Noi chi? Due passi dall’io all’altro

di Bill (Paolo Valente)

L’educazione scout libera dall’individualismo. Prende per mano il bambino, il ragazzo, persino l’adulto e lo conduce dall’“io” al “noi”. Lo fa nei diversi modi che tutti conosciamo. Ad esempio inserendo da subito i ragazzi in un gruppo piccolo e in un gruppo grande. L’attenzione è rivolta alla progressione personale del singolo, ma sempre in un contesto di relazioni, nel quale il cammino si arricchisce di contenuti e soprattutto di senso.

Lo fa anche sul piano dell’equipe educativa. I ragazzi non hanno mai di fronte a sé un capo “da solo”, ma uno staff che a sua volta fa riferimento ad una Comunità Capi. C’è sempre un “noi” che accompagna l’“io” e il “tu”. Poi ci sono la dimensione della Zona, quella della Regione, quella nazionale e quella internazionale. Ma, prima ancora di guardare a lontani jamboree e route nazionali, ci si apre agli ambiti della comunità cristiana di riferimento, della società civile in cui si attua la nostra responsabilità, della famiglia che chiede il nostro contributo.

C’è sempre un “noi”, anche quando non ce ne accorgiamo.

A volte per uscire dalle ristrettezze dell’“io” (dal fascino del proprio ombelico), serve quello scossone che obbliga alla “svolta”. Scriveva Enzo Bianchi, priore di Bose, qualche anno fa, riflettendo sulla cosiddetta “crisi”: “La stagione ‘socio-economica’ che stiamo vivendo appare sempre più come una di queste ‘svolte’ che, se non subite ‘passivamente’, possono mutarsi in opportunità uniche per ripensare se stessi e trovare vie d’uscita in ‘alternative’ che mai avremmo imboccato se non forzati dagli eventi.
«Il miglior modo di uscirne è di passarci in mezzo», scriveva Robert Frost, con quella sapienza ‘icastica’ che solo i poeti sanno esprimere nel racchiuso splendore di un ‘verso’.

Ma allora, oggi, come passare in mezzo e uscire da una ‘crisi’ che si sta rivelando ben più che semplicemente ‘economica’ o ‘finanziaria’? La strada, priva di garanzie previe e indubbiamente tutt’altro che agevole, è forse solo quella che va dall’‘io’ al ‘noi’, dal pensarsi singolarmente al guardare e sentire in grande: non la ‘megalomania’, ma il suo opposto, la ‘magnanimità’ di chi ha cuore e mente larghi, di chi sa scrutare i ‘segni’ dell’aurora e li intravede proprio quando riesce a ‘discernere’ l’altro. È notte, infatti, quando – come ci ricorda la ‘sapienza’ ebraica – non si riescono più a ‘discernere’ i lineamenti del prossimo, così come la fine del mondo verrà – secondo un detto ‘esicasta’ – quando non ci sarà più ‘sentiero’ tra un uomo e il suo vicino” (Enzo Bianchi, Avvenire, 12.5.2009).

Quello che facciamo dall’“io” al “noi” è però solo un primo passo. Non è affatto sufficiente e può essere persino perversamente inutile.

Mi viene in mente lo slogan – “prima i nostri!” – che si legge di tanto in tanto sui cartelloni del populismo elettorale. Non è certo questo quel “noi” che ci fa uscire dall’individualismo. Lo amplifica, piuttosto. Privilegiare, a discapito degli altri, la propria famiglia, il proprio gruppo, la propria etnia, la propria nazione, non ha nulla a che vedere con “la ‘magnanimità’ di chi ha cuore e mente larghi”. Ognuno può pensare a mille esempi di questo “egoismo di gruppo”.

A proposito del “noi” c’è un episodio, narrato dai Vangeli, che è tanto duro quanto eloquente. Leggiamolo riportato nel racconto di Matteo (12, 46-50). Gesù era intento a parlare alla folla, quando “ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre»”.

Gesù sta rinnegando la madre e i parenti? Chiunque conosce il Vangelo nel suo complesso (e nella sua complessità) sa che non è così. Gesù ama profondamente madre, fratelli e amici. Però in quest’affermazione vuol essere estremamente chiaro: non sono i legami di sangue o le appartenenze al clan etnico a rappresentare, in relazione al bene, un criterio di priorità. Quel “noi” può diventare una prigione. Un “io” al cubo. Anche se si tratta della nostra famiglia, della nostra comunità, della nostra cerchia. Un “noi” contrapposto ad un “loro”. È l’insidia dell’appartenenza.

Di fronte alle “esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso”, scriveva Alex Langer ai tempi delle guerre balcaniche, bisogna “che in ogni comunità etnica si valorizzino le persone e le forze capaci di autocritica, verso la propria comunità: veri e propri ‘traditori della compattezza etnica’, che però non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili” (Alexander Langer, “Dieci punti per la convivenza”, 1994).

“Fratello, sorella e madre è chiunque fa la volontà del Padre”. Ovvero? Se Dio è amore, ciò significa che Dio innanzitutto ama, vuole bene. Vuole il Bene. Ecco, la volontà di Dio è il Bene. Il Bene, nella sua declinazione politica, economica e sociale, lo chiamiamo “bene comune”, che non è il bene del “noi”, ma il bene di tutti e di ciascuno. Dopo il primo passo dall’“io” al “noi” è necessario aprirsi all’“altro”. All’altro da me, all’altro da noi. Esserci per gli altri (anche se non sono dei “nostri”) è l’unica testimonianza che educa ad essere persone libere e responsabili.

Non esiste il bene del nostro gruppo ristretto avulso dal bene comune. Il bene dell’individuo e quello di ogni gruppo umano è tale, se è correlato positivamente con il bene comune. Come ci ricorda Michele Tomasi, citando il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, “essendo di tutti e di ciascuno [il bene] è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro” (n. 164).

Il bene comune è dunque la risposta umana e cristiana (di coraggio) ad ogni individualismo, ai relativismi di comodo, ai nazionalismi più o meno sanguinari, ad ogni egoismo di classe, di ceto, di gruppo.

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