di Vincenzo Pipitone
Dal Comitato di Zona dei Fenici al municipio di Mazara del Vallo: Salvatore Quinci e la scelta di impegnarsi in politica
“Fedeltà è saper dire eccomi. È una fedeltà all’Agesci per tutta la vita? No, assolutamente. È fedeltà a essere uomini e donne che dicono “Sì, eccomi”, a essere per gli altri per tutta la vita”. Mentre intervisto Salvatore Quinci mi vengono in mente le parole di Giovannella Baggio al Convegno Zone. Siamo in Sicilia e Mazara del Vallo, 51.000 abitanti, è la città del satiro danzante, esempio straordinario di bellezza mediterranea. Proprio qui, dalla correlazione tra bellezza, buono e vero, è nata una storia di fedeltà radicale al Patto associativo. Perché se fedeltà è liberare il nostro tempo per provare a lasciare un segno positivo nella nostra terra, fedeltà è spesso anche sinonimo di follia, amore senza misura. Fino a pochi mesi fa Salvatore era membro di Comitato in Zona dei Fenici, oggi è sindaco di Mazara.
– Salvatore, come nasce l’idea di candidarti?
«Nasce da progetti, idee e, perché no, ambizioni, legate alla nostra idealità, identità, ingenuità (si può dire?) scout; dalle tante volte in cui ci siamo detti di voler ampliare il perimetro del nostro servizio e fare qualcosa per la città. È una scelta personale che si intreccia con la storia dello scautismo mazarese, con la mia comunità capi; anzi, il punto di arrivo di una storia scout che parte dal dopoguerra».
– In che modo la scelta di candidarti è intrecciata con la vita della tua Comunità Capi?
«Perché la mia scelta è stata condivisa, stimolata, sostenuta dalla Comunità capi, e da tanti altri scout non più in Associazione. Sono stati loro il nucleo fondante della lista civica che mi ha appoggiato. Poi si sono aggregate altre realtà, ma la mia scelta è una scelta “adulta”, esplicita, della mia Comunità capi, con la quale abbiamo voluto lanciare un messaggio: per noi non c’è alcuna contraddizione tra il servizio in Agesci e il servizio politico. Abbiamo lanciato un modello di democrazia partecipata ispirato a quello che facciamo vivere ai nostri ragazzi sin dal loro ingresso che, in fondo, è il fine educativo della vita comunitaria, dal Branco alla comunità RS».
– Il vostro quindi è un messaggio rivolto anche ai ragazzi del gruppo e a tutti i giovani della città?
«Sì, e il messaggio è: impegnati, perché c’è uno spazio in cui contribuire con i tuoi talenti alla crescita della comunità; c’è uno spazio per opporti al cinismo, alla disillusione, alla violenza verbale, alla rassegnazione. Questa la mia più grande responsabilità: dare prova di fedeltà, fino alla fine, ai valori espressi nel nostro Patto associativo. A Mazara, ma credo ovunque, si è creato un ampio scollamento tra i cittadini e il governo della città, quindi la nostra è una scelta che vuole riaffermare il principio di cittadinanza o, come diremmo noi, di cittadinanza attiva. Oggi anche un altro membro della Comunità capi, Gianfranco Casale, è consigliere comunale, eletto nella stessa lista civica».
– Paolo Borsellino diceva “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”. È così anche per te?
«A Mazara non mancano le difficoltà legate alla criminalità organizzata, all’inquinamento, alle fragilità sociali. In più viviamo un periodo in cui l’impegno politico è visto con sospetto, discredito, scarsa considerazione, ed è sempre più percepibile una dilagante sfiducia verso le istituzioni, una profonda crisi di rappresentanza e di partecipazione dei cittadini alla vita politica. Dal mio punto di vista però si è capi scout dentro e fuori l’associazione, nella misura in cui si è cittadini consapevoli, responsabili, che sentono il dovere di partecipare alle scelte democratiche del Paese».
– Quanto è stata sofferta la scelta di lasciare lo scautismo dopo oltre 40 anni?
