Dall’io al noi

di Vincenzo Pipitone

Perché e come educare oggi. Ne parliamo con il “maestro” Marco Rossi Doria

«Siamo in una fase difficile per milioni di cittadini, e in particolare per tantissimi bambini e bambine, ragazzi e ragazze che, anche a causa della pandemia, scivolano nella povertà economica, e ancor più nella povertà educativa». Abbiamo incontrato Marco Rossi Doria, maestro elementare dal 1975 in quartieri difficili di Roma e Napoli (ha insegnato anche all’estero, Stati Uniti, Kenya, Francia). Primo maestro di strada, esperto dei processi di apprendimento e delle politiche di inclusione, è stato Sottosegretario di Stato all’Istruzione. – Dice Papa Francesco «educare è un atto di speranza» «Educare è una funzione umana, non specialistica o professionale, è il passaggio di consegne da una generazione a un’altra, tipica dell’umanità. Hannah Arendt affermava che ognuno di noi condivide le responsabilità della generazione a cui appartiene. Quando io ero adolescente (nel ’68) chiedevo conto a mio padre di quanto avesse fatto o meno la sua generazione nei nostri riguardi e lui mi rispondeva che certamente avevano commesso errori, ma ci consegnavano un mondo in cui le donne finalmente votavano, l’aspettativa di vita era aumentata etc. Cosa rispondo a mio figlio a una domanda di analogo segno? Abbiamo danneggiato il pianeta, accumulato enormi debiti, non compiuto riforme necessarie, creato le condizioni per un forte squilibrio demografico. È auspicabile un rapido passaggio di consegne alla “generazione di Greta”. Con umiltà ciascuno di noi è chiamato a dire “ammetto di avere sbagliato e, per poter riparare, questo è il tempo di stare accanto ai giovani – e solo se so farlo – assumo un ruolo di consigliere attingendo a esperienza e competenza”». – Sempre Francesco invita a sottoscrivere un Patto Globale per generare un cambiamento di mentalità attraverso l’educazione. Qual è il rinnovamento di cui parla il Santo Padre? «Si tratta di passare dall’IO al NOI, di parlare in prima persona plurale e fare tutti gli sforzi perché questo avvenga sempre. È interessante reperire indicazioni sui compiti educativi dall’attuale situazione e anche dall’antico. Le fonti ci mostrano la consapevolezza, nell’antichità, dell’importanza del NOI, una cosa che attraversa ogni cultura umana perché costruita dall’esperienza umana. Così, in Luca, 10:25, Gesù – riprendendo quanto scritto nella Torah, in Levitico 19:18 – disse “ama il prossimo tuo come te stesso”. Non disse meno né più di te stesso. È uno dei grandi esempi del porre l’altro davanti a te, in via egualitaria. Nel sistema dell’economia l’individualismo ha mostrato il suo fallimento. Detto in modo molto laico, l’educazione deve essere la cura di luoghi dove si apprende insieme, la cura del riconoscimento dialogico tra le persone, la cura della circolarità dei processi di apprendimento».

Un proverbio africano recita “per educare un bambino serve un intero villaggio”. Qual è il nostro ruolo in questo villaggio? «Lo scautismo ha nel suo DNA la salvaguardia di rituali che si stavano perdendo e che derivano antropologicamente da una storia umana infinita, come i riti di passaggio, il trasferimento inter-generazionale delle responsabilità. Questo trasferimento ha un potente valore educativo perché attiva una situazione simbolica che si lega ad azioni operative: Tu fai per apprendere e lo rimarchiamo con un rito, condiviso. Nello scautismo non sono io da solo che vivo l’esperienza, ma lo sto facendo insieme ad altri che hanno la stessa età». – I Maestri di strada sono un’intuizione vincente. Se dovesse tratteggiare l’educatore ideale, quali sarebbero le sue caratteristiche? «Sigmund Freud affermava che ci sono tre mestieri “impossibili”, perché si muovono in un’incertezza molto marcata: governare, amare, educare. Possiamo fare di tutto per ridurre danni o allestire importanti opportunità di crescita, ma nel mondo educativo ci si muove nell’incertezza, quindi non esiste l’educatore ideale ma l’educatore possibile. Un educatore che nonostante i suoi fantasmi e limiti fa di tutto per migliorare anche il suo cammino. Mi piace pensare all’educatore artigiano che è parte di una bottega di artigiani, che fa tutto ciò che è possibile, entro le condizioni date, con le persone che ha accanto a sé, con gli strumenti a sua disposizione. L’educatore è colui che sa osservare con tutti i sensi, limitando le sue proiezioni, che non separa il corpo dalla mente (come insegna proprio lo scautismo), che riconosce che noi umani impariamo per “sviluppo prossimale” di quel che già sappiamo ma anche “per salti” e che l’esperienza, a un tempo emotiva e cognitiva, è il motore dell’apprendere. Perché ciò sia, sono i ragazzi i padroni del proprio destino, tu sei un accompagnatore e ciò implica che tu devi aiutare quella persona a scoprire se stesso, la propria inclinazione. C’è una bellissima metafora nel Talmud che dice: Nel mondo che verrà non ti sarà chiesto “Marco perché non sei diventato Abramo?”, ma “Marco perché non sei diventato Marco?”. Diceva Martin Buber che c’è l’azione dei ragazzi che tu magari hai promosso, poi ad un certo punto ti devi scostare ed assumere una posizione terza, sufficientemente vicino ma anche sufficientemente lontano perché quello che fanno sia autenticamente loro». – In Italia le diseguaglianze educative sono marcate. Quali sono le “Barbiana” di oggi e cosa si può fare? «Come presidente di Con i bambini posso affermare che dove funziona la rete tra soggetti del Terzo settore, comuni, famiglie, scuola, i partenariati che noi sosteniamo riescono a raggiungere tutti, a rimotivare, a riprendere il cammino rielaborando anche le difficoltà, a trovare soluzioni innovative, a mobilitare attori prossimi ai ragazzi/e. Tutti oggi parlano di “comunità educante”, ma sono i progetti che davvero mettono insieme più attori che riescono meglio».

Cosa possiamo dire all’educatore sfiduciato? «Chi fa da tanti anni l’educatore ha vissuto momenti di sfiducia, sa che capita. C’è bisogno di un tempo per sé, di pausa riflessiva e di riflessione formativa, e di tornare alla propria infanzia per capire la propria fatica (vi consiglio di ritornare con il pensiero a quando eravate voi ragazzi scout perché quella è una sorgente per rimotivarsi). Abbiamo bisogno di una epoché, di creare con chi ci sta accanto un clima di sospensione del giudizio, in cui mettere in comune le proprie fragilità, per lasciarle sedimentare e così cercare poi di uscire insieme dalle difficoltà e dare risposte comuni. Anche qui deve prevalere il noi, per ritrovare il desiderio e non il dovere di fare le cose».

Marco Rossi Doria

Nel 2001 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica la Medaglia d’oro per la cultura, l’educazione e la scuola. Ha fondato l’Associazione IF, ImparareFare e oggi è Presidente di “Con i bambini”, impresa sociale che si occupa di contrasto alla povertà educativa minorile attuando il Fondo nazionale a ciò destinato per volere delle fondazioni di origine bancarie, governo e forum del terzo settore.

 

[Foto di Nicola Cavallotti]

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