Cosa c’era prima della comunità capi?

di Carlo Guarnieri da Scout – Proposta educativa, anno 1978 (anno IV, n°24 – pag. 12 -15) – prima parte

Ricordare e per alcuni conoscere cosa c’era prima può aiutarci a capire meglio il significato di questa grande rivoluzione e il modo migliore per viverla.

Da un punto di vista storico (con la «s» minuscola naturalmente) , cioè un certo numero di ragazzi o ragazze, compresi in un arco omogeneo di età, sotto la guida di un capo o una capo. Per quanto mi ricordo, normalmente si formava prima un reparto, poi poteva sorgere il branco o il cerchio e solo dopo qualche anno – man mano che la gente cresceva – si dava origine al fuoco o al clan. In fondo nel nostro scautismo si è ripetuto lo stesso itinerario seguito dal pensiero di B.-P. che, come è noto, inventò prima gli esploratori e solo in seguito i lupetti e i rover.

Il Gruppo e il Ceppo
Sin dai primi anni cinquanta, due o più unità con la stessa origine e le stesse tradizioni danno origini al Gruppo (ASCI) o al Ceppo (AGI), cioè ad una struttura locale nell’ambito della quale il ragazzo e la ragazza potevano compiere il loro cammino educativo, passando appunto da una unità all’altra. Poiché però i collegamenti fra le varie unità di un Gruppo erano all’inizio molto vaghi, più che di passaggi si dovrebbe parlare di salti, che spesso terminavano in malo modo, dando origine ad uno degli eterni problemi dello scautismo: le perdite. In ogni modo, il Gruppo e il Ceppo sono una prima risposta, molto incompleta come vedremo, all’esigenza della continuità educativa fra le varie Branche, in attuazione di quella unità del metodo scout che era sin dall’inizio nell’intuizione di B.-P. Questo ruolo così prevalente dato alle unità, è codificato nelle norme direttive (così si chiamava il regolamento) delle due associazioni in modo estremamente chiaro:

ASCI ‘49 – …le unità fanno normalmente parte di un Gruppo… Ogni unità vive con ampia autonomia. …le singole unità vivono nel Gruppo in modo assolutamente indipendente (anche se) … armonizzano (!).

AGI ‘53 – …l’unità è il fulcro della vita dell’associazione. Essa vive, perciò, con autonomia di programmi e riunioni. …una o più unità che abbiano in comune origini e tradizioni, possono convergere (sic) in un unico Ceppo.

ASCI ‘60 – … il Gruppo è costituito da una (sic) o più unità… le quali, con comunanza di spirito e di tradizione e con coordinamento di azione, assicurano ai propri appartenenti l’attuazione dell’intero ciclo della formazione scout.

AGI ‘69 – Il Ceppo è formato da più unità aventi tradizioni comuni o rapporti di interscambio. Anche se nel tempo appare evidente una certa evoluzione e un diminuire dello schematismo, la vera e prevalente funzione del Gruppo e del Ceppo resta quella di consentire ai ragazzi la possibilità di attuare tutto l’iter formativo scout in un certo ambito locale, oltre che di assicurare la continuità delle tradizioni.

 

Il Consiglio di Gruppo
Già nelle direttive ASCI del ‘49 viene istituito però un organismo che dovrebbe rendere questo collegamento fra le varie unità più concreto ed efficace: Il Consiglio di Gruppo. Si tratta di un organismo forse un po’ troppo composito, al quale prendevano parte un rappresentante dell’Ente promotore (la Parrocchia o l’Istituto presso cui viveva il Gruppo), con funzioni di presidente, un rappresentante dei genitori e tutti i Capi e gli assistenti ecclesiastici delle unità. Compito del Consiglio di Gruppo era assumere la “responsabilità morale ed amministrativa del Gruppo”.
Nel ‘60, sempre l’ASCI fa un passo avanti: diventa infatti competenza del Consiglio di Gruppo nominare i capi unità. Un’intuizione quasi… profetica. Viene però creato anche un altro organismo, la Direzione di Gruppo, di cui sono membri solo i capi e gli assistenti ecclesiastici delle unità, al quale viene affidato il “buon andamento del Gruppo”(!) oltre al compito di designare i Capi unità. Evidentemente il legislatore scout si era accorto che il Consiglio di Gruppo era una struttura un po’ troppo complicata e composita, per poter funzionare con continuità, senza andare perio- dicamente in crisi. Di fatto in moltissimi Gruppi il Consiglio di Gruppo finì per essere messo in naftalina e tirato giù solo nelle grandi occasioni, mentre la Direzione di Gruppo ne assunse i poteri, continuando però quasi sempre ad essere il luogo dove si discuteva di soli problemi organizzativi e quasi mai di problemi educativi.
Con molto più buon senso e realismo, l’AGI non codifica un organismo di questo tipo, lasciando evidentemente alla realtà locale di darsi le strutture più funzionali per il coordinamento delle unità.

Il capo Gruppo/Ceppo
Sin dall’inizio il Gruppo e il Ceppo hanno un/una capo:
ASCI ‘49 – …fanno parte del Consiglio di Gruppo: il capogruppo…

AGI ‘53 – …l’armonia del Ceppo viene assicurata da una capo Ceppo.
ASCI ‘60 – …il capogruppo coordina l’attività e i programmi delle singole unità, assicurando la necessaria unità di indirizzo e il rispetto del metodo.

ASCI ‘64 – …al fine di mantenere un medesimo indirizzo educativo il capo unità è tenuto a far presente al capogruppo i provvedimenti che abbiano una influenza determinante nel fattore educativo (…).

