UNO SGUARDO È PER SEMPRE

di Mattia Civico

Scambiarsi pezzi di vita

«Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira basso»
Don Lorenzo Milani, Lettera a don Ezio Palombo, 1955

La ragazzina si guarda intorno: è il momento dei saluti. Il gruppo dei volontari dall’Italia che sono venuti a portare aiuti umanitari in una cittadina distrutta dell’Ucraina si sta organizzando per il rientro. Abbracci, saluti, gratitudine. Qualche lacrima. Anche molta soddisfazione per l’aiuto concreto portato. Relazioni brevi ma incisive. I volontari salutano: «Ciao! Ciao!». La ragazzina saluta anche lei tutti quanti: «Ciao! Ciao!». Immagino i suoi pensieri mentre li saluta: «Torneranno? Si ricorderanno di me? Li rivedrò mai più?». Poi si volta verso Alberto Capannini, il responsabile di Operazione Colomba, il corpo civile di Pace dell’Associazione Papa Giovanni XXIII. Lui vive con lei da mesi. Si volta, dicevo, lo guarda fisso negli occhi e gli dice in maniera perentoria: «Tu – no – Ciao».

In quella breve frase c’è tutto ciò che vorrei scrivere in questo pezzo di apertura sul tema delle relazioni.

La ragazzina è stanca di guerra, ma forse è anche stanca di salutare sempre tutti. Di vedere gente che va e gente che viene. La ragazzina, immagino, vorrebbe che qualcuno stesse con lei, che non mollasse la sua mano. Vorrebbe le cose che vogliamo anche noi per noi. La ragazzina sa che la sua vita vale quanto la nostra e quindi vorrebbe sapere se ci sarà qualcuno che rimane con lei, come merita anche lei.

«Tu – no – ciao», dice la ragazzina ad Alberto. Che colpo al cuore: «Tu non te ne andrai, vero? Rimarrai? Non mi mollerai, vero?».

Difficile per Alberto in quel momento rispondere senza apparentemente mentire: «Tranquilla, rimarrò per sempre!».

Capita anche a noi che ci fermiamo e che poi ce ne andiamo? Quanti sono le mani che abbiamo stretto, i passi che abbiamo affiancato? Quante le stelle guardate insieme di notte? Quanti canti abbiamo cantato e quanti sguardi abbiamo incrociato? E quante volte abbiamo detto: «Io – no – Ciao».

Mi sembra già di sentire la comprensibile obiezione: «Ma come si fa, in concreto, a non salutare a un certo punto i nostri ragazzi? Non fa parte dello stesso metodo il fatto che ci si saluti, di passaggio in passaggio, di salita in salita, di partenza in partenza?». E poi l’anno prossimo mi laureo, inizio a lavorare, mi sposo (ti sposi? Ma dai…. Che scelta controcorrente!).

Cerchiamo di capire cosa significa «Tu – no – ciao»

La ragazzina non è diversa dai suoi coetanei nei nostri gruppi. Esprime fondamentalmente due desideri, due bisogni. Quello di avere a che fare con persone serie, che non la mollano, che ci stanno veramente con lei. E la seconda richiesta è quella che l’incontro rimanga per sempre e non si interrompa nel saluto finale.

Dobbiamo forse capire che quando ci apriamo alla relazione diamo ospitalità all’altro presso di noi: immaginiamo proprio questo momento come fosse una sorta di parziale trasloco. La persona in relazione con noi si trasferisce presso di noi, ovvero vuole sapere e sentire che un pezzo di lei, delle sue cose, hanno trovato casa presso di noi. Mi terrai con te? Sarò presso di te anche se non mi vedi? Esisto anche quando non ti parlo? Oppure esisto solo quando mi vedi e compaio, di sabato in sabato; lungo il corso della settimana, mi pensi? Ti interessa davvero di me? Oppure ti piace giocare…

Il tema non è quindi convivere, ma condividere. Scambiarsi pezzi vitali della propria storia e legarsi, annodarsi. Per farlo ci vuole innanzitutto consapevolezza e serietà. Dobbiamo sapere che stiamo dando ospitalità presso di noi. Dobbiamo sapere che anche noi cambieremo l’arredamento interiore.

La seconda domanda della ragazzina è legata al “per sempre”. Non si tratta qui ovviamente di prolungare all’infinito il tempo della relazione educativa: non sarebbe sano oltre che possibile. Ma si tratta di inserire elementi di eternità nella relazione. Non legarla solo alla propria persona, ma tenere sempre bene a mente di essere uno strumento (una parte di uno staff, di una Comunità capi e di una Associazione), uno spazio da abitare, come fossimo una sosta in un rifugio lungo il cammino, dove non ci si ferma per sempre. Non hanno senso, in chiave educativa, le relazioni esclusive e indissolubili, quelle da cui “tutto dipende”. Ci si può legare anche senza dipendere. Ci si può sciogliere anche senza abbandonarsi. Non siamo noi il “per sempre” di cui sono in ricerca. Noi siamo noi la meta. Come si fa?

Mettendo elementi di infinito nella relazione finita e definita. Capito? «Tu me li hai dati e a Te li riporterà».

Se accompagneremo questo cammino, svolgendo il ruolo di rifugio accogliente, se apparecchiando la nostra tavola per ogni incontro sapremo offrire un “per sempre” vero, allora potremo dire serenamente, guardando dritto negli occhi: «No, Oxsana, tranquilla: io – no – ciao».


Tocca a Noi

«Io – no – ciao». E tu?

[Foto di Nicola Cavallotti]

2 Commenti a "UNO SGUARDO È PER SEMPRE"

  • comment-avatar
    alberto fantuzzo 28 Settembre 2023 (14:29)

    Bellissima riflessione. Grazie Mattia!!

  • comment-avatar
    Maria Cristina Rosin 28 Settembre 2023 (15:46)

    Per ognuno di noi quali sono
    Gli ”elementi di eternità ”da vivere nelle relazioni ?

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