“La crescita economica non può fare a meno dei giovani né i giovani della crescita”
(M. Draghi)
La lettera è una versione estesa di quella presente sulla rivista. E tu che ne pensi? Lasciaci un commento.
Siamo in tempi di crisi, ma anche di mutamento: sembra infatti alle porte in Italia un possibile rinnovamento della classe politica (almeno una sua parte) dopo la stagione del cosiddetto “berlusconismo”. I nostri Vescovi, e anche il Papa, ripetono ormai da tempo l’annuncio per la ricerca di nuovi politici cattolici impegnati per questo rinnovamento (la reiterazione dell’appello fa pensare che non ci siano facili candidature o risposte pronte e scontate).
Come capi dell’Agesci ci sentiamo interpellati prima di tutto perché cittadini, ma allo stesso tempo come educatori scout, secondo i nostri valori e la nostra scelta politica in particolare. L’Associazione, come altre grandi realtà, è anche stata interpellata nell’ambito di progetti politici specifici, condotti da un’insieme di realtà di matrice cristiana operanti nel sociale, nel lavoro, nell’economia per lo sviluppo di alternative credibili per una nuova stagione politica… i lettori più attenti dei giornali lo avranno colto tra le notizie degli ultimi mesi.
Il documento del Consiglio Nazionale del 9 ottobre 2011 (Politica ed economia, da che parte stanno gli scout?) aiuta a fare chiarezza e dà indicazioni di senso a tutti noi adulti come educatori impegnati in Agesci in questo contesto e in questo tempo, tracciando uno stile da seguire per il bene comune come capi scout, che penso valga al di là poi di quello che può essere l’impegno specifico ed ulteriore di ciascuno di noi come cittadino nella sua realtà piccola o grande.
E allora: “Siamo pronti… sì lo siamo”. Ma lo siamo sempre stati? L’impegno ad essere pronti che come Agesci esprimiamo oggi di fronte alla società, in primo luogo di fronte ai ragazzi che ci sono affidati e alle famiglie che ce li affidano, sappiamo mantenerlo perché capaci? Forse in parte no, ed occorre prepararci più seriamente e non dare per scontate le nostre capacità, alla luce della realtà odierna.
A metà tra verifica e provocazione, possiamo infatti considerare quanto poco siamo stati pronti come Agesci, una grande associazione giovanile, negli ultimi decenni, per scoprire che, come tantissimi in Italia, abbiamo mancato e proprio maggiormente a danno delle giovani generazioni che oggi sembrano senza futuro perché “la vita non aspetta” (uno degli slogan delle proteste). Questa considerazione ha una sapore amaro se pensiamo che siamo (siamo stati) gli educatori di tanti giovani. Che siamo gli educatori dello scouting e ci siamo proclamati già da tempo sentinelle ed esploratori del nostro tempo, salvo poi in apparenza non accorgerci di nulla, neanche noi.
Crescita “quasi zero”, numero dei precari esploso, fenomeno dei “bamboccioni” cronicizzato (2/3 dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive con almeno uno dei genitori), giovani che hanno la sensazione di stare peggio dei genitori, progetti di vita limitati, bassa e tarda natalità (senza le immigrate che fanno più bambini il tasso di natalità non sarebbe neanche 1,4, com’è attualmente). E’ stata introdotta nei decenni passati una riforma del lavoro che ha offerto ai giovani posti di lavoro solo numericamente, ma con contratti flessibili o atipici senza tutele, senza prospettive di vera formazione professionale e carriera, con salari bassi d’ingresso e in generale (dalla legge Treu del ’97 in poi). Nel contempo abbiamo assistito ad un comportamento ingiusto da parte delle imprese che hanno sganciato gli stipendi dall’inflazione ed in gran parte hanno continuato ad ignorare gli investimenti in ricerca e sviluppo, poco attente al capitale umano.
Abbiamo assistito all’impoverimento dell’offerta formativa del sistema Italia nel suo complesso: laurearsi oggi in Italia conta meno che negli altri Paesi avanzati (vedere le classifiche internazionali degli atenei peraltro) e si è sviluppata una migrazione giovanile di studenti e ricercatori precari (da Sud a Nord, dal Nord all’estero). La crisi economica non ha certo aiutato: l’aumento della disoccupazione ha toccato in gran parte i giovani, a dispetto di categorie (molto) più tutelate o intoccabili, con dati drammatici se riferiti alle donne e al Sud Italia. Ed ecco che è stata descritta una nuova categoria: giovani che non hanno un lavoro e che non lo cercano (gli anglofoni hanno coniato la sigla NETT: Not in Education, Employment, or Training), e non facciamo fatica a pensare come in tale categoria possano rientrare anche i giovani che poi si affidano alla criminalità (soprattutto organizzata) per vivere o a lavori in nero (quindi invisibili) a paghe umilianti (il recente crollo di un edificio a Barletta il 3 ottobre 2011 ha lasciato sotto le macerie alcune giovani lavoratrici italiane in nero di un maglificio per circa 4 euro l’ora).
