Quando si cambia fazzolettone

Il mio cammino scout inizia da lupetto nel gruppo Termini Imerese 1, in Sicilia, nel quale sono poi diventato esploratore e infine rover, passando per il noviziato. A 18 anni mi sono trasferito a Roma per studiare medicina lasciandomi dietro in un colpo solo famiglia, amici e gruppo scout.

Il distacco dal clan mi ha costretto ad interrogarmi sul proseguimento del mio cammino verso la partenza. D’accordo con i capi clan ho poi deciso di continuare la strada con il mio clan d’origine, con tutte le complicazioni del caso. Il mio ruolo in clan, fino a quel momento attivo e propositivo, si è dovuto adattare ad una posizione complessa da gestire che mi ha spostato in secondo piano nella vita di comunità e che ha suscitato in me più di una domanda sul senso di quella partecipazione a distanza. La bravura dei capi clan ha fatto sì che io non mi sentissi mai tagliato fuori dalla comunità. Ogni volta che potevo tornavo in Sicilia per partecipare attivamente alle route o ai capitoli del clan e anche da Roma ero costantemente informato sui passi della comunità, partecipando alle decisioni con le mie opinioni.

A 19 anni e mezzo, dopo un’intensa route estiva nella campagna toscana con tappa all’abbazia di Sant’Antimo, ho comunicato ai miei capi la decisione di prendere la partenza scout, consapevole della mia giovane età ma forte delle mie scelte che sentivo sempre più forti e pronte ad un successivo sviluppo personale.

Nell’anno che è seguito alla mia partenza ho scelto di non censirmi in associazione, conscio della necessità di un anno sabbatico durante il quale riflettere principalmente sulla mia scelta di servizio, legata a doppio filo alla carriera accademica che avevo scelto.

A distanza di un anno ho fatto richiesta di ingresso nella Comunità Capi del gruppo Roma 38. Chiamai Bernardo, il Capo Gruppo, una domenica sera. Mi aspettavo una telefonata del tutto diversa, piena di entusiasmo e di apertura, e invece il messaggio che mi arrivò fu “rallenta, ora vediamo”.

Di quella chiamata che ho capito solo a posteriori, ricordo una vaga sensazione di diffidenza dall’altro lato del telefono. C’erano dei freni al mio ingresso nel gruppo: bisognava prima sentire il mio capo clan ed avrei dovuto scrivere una lettera di presentazione alla Comunità Capi con le motivazioni che mi spingevano a voler entrare nel”trentotto”.

Il primo incontro con il gruppo e con la Co.Ca. non andò meglio: fui invitato all’uscita di apertura; alla fine dell’uscita di apertura per essere precisi. Mi sentii un pesce fuor d’acqua con il mio fazzolettone al collo ma senza uniforme per esplicita richiesta dei capi gruppo. La presentazione agli altri capi della Co.Ca. fu fatta di fretta, mentre tutti andavano via. Quella sera tornai a casa con qualche dubbio sulla mia futura integrazione in quella che sarebbe stata la mia prima Comunità Capi.

La prima riunione di Co.Ca. andò decisamente meglio anche se nessuno dei capi diede troppo peso al fatto che stessi per togliere il fazzolettone con cui avevo conosciuto lo scautismo e che avevo portato al collo per nove anni. Bernardo mi allungò con orgoglio il fazzolettone del Roma 38 e io lo indossai spostando in tasca il mio per non indossarlo più.

Con le prime settimane di servizio attivo in unità e in Co.Ca. i rapporti sono migliorati sensibilmente. Gli altri capi si sono aperti piano piano a me ed io a loro. Si sono instaurati rapporti di confidenza prima e di amicizia poi, e si è rotto pezzo dopo pezzo quel muro di diffidenza che sentivo nei miei confronti.

L’ingresso in una Comunità Capi diversa da quella che mi aveva seguito nel mio cammino scout mi ha stimolato tantissimo e mi ha fatto avere da subito una visione dell’associazione più chiara. Nelle differenze e nelle analogie tra i due gruppi ho imparato a riconoscere pian piano gli strumenti del metodo e la loro differente applicazione. Nel conoscere le tradizioni del nuovo gruppo, mi sono fatto da subito un’idea di quelle che sembrano essere prive di finalità educative. Allo stesso modo, pensando al mio vecchio gruppo, ho iniziato a vedere in modo diverso la mia esperienza riconoscendo anche in questo caso tradizioni che prima trovavo normali ma che forse andrebbero messe in discussione.

Questa visione più nitida e lucida è figlia del confronto e permette di scorgere sfaccettature della proposta scout altrimenti conoscibili solo dopo anni di esperienza nei livelli successivi dell’associazione. Il confronto tra le due realtà permette di fare passi avanti nella conoscenza del metodo in modo più veloce. E non parlo della mera conoscenza del regolamento metodologico ma della sua applicazione con i ragazzi per cui è necessario sviluppare l’arte del capo fin dai primi mesi di servizio.

Una visione diversa degli strumenti del metodo e della loro applicazione si è dimostrata particolarmente utile nel rapporto con lo staff di unità. Nelle discussioni gli strumenti del metodo sono sezionati ed analizzati a fondo perché la loro applicazione sia più efficace con i ragazzi. La vita di branca E/G, scandita da un’incredibile varietà di tradizioni diverse da gruppo a gruppo, viene analizzata profondamente e messa in discussione in tutti i suoi momenti, dalla riunione in sede al campo estivo.

Per questi motivi credo che la migrazione di capi da un gruppo all’altro sia una straordinaria occasione di crescita sia per il capo costretto a spostarsi che per la Comunità Capi che lo accoglie. Ciascun capo “immigrato” è una risorsa da sfruttare al massimo per migliorare la proposta educativa.

I gruppi che come il Roma 38 sono soggetti all’arrivo di nuovi capi, magari per una vicina università, dovrebbero considerarsi estremamente fortunati. Il mio invito alle loro Comunità Capi è quello di assorbire il più possibile dai capi che si alterneranno nel gruppo accogliendoli con fiducia e senza pregiudizi per una piena integrazione immediata e funzionale alla crescita dei ragazzi.

Salvatore Teresi
gruppo Roma 38

 

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