Si impara da piccoli a diventare grandi

Così recitava uno slogan a noi caro…Ebbene siamo convinti che le attitudini che servono nel mondo del lavoro, il mondo dei “grandi”, si scoprono e si coltivano anche da bambini.

Uno strumento metodologico molto usato, ma forse non propriamente conosciuto, sono i campetti di Piccole Orme. Questo spesso rappresenta il primo evento a partecipazione individuale che i bambini affrontano nel cammino scout, vivendo una esperienza di confronto con l’altro che non appartiene né al proprio Branco/Cerchio e neanche alla cerchia dei familiari o degli amici: un perfetto sconosciuto che proviene da realtà diverse, portatore di storie diverse, ma legato dalla stessa Legge e dalla stessa Promessa.

I bambini arrivano ai campetti con la consapevolezza di doversi mettersi in gioco a 360 gradi con le proprie capacità caratteriali e con lo zaino pieno delle esperienze vissute nella propria unità. Subito s’immergono nelle attività tipiche di un campo scout fatto di clima, ambientazione e soprattutto stimoli alla relazione con gli altri e con se stessi. Con gli altri ci si trova a creare nuove squadre di gioco e di lavoro avendo occasioni di cimentarsi in nuovi ruoli (il capo sestiglia, il vice, il leader, l’osservatore…etc…) e nuovi contesti.

Con se stessi, invece, il confronto verte con le proprie ansie, la propria capacità manuale, i propri limiti caratteriali e fisici. Un’occasione per tentare di superarli o quanto meno prenderne coscienza, nonché di giocarsi senza pregiudizi. Si crea così una nuova comunità che necessita subito di modulare i rapporti interni tra i propri membri, con la possibilità per ciascuno di emergere e di stabilire relazioni più o meno profonde. Nondimeno sarà utile una capacità di mediazione e di confronto tra pari, di senso democratico e di coraggio nell’espressione del proprio punto di vista.Durante il campetto le tecniche che si possono apprendere, presentate spesso da un “maestro di bottega”, sono per la maggior parte finestre aperte su un mondo nuovo, abilità che sono embrioni di un lavoro possibile. Si resta quindi affascinati nello scoprire che il “gelato” non è solo un piacere, ma per alcuni è un vero e proprio “lavoro”, così come la pesca, la pizza, l’argilla e via dicendo…

Questo avviene potenziando tutti gli aspetti che le attività manuali portano con sé: la cura del materiale, l’abitudine a creare un percorso che va dalla progettazione alla realizzazione, l’inventiva, la capacità di trovare soluzioni nuove e ingegnose, la pratica nel lavorare materiali semplici, a volte sconosciuti, con tecniche diverse da padroneggiare in poco tempo, la soddisfazione profonda del lavorare con le proprie mani e del creare qualcosa che sia frutto del proprio lavoro, del proprio genio e della propria fatica.Infine, il protagonismo dei bambini! I lupetti e le coccinelle, tornati a casa, nella loro comunità di Branco e di Cerchio hanno tutta la possibilità di rileggere l’esperienza vissuta e vivere i giusti momenti di protagonismo, insegnando agli altri quanto appreso delle tecniche scoperte. La dinamica di uscire dalla propria “società”, di andare “all’estero” per imparare qualcosa di nuovo al fine di contribuire alla crescita della propria comunità di origine, sembra quasi una iniziazione a quella che sarà l’evoluzione successiva di ogni uomo di questo tempo.

E, infine, una riflessione sulle tecniche.La stessa evoluzione della storia dell’uomo è scandita dalla sua capacità di inventare, costruire, realizzare e specializzarsi. Come non considerare l’occasione di lavorare su una tecnica per rileggere con i ragazzi la natura umana, la dignità del e nel lavoro, l’esigenza dell’uomo di progredire, guardandosi intorno, trovando le soluzioni più adatte per migliorare la propria vita e quella degli altri.Speriamo che alla fine siate convinti anche voi: dalle PO non si torna con “un mestiere in tasca”, ma sicuramente con un atteggiamento che consente di essere più preparati a costruirsi il futuro e non a subirlo!

[scritto da Francesco Zona e Chiara Pellegrini]

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