Breve guida al referendum del 17 aprile

a cura della redazione di Proposta Educativa

Punto primo: questo non è un articolo che vi suggerirà cosa votare al prossimo referendum del 17 aprile. Il compito che ci prefiggiamo, come redazione di Proposta Educativa, è di stimolare i capi, fornendo qualche spunto per approfondire maggiormente la questione, da soli o in comunità capi.

Secondo punto: il dibattito sul cosiddetto “referendum anti-trivelle” si è caricato di significati politici e simbolici che vanno molto al di là della domanda che ci verrà sottoposta come cittadini. Pertanto cercheremo di fare un po’ di chiarezza presentando in maniera sintetica le posizioni di entrambi gli schieramenti e mostrando solo informazioni vere e certificate (con link alle fonti ove possibile) e non quelle acchiappalike su Facebook.

La prima domanda: perché il 17 aprile c’è un referendum?

Tutto nasce nell’aprile del 2006, quando il Governo Berlusconi licenziava il «Codice dell’Ambiente», d.lgs. n. 152/2006 (T.U. ambiente). Negli anni successivi, diversi interventi legislativi bipartisan hanno modificato ed integrato il testo di questa legge, portando alla seguente stesura definitiva dell’art. 6, oggetto del referendum:

«Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, […] sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, […]. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette».

Nel novembre 2014, con la legge “Sblocca Italia”, il Governo Renzi dichiara di pubblica utilità tutte le opere connesse con lo sfruttamento delle risorse fossili, semplificando gli iter autorizzativi e sottraendo di fatto alcuni poteri alle Regioni. Queste ultime, ritenendosi sorpassate, presentano ricorso alla Corte Costituzionale e lavorano su 6 referendum per attutire l’impatto dello Sblocca Italia sulle questioni ambientali; il Governo ha provato a mediare e nella Legge di Stabilità 2016 ha accolto alcune richieste, cambiando la linea approvata con lo Sblocca Italia e svuotando di fatto 5 quesiti referendari. Ne rimane quindi ad oggi soltanto uno, riscritto dalla Corte Costituzionale.

Come funziona l’attività estrattiva?

Il territorio italiano è ricco di molte risorse, alcune delle quali di notevole valore ma al contempo di difficile accesso: è il caso dei giacimenti marini di idrocarburi (gas naturale e petrolio). In relazione alle proprie politiche energetiche, lo stato può ritenere utile sfruttare queste risorse, ma può anche decidere di non farlo direttamente: ad esempio per carenza di competenze, per necessità di operare con maggiore rapidità di quanto potrebbe garantire o per mille altri motivi che, una volta valutati costi e benefici, possono portare alla scelta strategica di concedere ad un privato lo sfruttamento di queste risorse. Viene quindi emesso un provvedimento chiamato concessione, che garantisce al privato uno specifico diritto, in questo caso lo sfruttamento dei giacimenti, a fronte del pagamento di un determinato ammontare (canone di concessione) per uno specifico periodo di tempo.

La domanda da porsi non è per niente banale: quanto deve essere lungo questo periodo di tempo? Un buon affare, si sa, deve stimolare l’interesse delle due parti, quindi la concessione deve essere abbastanza lunga da permettere al privato di ammortizzare i costi necessari allo sfruttamento della risorsa (altrimenti nessuno sarebbe attratto dalla concessione), ma non così lunga da non permettere allo stato di riformulare la propria scelta in virtù di nuove considerazioni (es. modifica della propria politica energetica).

Prima dell’approvazione della Legge di Stabilità 2016, le concessioni duravano 30 anni, successivamente prorogabili per più volte per periodi limitati (es. 5 anni). Per tutte le concessioni oltre le 12 miglia non è cambiato nulla, ma oggi per quelle entro le 12 miglia, invece, al termine dei 30 anni è possibile prorogare la concessione fino a tutta “la durata di vita utile del giacimento”, cioè senza uno specifico limite di tempo.

 

Quale domanda mi faranno?

Ci chiederanno: Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?”.

Tradotto: chiederanno se vogliamo che un giacimento debba essere sfruttato senza limiti di tempo dall’originale vincitore della concessione o se invece al termine legale della concessione, anche se ci saranno ancora risorse da sfruttare, l’azienda in questione debba comunque interrompere le attività estrattive. Quindi, la vittoria del sì non fermerebbe subito le estrazioni ma lo farebbe soltanto alla fine naturale delle concessioni entro le 12 miglia già esistenti; sono infine escluse nuove concessioni a prescindere dal referendum, l’ha stabilito il governo rivedendo lo Sblocca Italia.

Perché lo chiedono a me? Posso anche non rispondere? Perché me lo chiedono adesso?

Lo chiedono a noi perché siamo cittadini di un paese democratico e il referendum è uno dei modi per esercitare la sovranità popolare.

Per essere valido c’è bisogno che il referendum raggiunga il quorum, ossia si rechi alle urne la metà più uno degli elettori. Ecco perché i sostenitori del no, ossia coloro che in questo caso vogliono che rimanga tutto così com’è, invitano all’astensione.

