Bene comune o “bell’essere” individuale?

di Claudio Cristiani

Per molti secoli la riflessione riguardo al “bene comune” ha occupato un posto di primo piano nella storia del pensiero e della civiltà occidentali. Si trattava di un “bene” morale che riguardava la comunità e il singolo – il singolo nella comunità – e al quale dovevano essere orientate e finalizzate le leggi e, in definitiva, ogni azione politica. La domanda che stava alla base di quelle considerazioni era: “che cos’è il bene”?

Per dare risposta a questo interrogativo di fondo si è scavato nella realtà più profonda dell’essere umano,  si è cercato di capire la sua natura più vera e di comprendere come questo “animale politico” potesse realizzare se stesso nel contesto di una comunità fatta di simili, tutti orientati verso la felicità.

Oggi pare che la domanda in ordine al “bene” non sia più così urgente, soprattutto nella sua declinazione collettiva. Non a caso, Benedetto XVI ha rilanciato in più occasioni la riflessione circa il bene comune. Nell’enciclica Spe salvi (n. 48), scrisse «Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono concatenate l’una all’altra. Nessuno vive da solo, nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero.

E, viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male come nel bene». E ancora, nella Caritas in veritate (n. 7): «Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale». Sulla stessa linea si sta ponendo papa Francesco, che nell’enciclica Lumen fidei affronta in modo esplicito il rapporto tra le fede e il bene comune, dicendo chiaramente che la fede «non si configura solo come un cammino, ma anche come l’edificazione, la preparazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare insieme con gli altri» (n. 50). Coerentemente a Rio de Janeiro, nel discorso pronunciato nella favela di Verginha, il papa ha condannato la corruzione di chi «invece di cercare il bene comune cerca il proprio interesse», ricordando che «nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ci sono ancora nel mondo!».

Nonostante tutto, però, sembra che la domanda circa il bene comune fatichi a trovare risposta. Pochi, soprattutto, sembrano cercare seriamente di dire in che cosa realmente consista il “bene” per il singolo e per la comunità. Il motivo, probabilmente, sta nel fatto che oggi, contrariamente al passato, non si osa più definire ciò che è il bene: in un contesto di relativismo, si pensa che esista di volta in volta un bene specifico da perseguire, misurato sulle esigenze del momento e del contesto particolari, e così si perde di vista l’orizzonte complessivo.

Addirittura, in termini politici, quando si parla di “bene comune”, questa espressione pare scivolare verso un significato di tipo esclusivamente economico. Si parla sempre più di “benessere”: “garantire il benessere”, “salvaguardare il benessere”, “facilitare il benessere”… Si tratta di un processo che si va dispiegando ormai da molti anni, a partire dal secondo dopoguerra, quando, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, lo straordinario sviluppo economico portò all’affermarsi di quella che venne definita “società del benessere”.

Non più il bene comune, dunque, ma il benessere si è imposto come centro dell’attenzione, maturando nel tempo una svolta individualistica che ormai sembra essersi consumata completamente, con promesse sempre più numerose e accattivanti rivolte alle singole persone di benessere economico, fisico e psicologico legate alle attività o alle iniziative più svariate… E sempre più spesso, anziché su un benessere inteso come “essere bene”, fondato su valori capaci di indirizzare la vita secondo criteri che portino alla felicità vera, pare che l’attenzione si focalizzi su un più effimero “stare bene”, in grado di offrire soddisfazione ma non felicità, tranquillità ma non autentica gioia di vivere.

Chiaro che non si deve svalutare tutto ciò che garantisce il benessere della persona: sarebbe stupido negare che anche questo ha una sua importanza grande e va ricercato. Quel che preme sottolineare è che, talvolta, è come si avesse timore di spingere più in profondità e più “in là” la riflessione, per paura di mettere in discussione punti di vista o opinioni ai quali non si è disposti a rinunciare, per convinzione o per comodità, se non per convenienza. In questo modo, però, si rinuncia a capire che cosa sia veramente bene, per sé e per gli altri; si corre il pericolo di restare in superficie, senza azzardare risposte che possano davvero esaurire la sete di bene e di verità che da sempre divora il cuore di ogni essere umano.

Vi è poi chi, oltre al benessere, punta al “bellessere”.
Espressione da qualche tepo entrata in uso e raccolta dal famoso nutrizionista Giorgio Calabrese, che in un libro dedicato alla dieta mediterranea (Dimagrire con la dieta mediterrane a, ed. Cairo), tra citazioni della mistica medievale Hildegarda di Bingen e tabelle di tecnologia alimentare, parla di un “bellessere” fondato su salute e prevenzione delle malattie, cui ciascuno dovrebbe tendere.

Non mancano i richiami alla corrispondenza positiva tra uno stile di vita sano ed equilibrato (anche nel cibo) e un benessere spirituale che torna a vantaggio della persona nella sua globalità. Il che è vero e lo si sa da sempre: vi è sintonia tra stili di vita e bontà della vita. Ma rimane la sensazione di una spasmodica concentrazione sull’individuo.

Dunque, raggiunta e forse superata anche la frontiera del “bellessere”, conviene ripensare a come fare in modo che questo “bene” e questa “bellezza” dell’individuo ridondino a vantaggio della comunità; e, viceversa, a come la comunità possa promuovere il “bene” e la “bellezza” di coloro che la compongono. Insomma, è il momento di tornare ad approfondire sul serio un aspetto che viene dato troppo per scontato, e cioè che ognuno può essere felice solo se lo sono anche gli altri e che, quindi, il benessere (o bellessere) individuale è ben sterile se non è associato alla ricerca e alla promozione del bene comune.

Un commento a "Bene comune o "bell'essere" individuale?"

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    Andrea thebest66 2 Aprilee 2023 (21:01)

    Veramente interessante e stimolanti. Ogni giorno ci troviamo a Dover fare decine di scelte nella nostra vita è sicuramente se avessimo nel taschino queste riflessione saremmo prendere in modo più oculato le strade giuste nell’interesse di tutti e quindi in definitiva anche nel nostro.

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