Come fa un Paese a crescere se tratta così i suoi figli?
Come Agesci abbiamo abbracciato la lotta per la legalità e contro le mafie. Abbiamo presidiato l’ambiente e il rispetto del territorio. Abbiamo sostenuto la Pace. E potremmo continuare l’elenco. Ma i giovani e il loro futuro? Dove siamo stati anche noi? Quanto può valere la proposta educativa che operiamo di fronte al “futuro rubato”?
Siamo anche ottimisti certo: ognuno di noi può raccontare storie positive ed esistono bellissime famiglie giovani, con figli e un lavoro dignitoso. Senz’altro l’educazione ricevuta nei nostri gruppi ha contribuito ad aiutare molti giovani ad affrontare le difficoltà e a costruirsi un futuro con coraggio e speranza. Ma noi siamo nel nostro tempo e nella nostra società interamente o ci accontentiamo di chiuderci nei recinti che potremmo erigere, se tutto va bene, a difesa nostra e di alcuni? E poi sappiamo bene che la flessibilità che è diventata precarietà ci tocca eccome, anche in una mera constatazione legata alla solidità delle nostre Comunità Capi, all’insicurezza e difficile progettualità dei giovani capi, alla testimonianza che sappiamo dare per la ricerca di un futuro migliore a chi vede in noi un riferimento.
Mi viene in mente il celebre verso di De André: “per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”. “Siamo coinvolti e pronti”. Saremo pronti se oltre a mantenere la fiducia e la speranza che mai abbiamo smarrito, soprattutto nel nostro ruolo di educatori, inizieremo come Associazione a curarci maggiormente dei giovani anche intervenendo, nel modo che ci compete e ad ogni livello, per l’attuarsi di condizioni che permetteranno a tutti e ai giovani in particolare di vivere, lavorare e fare progetti in un Paese migliore di quello che oggi trovano. Non possiamo far mancare il nostro contributo concreto così come non l’abbiamo fatto mancare in passato per cause altrettanto fondamentali.
A chiusura di questo numero, ecco che ci viene rivolta una domanda: “abbiamo fatto del nostro meglio? Siamo stati vigili?” Questa è una domanda a cui io, né personalmente, né come caporedattrice di Proposta Educativa so e posso rispondere.
La domanda però non mi lascia tranquilla. Mi sollecita riflessioni e pensieri che girano intorno alle modalità con cui l’Agesci in questi ultimi anni ha trattato i grandi temi educativi e sociali. Mi sorge il dubbio che non sempre abbiamo tenuto fede all’esortazione del nostro fondatore “Ask the boy”. Forse anche al nostro interno abbiamo smesso di confrontarci sulle questioni di fondo per paura che visioni differenti si scontrino e portino a spaccature e fronti contrapposti che poi non siamo più in grado di comporre. Cerchiamo di evitare le contrapposizioni che inducono a lunghe discussioni e perdite di tempo, merce, quest’ultima, diventata ormai il bene più prezioso.
Se lo sforzo di mediazione e di ricerca di un pensiero che ci accomuni è una strada lodevole di ricerca dell’unità di intenti, non deve però diventare timore del confronto anche acceso. Non ci deve impedire di arrivare a fondo delle questioni e di prendere delle decisioni. Non è detto che tutto debba essere frutto di unanimità di pensiero. In un’Associazione democratica ci possono essere posizioni di maggioranza e di minoranza che nella dialettica della contrapposizione possono dare origine ad una sintesi, come generare due visioni diverse che poi sono messe ai voti, lasciando alla maggioranza la responsabilità della decisione.
La questione dei giovani e del loro futuro è cruciale e nel modo di affrontarla, nel proporre soluzioni, è possibile che si sposino idee diverse. Idee riconducibili anche a schieramenti contrapposti.Perché non accettare la sfida del confronto democratico, anche vivace e accese che ci porterebbero portare ad avere in Associazione visioni anche significativamente diverse, una maggioritaria e una minoritaria. Sarebbe compito della maggioranza prevalente, salvaguardare la dignità i diritti della posizione minoritaria. Mi pare che non riusciamo più a esporci con prese di posizione significative e forti, ancorché non unanimemente condivise.
Siamo sicuri che questo sia conforme alla scelta politica contenuta nel nostro Patto Associativo?
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