Uomini in divisa e in uniforme

Un recente accordo firmato tra AGESCI e Marina Militare Italiana ha sollevato l’ennesima discussione sui rapporti tra mondo scout e mondo militare. Quindi ritengo sia giusto, come il nostro metodo educativo ci impone, riflettere seriamente e “con calma” su temi particolarmente spinosi e scottanti, senza arroccarsi su posizioni che difendono una o l’altra parte, ma parlandone in Comunità Capi e stimolando il dibattito e il confronto tra adulti e tra i ragazzi. E’ inutile tirar fuori stereotipi, frasi fatte o testi più o meno interpretati, che confonderebbero le idee, in un terreno già di per sé nebuloso.

Ho indossato il mio primo fazzolettone 40 anni fa, in un Gruppo fondato da un Ufficiale dell’Aeronautica, e ho scelto di portare le stellette sull’uniforme da 25, quindi posso esprimere il mio pensiero su questo tema. La domanda che tanti che, come me, hanno scelto di indossare la divisa scout e l’uniforme, si sentono porre è: ”Ma come fai a conciliare l’educazione scout e la professione militare? E la scelta di fede?”.

Chiaramente anch’io mi pongo queste domande e la risposta non sempre è così chiara, soprattutto a chi ha  vissuto una sola “dimensione”. Prima di tutto, proviamo a pensare se ci sono punti in comune tra scout e militari. Gli scout sono nati proprio dall’idea di un militare, dall’intuizione di un Generale di Cavalleria inglese, diventato famoso per le sue imprese belliche e, successivamente, per aver pensato al metodo scout. I Ragazzi di Mafeking (alcuni dei quali diventati primi Capi Scout) sono stati la prima “squadriglia”, ma erano ragazzi minorenni impegnati in operazioni militari, che hanno contribuito alla salvezza di Mafeking, a scapito degli Zulù, molto probabilmente.

La seconda riflessione è “semantica”. La versione della Promessa scout in uso qualche anno fa, citava la frase “…del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e verso la mia Patria”, sostituita poi con “Paese” (alcuni ragazzi si confondono tra paese, città,…..). La parola Patria è un po’ in disuso, anche se ogni tanto c’è il tentativo di rispolverarla. E’ una parola che “fa
paura”, perché richiama al mondo militare, probabilmente; a un vocabolario antico, ma è lo stesso che contiene altre parole importanti come “onore”, “lealtà”, “fratello”,…che invece usiamo normalmente nel nostro metodo. Però nei nostri testi la troviamo spesso: “…la mia Patria prima di me stesso, sia il vostro  motto.” (SpR, pag.42), oppure: “La fedeltà alla Patria è di grande aiuto per mantenere le proprie opinioni  equilibrate e nella giusta prospettiva. Il servizio del prossimo e l’abnegazione devono arrivare fino al punto di disporre il ragazzo ad essere pronto a servire il proprio Paese, qualora divenga necessario proteggerlo da un’aggressione straniera.

E’ questo il dovere di tutti i cittadini. Ma ciò non significa che sia necessario fare dei nostri ragazzi degli essere aggressivi e assetati di sangue, né che essi debbano ricevere un’educazione paramilitare o essere educati all’idea di combattere.” (SES, pagg.81-82). Lo scopo dello scoutismo, quindi, non è quello di sfornare cadetti, ma semplicemente dei “buoni cittadini”, che amino la propria Patria, che siano disposti a proteggerla, se necessario, senza per questo attaccare o invadere le altre nazioni.

E’ sull’idea dell’amicizia e della collaborazione tra popoli che si fonda l’idea di pace mondiale di B.P. (“amici di tutti e fratelli di ogni altra guida e scout”). Ma su questo stesso valore si fonda l’idea di pace anche dei politici e dei potenti della Terra. E sempre su questo valore si basano le speranze dei militari che, in caso di attacco armato alla Patria, mettono a rischio la propria vita, per difendere il suolo e gli interessi della nazione e degli italiani.

Non è quindi abolendo le Forze Armate, che si scongiura una guerra o si ripristina la pace. Questo anche B.P. l’aveva chiarito: “dobbiamo eliminare le cause della guerra, gli eserciti sono solo l’effetto”. Quindi in comune gli scout e i militari hanno l’idea di Patria, di amore per quanto essa rappresenta e per i valori che questa parola custodisce. Portare le stellette, secondo me, significa anche attuare questa “missione” che ci ha affidato Baden Powell: “rendersi utili in qualsiasi situazione, ogni giorno, in qualunque luogo vi troviate”.

Il “nemico” della Patria non è detto che sia necessariamente una persona o uno Stato: un terremoto può fare vittime, distruggere interi paesi, altrettanto alluvioni, catastrofi naturali e altri disastri causati o, peggio, voluti dall’uomo (pensiamo ad esempio a quanto hanno fatto mafia e camorra nella stupenda Campania).

“E allora, come la metti con le missioni di pace?”. Partiamo prima di tutto dall’idea che una missione non viene decisa dalle Forze Armate, ma viene disposta (=ordinata) dal Parlamento. Quindi i militari non intervengono se non c’è una dichiarata volontà politica. Questo vale per tutte le operazioni: sia quelle all’estero, ma anche quelle sul territorio nazionale, sia quelle
prettamente militari, sia quelle di “protezione civile”, quelle preventive e quelle soppressive. Perciò non si può imputare ai militari decisioni che non vengono prese al loro livello; alle Forze Armate sono devoluti solo gli aspetti “tecnici” di un’operazione: quanti uomini impiegare, i tempi, quali mezzi e, se necessario, quali armi. Qualcuno tira in ballo la nostra Costituzione, il “famoso” art.11, ma spesso non in maniera completa.

Questo bellissimo (come tutti gli altri) articolo, accanto al “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, prevede “limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”, promuovendo e favorendo le organizzazioni internazionali rivolte  a tale scopo. Al ripudio della guerra si accosta, pertanto, l’adesione esplicita all’ordine internazionale, una adesione e quindi un ruolo di tipo attivo (altro collegamento con il metodo scout), che richiede strumenti capaci di rendere il contributo
efficace e di mantenere tale ordine.

Per fare un esempio: se la mafia mette una bomba nella chiesa di S.Giorgio al Velabro (che oltre ad essere un monumento è anche ricca di storia scout), come si può “riportare l’ordine per garantire la pace e la giustizia?” In questo è fondamentale il compito dello scoutismo, che educa i giovani a… “non mettere bombe”, al rispetto e all’amore per la Patria, al rispetto per gli altri,….ad essere buoni cittadini (non mafiosi).

Ma nell’immediato c’è anche bisogno del soldato che fermi il mafioso, lo assicuri alla giustizia, che difenda uomini, donne e bambini dalla mano armata che potrebbe ucciderli. Certo, la scelta di indossare le stellette mi potrebbe far arrivare al punto di dover decidere per la vita, mia o di altri, soprattutto di coloro che potrebbero uccidere. In questo qualcuno potrebbe trovare contrasti con la mia scelta di fede. Ci sono contrasti tra scelta di fede e professione militare?

Di questo ne parliamo in un prossimo appuntamento: già abbiamo molto su cui riflettere, per questa volta.

Buona Strada.
“Il grillo parlante”

Nessun commento a "Uomini in divisa e in uniforme"

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.
    I tuoi dati personali, che hai fornito spontaneamente, verranno utilizzati solo ed esclusivamente per la pubblicazione del tuo commento.