I social-cosi per (re)incontrare i ragazzi

Avvertenze. Doveva uscire un pezzo sui social network come luoghi dove incontrare i ragazzi, ma dopo TAG THE BOY (rif. numero precedente p. 43) che cosa vuoi dire di più? Per fortuna che le cose non capitano mai a caso.

Il fatto. (Una storia vera). Mercoledì sera, ore 21, fine cena e riunione di CoCa a seguire. Il Capo Gruppo sfodera il suo iPhone. “Ho una comunicazione per tutta la CoCa”. E attacca leggendo questa, parola per parola.

Qualcuno ride. Qualcuno sbuffa e qualcun’altro fa entrambe le cose. C’è chi grida “alè” e chi, stimolato, si alza e va in bagno. Per inciso: info@scouteguide.it è l’indirizzo email della Federazione Italiana dello Scautismo e quelle nuvolette offuscate sono rispettivamente il nome di un ragazzo che ha da pochi mesi lasciato il Reparto e del suo gruppo. Michele (così lo chiameremo) scrive a nome di altri fantomatici e innominati amici di un gruppo limitrofo, risultati poi inesistenti.

Sì, le comunicazioni tra le strutture associative funzionano e sono pure veloci! Prima di arrivare a destinazione, la mail ha percorso lesta, tutta la gerarchia associativa: Comitato federale, Comitato nazionale, Regione, Zona, e gruppo con un’unica incessante domanda: “che succede?”.

Ovviamente la diarchia vuole che in CC ci sia sempre la responsabile e il responsabile di ogni struttura. E durante la lettura, l’arrossamento del viso, proporzionale al numero di indirizzi email, è oramai impossibile da nascondere.

Poi, in fondo alla boscaglia di chiocciole e punto it, vera come la pioggia al campo estivo, c’è quella frase: “in questi anni ci siamo accorti che il n di componenti dei nostri reparti / clan / branchi si è dimezzato”. Non contento di averti ferito, non tanto nell’orgoglio (che hai capito di dover mettere da parte) quanto nel fatto che tu lo sai che a modo suo ha ragione, c’è il resto: “ci piacerebbe fare qualcosa in sieme a voi per far tornare in voga lo scoutismo in italia”. In soldoni: caro Capo, fino ad adesso non ha(i) funzionato. Né con me, né con gli altri.

Le reazioni. Michele del resto, non ha mai saputo l’italiano. Può anche non sapere che scautismo si scrive con la “a”, ma “in sieme” proprio non si può leggere. “italia” con la i minuscola poi. Da quando ha lasciato il Reparto, non ha fatto altro che punzecchiare gli altri ragazzi quando li vedeva. Colpa dei genitori. Gli hanno sempre fatto fare quello che voleva. Era chiaro che prima o poi avrebbe lasciato, no? Poteva dircelo. Poteva parlare con noi, prima di piantare tutto ‘sto casino.

I pensieri e le emozioni corrono veloci. Sono tanti: un sottile strato di rabbia, un po’ di incredulità e un senso diffuso di delusione mista a imbarazzo. Non è questa la sede per indagare la psiche di Michele e non credo sia neanche tra i compiti del Capo. Può forse essere più utile leggere le proprie emozioni, dargli un nome e scoprire che, a ben guardare, il numero dei ragazzi si è dimezzato agli occhi di Michele perché è lui che ha lasciato. E che forse fare qualcosa insieme vuol dire: ehi guardate, sono qui!

I pensieri. I ragazzi ci mandano tanti segnali da interpretare. La loro fantasia spesso ci stupisce e il terreno (o territorio) su cui si gioca la relazione, che ci piaccia o no, ha confini poco definiti: coinvolge anche la nostra parte più virtuale, ma non per questo meno vera.

Quante volte finiamo una riunione con “poi lo scrivi su FB vero?” oppure “metti le foto sul sito?”, “taggami però, eh”. La timeline di Facebook così, diventa uno dei luoghi dove mettere insieme (e in ordine) i pezzi della propria storia e la rete è vissuta come spazio di esperienza, come un’estensione naturale dello spazio vitale quotidiano (rif. numero precedente p. 43). Allora noi, che siamo parte di quella storia con loro, dobbiamo esserci. Dobbiamo lasciare aperta quella porta.

Dice il detto: i social network sono per tutti, ma non tutti sono per i social network. Non dobbiamo per forza andare tutti online, ma è importante sapere che lì i nostri ragazzi ci sono. Che lì, nella rete, succedono delle altre cose. Delle cose in più, delle cose oltre. E che magari, se abbiamo già lanciato un’esca, lì ne possiamo lanciare un’altra ancora. Se non avevamo capito il perché di quella rispostaccia, lì forse possiamo aggiungere elementi per capirci qualcosa in più. Non si tratta di sostituire le relazioni, ma di integrarle su un nuovo terreno di gioco.

Come “non possiamo non comunicare” (P. Watzlawick), anche noi oggi non possiamo più prescindere da questi mezzi e da questi spazi di comunicazione online: dobbiamo necessariamente considerarne l’esistenza e la frequentazione che i nostri ragazzi ne fanno. Che ci piacciano o no, che le riteniamo “diavolerie che li stordiscono” o meno, dobbiamo però ammettere che loro sono molto più bravi di noi a gestire la molteplicità delle conversazioni. Mentre noi, alle volte, ci sentiamo sovrastati da questo information overload.

E scordiamoci che questo modo di comunicare sia più controllabile di altri solo perché mediato dalla tecnologia: ne è un esempio la mail oggetto di questa storia. Ma non disperiamo, con pazienza e umiltà facciamoceli raccontare dai nostri ragazzi questi social network, scopriremo sicuramente qualcosa di nuovo. “Sono i social, bellezza!”

Epilogo. Abbiamo ricontattato Michele. Non è ancora tornato, ma abbiamo fatto una bella chiacchierata mentre ci aiutava a sistemare la sede. E’ sempre stato un buon magazziniere.

Denis Ferraretti

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