C’è coraggio e coraggio

“Se nessuno avrà mai il coraggio di dire no, le cose non potranno cambiare”. Disse più o meno queste parole, Josef, a chi gli chiedeva se la sua non fosse stata una scelta avventata, poco meditata. Una follia. “Se nessuno avrà mai il coraggio”: usò proprio quest’espressione, Josef. Avrebbe compiuto di lì a poco 34 anni. Gli amici lo chiamavano “Peppi”. Veniva da Bolzano, dove era nato nel 1910. Una persona come tante altre. Avrebbe voluto studiare, ma la situazione della sua famiglia glielo impedì. Trovò impiego come cassiere e proprio lì, nella ditta dove si guadagnava il pane, conobbe Hildegard, la donna di cui poi si innamorò.
Settembre 1943. Dopo l’annuncio dell’armistizio, l’esercito di Hitler invade e occupa l’Italia. Bolzano si ritrova nella cosiddetta “Zona di operazioni delle Prealpi”, posta sotto la diretta amministrazione del Terzo Reich. Contro ogni norma del diritto internazionale, nel settembre 1944 Peppi viene arruolato nelle SS. Parte per l’addestramento con la morte nel cuore. Dopo un mese il maresciallo raduna le reclute e dà le istruzioni per il giuramento ormai imminente: “Giuro a te, Adolf Hitler, Führer e Cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a te e ai superiori designati da te l’obbedienza fino alla morte. Che Dio mi assista”. Con l’aiuto di Dio, Josef deve giurare a Hitler “fedeltà e coraggio”. Coraggio?Josef si alza, interrompe la lezione del maresciallo e prende la parola. Sotto lo sguardo terrorizzato dei suoi compagni, dichiara che lui, quel giuramento, non può e non vuole pronunciarlo.A chi gli fa notare che in fondo sono solo parole, che può forse incrociare le dita, che a casa lo aspettano la sua Hildegard (sposata nel 1942) e il piccolo Albert (nato nel 1943), lui risponde con quella frase: “Se nessuno avrà il coraggio di dire no, le cose non cambieranno mai”.Già, perché il coraggio in sé non vale nulla se non è orientato al bene. Non pretendeva forse anche il Führer “fedeltà e coraggio”? E nemmeno il cambiamento come tale ha valore, se non si tratta di cambiare in meglio. Un’altra cosa: il coraggio non si improvvisa. Certo, ci sono anche le persone che di punto in bianco, dopo una vita grigia e insulsa, si immolano di slancio. È coraggio pure quello? Forse.Il coraggio di Peppi però veniva da più lontano. Nel 1933, mentre al di là dei monti un popolo si lasciava ammaliare dalle sirene del nazionalsocialismo, Josef entrò nell’Azione cattolica, unica realtà associativa tollerata, a denti stretti, dal regime fascista. L’anno dopo fu eletto presidente diocesano della sezione giovanile. Fu lì, mentre i regimi totalitari ingannavano il popolo a suon di propaganda, che lui e i suoi compagni si dedicarono alla lettura di Mein Kampf e allo studio delle dottrine hitleriane. A tutti fu chiara la loro radicale incompatibilità con la Buona Notizia. Con le Beatitudini, col Comandamento nuovo, col Vangelo. “Intorno a noi c’è il buio”, scrisse Josef nel gennaio del 1938: “Ciononostante dobbiamo dare testimonianza e superare questo buio … Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma efficace”.Ecco qui che il coraggio si riempie di contenuti. Il coraggio di non farsi trasportare dalla corrente. Di avere una prospettiva diversa. Il coraggio di tenere gli occhi aperti. Di essere pronti. Il coraggio di essere testimoni, ovvero di dire a chiare lettere ciò che promuove e ciò che invece annichilisce la dignità dell’uomo.Qui si capisce bene che il coraggio non è lo slancio dell’ultimo minuto, ma è un cammino di faticosa formazione. La nostra coscienza, quella che al momento giusto ci detterà il suo “no” o il suo “sì”, va coraggiosamente formata, nutrita, coltivata. Condotta passo passo alla verità.Peppi aveva capito anche questo: non c’è verità se non nell’amore. Fece la sua scelta di servizio nel gruppo della San Vincenzo, di cui fu animatore a partire dal 1937. “Una comunità di confratelli – scrisse – per la quale vale una sola legge, quella dell’amore”.Coscienza, verità e amore: sono gli ingredienti delle scelte di coraggio. Che coraggio c’è in chi cerca l’avventura fine a se stessa, oppure nei molti “collezionisti di esperienze fuori dal comune”? Non ce n’è affatto, perché si tratta spesso di una banalissima fuga dalle proprie responsabilità. Non ce n’è perché l’unico orizzonte di queste cosiddette “scelte” spacciate per “coraggiose” è il proprio ombelico. Coraggio deriva da “cuore”. Il cuore è la sede dell’amore autentico e della volontà. Della volontà “buona”, cioè orientata al bene.Il vero coraggio consiste in questo: prima di fare una scelta guardare negli occhi una ad una le persone cui siamo chiamati a voler bene. Per essere sicuri che la nostra scelta sia anche per loro. Convinti che proprio nell’amore per gli altri si trova la vita piena cui tutti aspiriamo.Così fece anche Josef alla vigilia del giuramento. È il 4 ottobre 1944, ricorrenza di san Francesco. Sono passati settant’anni da quell’ora drammatica. Peppi alza la mano. Ma prima di farlo ci ha pensato bene. Ha di fronte, malgrado le distanze, i volti di Hildegard e del piccolo Albert. Pochi giorni prima ha scritto alla moglie: “L’impellenza della testimonianza è ormai ineluttabile. Due mondi si stanno scontrando… Tu sei una donna coraggiosa … Qualsiasi cosa mi possa accadere, mi sento sollevato perché so che sei preparata e la tua preghiera mi darà la forza di non fallire nell’ora della prova. Insieme al piccolo Albert ti saluto e ti bacio con tutto il mio amore”.Quella di Peppi non è una fuga né l’impeto di chi ha colto l’attimo fuggente. È una scelta preparata, consapevole, fatta per gli altri. È il coraggio di chi ha optato per il bene.Per essersi rifiutato di giurare fedeltà a Hitler, Josef Mayr-Nusser viene imprigionato, interrogato, condotto verso il lager. Sfinito per le condizioni ambientali disumane, sulle tavole lerce di un carro bestiame fermo alla stazione di Erlangen, muore. È il 24 febbraio 1945. In mano stringe un piccolo vangelo, il libro del coraggio. Quel treno lo avrebbe portato a finire i suoi giorni nel campo di Dachau. Lui, uomo coerente, fu capace davvero di “fedeltà e coraggio” e di “obbedienza fino alla morte”. Non certo a Hitler, ma alla propria coscienza di uomo e di cristiano.
Nel dedicarsi ai poveri della sua città e nello scegliere, durante la guerra, la via del matrimonio e del farsi padre, Peppi è testimone del coraggio di amare e del coraggio di farsi ultimi.Nel partecipare alla vita della sua comunità, nel promuoverne il rinnovamento, nell’accettare incarichi diocesani e nel dedicarsi alla lettura del vangelo, Peppi è testimone del coraggio di essere chiesa.Nell’informarsi in modo approfondito, anche in un tempo in cui tutti sono accecati dalla propaganda, nell’anteporre il bene comune alla sua stessa vita, Peppi è testimone del coraggio di essere cittadini.Nel dire, nell’urlare il suo “no”, perché altrimenti “le cose non cambieranno mai”, Peppi è testimone del coraggio di liberare il futuro.
Bill

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