la meditazione, imparare a fare le scelte in sintonia con lo Spirito che lavora in noi, che mediamente gli scout non hanno, attraverso i quali sperimenti che malgrado tutto anche la situazione più negativa nasconde un’opportunità. Tanta gente ha fatto scelte “grazie” a questa pandemia».

Sognare è scegliere e… riscegliere!

«Un passaggio fondamentale nelle scelte è appunto quella del morirci dentro, altrimenti si va avanti fino a quando non costa troppo. Ma questa consapevolezza è frutto di un cammino che inizia dopo aver fatto le prime scelte importanti, per esempio di lavoro e familiari: inizi a chiederti se è proprio quello che volevi fare nella vita. In quel momento di disincanto esistenziale devi essere aiutato a ridire il tuo sì, in modo più consapevole: è un percorso che il capo scout deve sperimentare proprio adesso che si fa dura. A quei capi che non hanno scelto fino in fondo manca proprio quel sì… Per questo arriva il momento in cui tutto diventa faticoso, perché non hanno messo in conto l’incontro con la morte. Per noi cristiani, se non mettiamo in conto che i nostri progetti prima o poi si confronteranno con la croce (che oggi chiamiamo pandemia), significa che non sono costruiti con Dio e nella logica divina (o del Regno)».

Per ulteriori approfondimenti o domande scrivere a cavallini.f@gesuiti.it

[Foto di Nicola Cavallotti]

Nessun commento a "Il sogno? Non è di Dio ma con Dio"

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.
    I tuoi dati personali, che hai fornito spontaneamente, verranno utilizzati solo ed esclusivamente per la pubblicazione del tuo commento.