«Per nulla! Non sono più censito, questo sì, ma non sento di aver lasciato una comunità, sento di averla ampliata; non sento di aver lasciato il servizio, ma di essermi caricato di tante altre responsabilità che esigono uno sforzo notevole. Soffro, piuttosto, per gli attacchi quotidiani alla mia persona. Soffro perché sacrifico la famiglia, mia moglie e i miei due figli di 18 e 21 anni, oltre la misura che avevo immaginato, perché tolgo serenità ai miei cari per le tante situazioni spiacevoli. Tutto ciò perché ogni giorno mi scontro con gente che non fa politica per migliorare la condizione della comunità di appartenenza, ma perché ha un nemico da abbattere; non un avversario, un nemico».
– Cosa vuol dire, in questa situazione, rimanere fedeli? Come vivi oggi la tua fedeltà al Patto associativo, alla Promessa, alla Legge scout?
«Accogliendo una nuova chiamata al servizio. Proprio perché sei fedele ai valori del Patto, non ti puoi tirare indietro. È questa la vera fedeltà: a un certo punto ti trovi a lasciare quella che per te è la realtà più “comoda” (fare il capo scout), in un ambiente protetto, in cui condividi gli stessi valori, in cui basta uno sguardo per riconoscersi. È molto più complicato andare fuori, in “mezzo ai lupi”, per fare da apripista in una società più ampia. E poi essere fedeli è anche accettare la sfida contro chi oggi ti deride dicendo “Guardate lo scout” per far dire alla stessa persona, dopo cinque anni, “Ma guarda un po’ cosa hanno saputo fare gli scout”. Vuol dire anche interrompere la carriera lavorativa sapendo che, al rientro, sarai costretto a ricominciare da capo. Vuol dire, talvolta, fare delle costosissime rinunce esclusivamente per amore dei tuoi cittadini. Vuol dire prendersi delle responsabilità di cui avresti fatto volentieri a meno. Vuol dire scegliere, dopo tanti anni di scautismo, tra continuare a fare il capo scout con le tue certezze, i tuoi ritmi, occupando quel nobilissimo ma piccolo spazio che è quello del mondo scout, e servire un’intera comunità, perché ti rendi conto che è necessario. È, nel mio caso, la risposta a una domanda: come posso continuare a fare il capo scout e, al contempo, continuare a vedere la mia città alla deriva?».
– Quali sono stati per te gli esempi di fedeltà?
«Mia madre, i miei capi, la mia Comunità capi, che continua sempre a starmi vicino nei momenti di sofferenza mia e della mia famiglia».
– Oggi è in crisi la cultura dell’accoglienza, dell’ospitalità, dell’amore evangelico. Qual è il tuo punto di vista?
«Ci impegniamo con la consapevolezza che in Italia oggi siamo minoranza, e avversati anche – lo dico con dolore – da alcune realtà che si definiscono cattoliche. Il mio avversario politico al ballottaggio fa parte di un partito che alimenta odio e paura verso i più deboli, che tenta di far crescere il consenso approfittando della crisi economica, incolpando i più deboli di responsabilità che vanno cercate altrove. Noi scout abbiamo in mente un modello di società diverso, da costruire passo dopo passo. È una delle sfide più impegnative ma, proprio per questo, più belle e che, più di altre, rende concreto il nostro calcio all’im dell’impossibile. Dalla nostra parte abbiamo quella capacità di sognare che altri hanno smarrito, di immaginare un futuro quando ancora, oggi, non ci sono neanche i germogli. Mazara è diventata grande grazie all’unione di quattro popoli e, fino a qualche anno fa, non aveva mai avuto grandi problemi di integrazione. Oggi dobbiamo tentare di sostituire il valore del benessere economico con quello della condivisione. Per noi scout discorso molto semplice, perché coltiviamo da sempre il senso di comunità».
Salvatore Quinci, sindaco di Mazara del Vallo dallo scorso maggio, ha 53 anni, è sposato e ha due 2 figli. Ha iniziato l’avventura scout a 11 anni, nel 1977 (squadriglia Leoni, Reparto B.P., gruppo Mazara del Vallo 1). Nel 1987, dopo la Partenza, entra in Comunità Capi, dove svolge il servizio di capo Reparto e capo Gruppo. Dal 2017 al 2019 è membro del Comitato della Zona dei Fenici (incaricato al tirocinio), ruolo che lascia in concomitanza con il suo impegno politico che, dopo pochi mesi, lo porterà a diventare sindaco.
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