Assistente Ecclesiastico nazionale alla branca E/G
«Neanche tu sai il motivo, ma sai che lo vuoi. E questo ti basta a faticare come un matto. Dove vai albero?». Sono parole tratte da uno degli ultimi pezzi della band Eugenio in via di Gioia, Albero. L’albero, è metafora dell’uomo; sospeso tra cielo e terra, è radicato alla coscienza del limite e della morte, ma proteso, nel suo anelito di vita, alla dimensione trascendentale. Lo stesso Baden Powell ne Il libro dei capi diceva: «C’è poi un lato spirituale: con la conoscenza della natura, assorbita a larghe sorsate durante le uscite nei boschi, un’anima limitata cresce e si guarda intorno. (…) Lo studio della natura fonde in un atto armonioso il senso dello spazio infinito, del tempo che corre, dell’infinitamente piccolo, che tutti formano parte dell’opera del Grande Creatore». Nella nostra stessa esperienza, come in quella dei ragazzi, quello che la canzone esprime e B.-P. descrive riguardo alla natura, è il suo essere strumento privilegiato per aprirci al trascendente e per costruire e vivere avventure. Sempre B.-P. diceva «la vita all’aperto è la vera meta dello scautismo e la chiave del suo successo» percui è un limite quando il grande libro della natura diviene solo strumento e non via capace di insegnare uno stile della quotidianità intrisa di relazioni e di vissuti differenti. Quello che noi viviamo in relazione con la natura e, di conseguenza, proponiamo ai ragazzi, dovrebbe essere quindi capace di comunicare la sua parte di Verità, dal momento che considerare la questione ambientale come intrinsecamente relazionale «ci impedisce – afferma il Papa nell’enciclica Laudato sì, al n.139 – di considerare la natura come qualcosa di separato da noi». La logica non è quella di un tutt’uno, non è una specie di Pandora del film Avatar. Dobbiamo riconoscere la nostra alterità e la nostra responsabilità di uomini, che siamo contestualmente chiamati a far crescere e maturare nei ragazzi e che ci invita a essere custodi l’uno dell’altro e tutti insieme del creato perché «trascurare l’impegno di coltivare e mantenere una relazione corretta con il prossimo […] distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra» (Laudato sì, n. 70).
La vita di squadriglia è il luogo privilegiato perché esploratori e guide possano imparare a custodire se stessi, il più piccolo, gli altri e anche gli ambienti come la sede o i luoghi esplorati nelle uscite. «Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio» (Laudato sì, n. 20). Se noi per primi sapremo vivere e rileggere le relazioni tra grandi e piccoli alla luce della fraternità e della bellezza, sapremo anche trasmetterlo ai nostri ragazzi nel rapporto fra pari, nella relazione educativa e in uno stile di vita verso la creazione che sia educato per cui nuovo e, al contempo naturale, perché innato. Il Papa invita a pensare un’educazione ecologica integrale, il metodo ci sostiene in questo ma anche noi abbiamo bisogno di conoscere, e non solo sapere, il linguaggio specifico della creazione.
La chiamata alla custodia diventa stile di vita perché rispondiamo, senza timore, alla domanda primordiale di responsabilità verso l’altro che Dio chiese nel giardino: «Adamo – uomo – dove sei?». Francesco d’Assisi riconosce nella natura e nel fratello la mano del Creatore per cui l’amore verso Dio si esprime anche attraverso l’amore per le sue creature, non come semplice poesia ma per la forza attrattiva che Dio ha avuto su di lui. La mia esperienza personale dice che sono scout perché ho avuto una maestra che è stata capace di trasmettermi una passione e riconosco, dopo 30 anni, che lei ha lasciato il segno. Ognuno di noi ha costantemente bisogno di riscoprire la propria passione e solo dopo, spinto e riattivato dall’Amore che ci ha attratto, può fare in modo che questo trabocchi nel progetto educativo per le squadriglie e il reparto, nella piena, vissuta e riconosciuta consapevolezza che la scuola della natura parla non come mero strumento ma da sorella e maestra. Allora la natura per noi non sarà semplicemente “la palestra” dove far vivere il campo, l’hike o la missione ma la situazione ideale perché ci possa essere una voce in più che parli al cuore dei ragazzi.
[Foto di Martino Poda]
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