Per quanto riguardo la data, non hanno potuto chiederci di votare per questo referendum in occasione delle prossime elezioni amministrative del prossimo 5 giugno perché la legge non prevede l’accorpamento delle occasioni elettorali a quelle referendarie. Qui c’è un riassunto delle diverse posizioni su questo punto.

Ma di quali e quante estrazioni stiamo parlando? Un po’ di numeri, per favore!

Ecco i dati del Ministero dello sviluppo economico (aggiornati al 29 febbraio 2016): nei mari italiani sono presenti 135 piattaforme marine, 92 di queste operano entro le 12 miglia, 48 delle quali sono eroganti.

Fare i calcoli su quanto effettivamente estraggano queste piattaforme non è semplice, poiché i dati messi a disposizione dal MISE sono di difficile analisi, ma l’associazione ASPO Italia (sezione italiana di ASPO – Association for the Study of Peak Oil) ha calcolato che il referendum coinvolgerà circa il 26% della produzione nazionale di gas naturale (9% da concessioni già scadute e 18% da concessioni ancora valide) e circa il 9% della produzione nazionale di petrolio (tutte da concessioni ancora valide), pari rispettivamente a circa il 3% dei consumi di gas e circa l’1% dei consumi di petrolio.

A questi dati aggiungiamo quelli di Unione Petrolifera, che stima che tra il 2005 e il 2014 i consumi di gas sono diminuiti del 27% e quelli del petrolio del 33%, e quelli del Gestore dei Servizi Energetici, che indica come l’energia generata da fonti rinnovabili stia contribuendo sempre più significativamente al soddisfacimento delle esigenze di consumo nazionale: dal 22,4% del 2010 al 37,5% del 2014.

Numeri alla mano, l’impatto del referendum sembra quindi fortemente ridimensionato, visto che una riduzione della produzione del 3% (gas) ed 1% (petrolio) nei prossimi lustri non dovrebbe costituire un problema dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico.

Perché dovrei rispondere si?

Il comitato referendario per il sì, chiamato “Vota sì per fermare le trivelle”, sostiene che dovremmo votare sì per 3 principali motivi, complessi ma riassumibili in:

– questione giuridica: la legge è sbagliata perché una durata a tempo indeterminato delle concessioni viola le regole sulla libera concorrenza. La conseguenza potrebbe essere l’apertura da parte dell’Unione Europea di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

– questione ambientale: le trivellazioni andrebbero fermate perché non esiste ricerca senza rischi né tantomeno senza danni per l’ambiente.

– questione energetica: secondo i promotori, il voto ha un valore simbolico non indifferente, anzi politico. La vittoria delle tesi “ambientaliste” darebbe un segnale al governo per incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili e allinearsi con le prospettive decise a Parigi contro il surriscaldamento globale.

Perché dovrei rispondere no?

Secondo i sostenitori del no, rappresentati dal comitato Ottimisti e Razionali, continuare l’estrazione di gas e petrolio offshore è un modo sicuro di limitare l’inquinamento: l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10% del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni. Secondo il comitato, l’Italia non ha alternative da contrapporre alle politiche energetiche attuali: la scarsa possibilità di sostituire l’energia prodotta da gas e petrolio con quella da fonti rinnovabili causerebbe una parziale perdita dell’indipendenza energetica. Inoltre, la chiusura delle piattaforme comporterebbe la perdita del lavoro delle migliaia di persone che ci lavorano.

L’aspetto “politico”, infine, è una delle principali ragioni per cui il referendum è stato criticato: secondo gli “Ottimisti e razionali”, infatti, è lo strumento sbagliato per chiedere al governo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili in quanto, dal loro punto di vista, somiglia più a un tentativo di alcune regioni di fare pressioni sul governo in una fase in cui una serie di leggi recentemente approvate (tra cui la riforma costituzionale in discussione) stanno togliendo loro numerose autonomie e competenze, anche in materia energetica.

Alcuni link di articoli e materiali per approfondire:

– un articolo riepilogativo de Ilpost.it

– Reality Check sul Comitato Vota sì per fermare le trivelle di BUTAC

– Il capo della comunicazione di ENI, che in passato è stato un giornalista de La Stampa, ha scritto questo

– 6 buoni motivi per votare sì di Greenpeace

– Il WWF ha lanciato la campagna “Un mare di sì

[Immagine dal sito ufficiale del Referendum – Ministero dell’Interno]

Un commento a "Breve guida al referendum del 17 aprile"

  • comment-avatar
    Sergio 14 Aprilee 2016 (18:32)

    Un momento importante per ESSERE scelta politica, a cui siamo chiamato a rispondere come cittadini, come scout, come cristiani.

    Grazie alla Redazione PE per questa pagina e per l’impegno dedicato!

    Sarà al base di partenza delle riflessioni di centinaia di Capi e Comunità Capi in questi giorni.

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