HAPPINESS IS ONLY REAL WHEN SHARED

di Letizia Malucchi

Se sono “felice” soltanto io, non conta nulla

Mi trovavo lungo il Cammino di Santiago, ormai diversi anni fa, in uno di quei tratti decisamente meno poetici, un po’ brulli, con la strada statale vicino, con quella tipica vegetazione da bordo dell’autostrada. Stavo parlando con un amico conosciuto lungo il percorso di massimi sistemi gesticolando col mio inglese un po’ maccheronico, pochi passi dietro di me la mia compagna di strada, anche lei capo in un’altra Comunità capi, anche lei studentessa universitaria, con cui avevamo messo in campo questa piccola follia, lì piazzata in mezzo a un anno scout e accademico che pareva già stracolmo così. Camminavo, e ad un tratto l’ho vista; una scritta straripante di colore, lasciata da qualche graffitaro filosofo, sul pilone di uno squallido cavalcavia, ma che brillava come un sole tanto riverberava di una verità che potevo capire così bene in quel momento: Happiness is only real when shared. La felicità è autentica solo se condivisa. Un flash, un pensiero, che mi ha fatto compagnia in tante situazioni in cui chiudersi nella mia comfort zone sarebbe stata la soluzione apparentemente più semplice, ma che in realtà mi avrebbe portato ben lontano dalla risposta esatta. Una frase che si concretizza nel sorriso della buona azione del lupetto, nella fiesta per specialità di squadriglia, nella vita comunitaria del clan. Si è incarnata ancora nei giorni nell’anniversario della fondazione del nostro gruppo scout, rivedendo accanto quei capi che erano stati la Co.ca. vecchia e quella nuova, generazioni di felicità che si sono passate un testimone, mani che si stringono, braccia che si aprono, e il mio privilegio di rileggere nella mia vita ancora una volta quella frase, happiness is only real when shared. Mai come nell’attività scout ho vissuto la consapevolezza di quanto la mia felicità fosse funzione della felicità degli altri, senza che questo però ci renda insicuri o incompleti, senza che ci permetta di autodeterminarci o di seguire le nostre uniche peculiarità di individui.

Mi piace pensare che la felicità parta da noi stessi, dai nostri sogni, dai nostri talenti, tutti bagagli da portarsi appresso come uno zaino ben fatto per poter camminare al meglio, ma il cui fine ultimo è quello di proiettarci verso l’altro, di andare oltre di me.

Quando mi hanno chiesto che forma avesse la mia felicità ho pensato subito alla sagoma di una bella tavola rotonda, attorno alla quale stringersi per parlare, mangiare, discutere, raccontarsi. Perché quella tavola rotonda è il luogo privilegiato dove mi interesso della condizione e della felicità del mio prossimo, che vale proprio quanto la mia e che d’altra parte ognuno si costruisce nella relazione con l’altro. La felicità è una condizione sociale e comunitaria, non individualista, o tutti o nessuno, qui è il problema (e la ricchezza) della questione. Happiness is only real when shared, se sono felice soltanto io non conta nulla. Happiness is only real when shared, ti amo davvero quando capisco che la tua felicità vale come o di più della mia. Si può insegnare questo ai ragazzi? Senz’altro si può viverlo e testimoniarlo “a squarcia gola”, esagerare nell’amore, lasciare che questa felicità benedetta rompa gli argini e si moltiplichi, perché «quando viviamo in pace, Dio è in Gloria» (don Ignazio Pansini).

[Foto di Andrea Pellegrini]

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