AGI ‘69 – La capo Ceppo ha funzione di coordinamento e di appoggio… e svolge questi compiti: alimentare tra le capo un rapporto di serena amicizia; promuovere tra le stesse un continuo scambio di idee ed esperienze; organizzare alcune attività in comune.

Come si vede, con il passare del tempo certe esi- genze cominciano a venir fuori e da una impostazione solo organizzativa e burocratica, si passa a funzioni più personali e di animazione. Ma è anche vero che il regolamento AGI del ‘69 è già alla vigilia delle decisioni storiche che nel ‘70 daranno vita a qualche cosa di completamento diverso: la comunità capi.

Il capo unità
Anche quando esistevano il capogruppo e la capo Ceppo, al centro della situazione è però sempre il capo unità, di fatto l’unico responsabile di come lo scautismo viene vissuto nell’unità stessa:
ASCI ‘60 – …le unità vivono sotto le responsabilità dei rispettivi capi.
AGI ‘69 – …nella sua unità la capo è responsabile dell’applicazione del metodo.
A che serve la storia?
Ma adesso basta con la storia e con le vecchie “norme direttive”. Attenzione però: la storia è importante perché ci permette di capire perché le idee cambiano nel tempo, o il significato e la direzione precisa del cambiamento, che è sempre in stretto rapporto con ciò che c’era prima; inoltre la storia ci permette di non ripetere errori già fatti e di non incamminarci su strade già percorse fino in fondo, ma ormai non più valide.
È anche vero che la nostra realtà è sempre stata così articolata e complessa da essere difficilmente compresa in norme e regolamentazioni che, per la loro stessa natura, riescono a definire situazioni e idee solo in modo schematico e quasi sempre fuori tempo: in anticipo per alcuni Gruppi nei quali le novità sono sempre accolte con diffidenza perché costringono a cambiare; in ritardo per altri, nei quali invece già ci si confronta con idee diverse e con nuove esperienze.

Ma lo scopo di questo articolo non è una rievocazione storica, che dovrebbe avere altro respiro ed altra completezza, ma cercare di cogliere l’essenziale delle strutture e dei ruoli su cui si basavano lo scautismo dell’ASCI e il guidismo dell’AGI, fino alla fine degli anni ‘60, per capire ancora meglio il significato innovativo di quell’autentica rivoluzione culturale che ha avuto come risultato la nascita della comunità capi e la sua collocazione come struttura centrale dell’Associazione. Riassumendo – a rischio di essere riduttivi e schematici – la situazione era perciò la seguente:

Il Gruppo/Ceppo, anche se nato come giusta risposta all’esigenza di assicurare la possibilità di passaggio da una all’altra unità, difficilmente riusciva ad assicurare anche la continuità educativa del metodo perché in esso convivevano unità con la più ampia autonomia sotto la guida di capi a cui l’associazione riconosceva l’intera responsabilità del lavoro educativo.

Il capo Gruppo /Ceppo era un ruolo che è stato giocato in maniera molto diversa nelle varie realtà locali, a seconda della dimensione del Gruppo, dell’età dei capi, dell’autorevolezza delle persone. In ogni caso questo incarico, nato per esigenze puramente organizzative, quasi mai è riuscito ad acquistare rilievo ed importanza, se non per quanto riguarda i rapporti con i genitori e con l’Ente promotore.

Il Consiglio di Gruppo (ASCI) è stato senz’altro una intuizione felice nel tentativo di coinvolgere nella responsabilità educativa anche l’Ente promotore e i genitori, ma proprio perché ha messo sullo stesso piano persone con interessi e modo di vedere le cose diversi, è stata una struttura che non ha quasi mai funzionato, se non in situazioni di emergenza che di educativo spesso non avevano assolutamente nulla.

Funzionava magari la Direzione di Gruppo occupata quasi sempre nella gestione amministrativa ed organizzativa: anche la designazione dei capi unità veniva quasi sempre vista in questa ottica. Il capo unità era invece la figura centrale di tutta la struttura, unico punto di riferimento, per l’associazione, per i genitori, per i ragazzi. Suo unico dovere era seguire l’iter di formazione capi, che era considerato una specie di corso abilitante in scautismo, dal quale doveva uscire un prodotto finito, anche se con il dovere di continuare ad accrescere la propria formazione personale e tecnica. Ma questo concetto appare nelle norme solo nel ‘69. Altra caratteristica di questo tipo di capo unità era la tendenza a specializzarsi in una certa Branca e a trascurare quasi tutto il resto. Inoltre l’unità era così legata alla figura di questo capo, da correre serio rischio di scomparire quando per una qualsiasi ragione egli non poteva continuare nel suo servizio.

E così arriviamo al mitico ‘68. Si dirà: ma è possibile che tutto sia accaduto proprio nel ‘68?
In realtà sappiamo bene che nella nostra Associazione le date non segnano mai l’inizio di qualche cosa ma solamente il momento in cui certe idee, entrate a poco a poco nella coscienza dei capi, sperimentate nei loro effetti pratici e discusse in modo sempre più vasto, ad un certo punto ricevono una definizione ufficiale.

Così è stato anche per la comunità capi. Ma allora perché tanti problemi e tante interpretazioni se le cose erano mature e chiare nella mente di tutti? Forse perché non si è trattato solo di un cambiamento o di una nuova idea o di una nuova struttura ma di una vera e propria rivoluzione che, come tutte le vere rivoluzioni, ha rotto schemi ed abitudini ormai consolidate e ha costretto tutti a prendere posizione e ad uscire allo scoperto per confrontarsi, discutere, collaborare.

[Clicca qui per scaricare il numero storico di PE dedicato alla Comunità Capi]

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