Mediterranea, il Vangelo vivo e la Scintilla

di Mattia Civico

di Mattia Civico

Don Mattia Ferrari, assistente ecclesiastico del Nonantola 1, è il cappellano di Mediterranea, la nave che soccorre i naufraghi in fuga dalla Libia

«Eravamo in mare quando ci è arrivata la segnalazione che a circa due ore di navigazione dalla nostra posizione c’era una imbarcazione di migranti in difficoltà: fermi in balia delle onde. Sarebbero annegati a breve. Avevamo poco tempo. Abbiamo segnalato via radio alle autorità competenti la disponibilità a intervenire. Ripetutamente. Nessuno ci ha risposto. Sentivamo invece che gli aerei militari di Malta coordinavano l’intervento dei libici. Abbiamo provato ad arrivare in tempo. Di arrivare prima dei libici. Non ce l’abbiamo fatta. Sono stati presi e riportati in Libia. Lo sappiamo tutti che non si è trattato di un salvataggio ma di una deportazione. In Libia il loro destino è di tornare nelle condizioni da cui hanno tentato di fuggire, uomini, donne e bambini: il carcere, la violenza, gli stupri, le torture. A volte a bordo si è sottoposti, oltre che allo stress fisico di stare in mare, anche ad uno stress emotivo e psicologico. È importante conoscersi bene, avere gli stessi obiettivi, fidarsi l’uno dell’altro». Don Mattia Ferrari, 25 anni e assistente ecclesiastico del Nonantola 1, è il cappellano di bordo di Mediterranea, la nave che pattuglia il mare e soccorre i naufraghi in fuga dalla Libia. Una nave, certo, ma soprattutto il sogno coraggioso e concreto di un gruppo di persone, associazioni, centri sociali, che di fronte ai naufragi hanno scelto di non rimanere indifferenti. Hanno comprato una barca e si sono messi in mare. Negli stessi giorni in cui il Consiglio Generale a Bracciano votava all’unanimità il documento “La scelta di accogliere”, don Mattia celebrava Messa nel cuore del Mediterraneo. «Su questa barca, il Vangelo Vivo».

– Don Mattia, ma come ti è venuto in mente di salire su Mediterranea?
«Non era previsto. Ho conosciuto Francesca, Stefano e i ragazzi di Labàs, il centro sociale di Bologna, per colpa di Yusufa: dormiva alla stazione di Bologna; stava male e non aveva posto dove andare e soprattutto era profondamente triste. Camminava a fatica. Ci ha chiesto aiuto, ma eravamo in grande difficoltà: con le mie parrocchiane non sapevamo più cosa fare. I ragazzi di Labàs lo hanno accolto ed è rinato. Anzi: dicono che è stato lui un regalo per loro. Così da allora abbiamo iniziato a conoscerci. Sono loro ad avermi proposto di salire a bordo. Con il permesso del mio vescovo».
– Chiesa e Centri sociali non hanno proprio una lunga storia di dialogo….
«È vero, però in questa avventura io da loro ho imparato molto. Qualcuno mi chiede, scherzando, se li ho convertiti: la verità è che sono loro ad avermi convertito. Quei ragazzi credono in sogni grandi e sono per me “Vangelo vivo”. Nel Mediterraneo ho vissuto insieme a loro l’attualità della parabola del Buon Samaritano».
– Anche il Samaritano non era proprio uomo di Chiesa ….
«È proprio questo il bello! Il racconto di Gesù scaturisce dalla domanda di un dottore della legge: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. Cioè la Vita vera, la felicità. Lui risponde prendendo a esempio la compassione di un samaritano. Di un ateo, diremmo oggi. Il samaritano di fronte al povero non passa oltre: lo raccoglie, lo accompagna alla locanda, crea una rete di solidarietà. Quella persona sarebbe morta ed è invece viva. Ha avuto compassione».
– Quindi è la compassione la chiave per la felicità…
«Sì, la compassione. Ma intendo la compassione viscerale, quella che accende e innamora. La compassione viscerale è il modo in cui ama Gesù. Grazie ai miei parrocchiani ho imparato che tenendo il cuore aperto al Vangelo, Dio ci riserva delle sorprese. Davanti all’umanità ferita la compassione viscerale crea un legame per cui il dolore e la speranza diventano comuni. E la paura se ne va».
– È forse l’esperienza che facciamo nel Servizio.
«Il Servizio è fondamentale nella nostra proposta educativa ma deve legare con la compassione. L’obiettivo educativo del Servizio è quello di far crescere nel cuore dei Rover e delle Scolte la capacità di compassione, di vivere l’amicizia e la fraternità con i poveri. Il Servizio non è una attività settimanale fra tante, ma è la disponibilità a comprometterci e a vivere la fraternità col più povero».
– La compassione costringe all’azione….
«Ce lo dice il Patto Associativo. Vale la pena rileggerlo: “La scelta di azione politica è impegno irrinunciabile”. Il Patto che ci lega come Scout ci chiede di agire, di essere concreti. Fedeltà al Patto Associativo significa tradurre in azione concreta le scelte che vi sono contenute. La scelta cristiana, del Servizio, di prendersi cura dell’altro. Troppo spesso rischiamo di essere passivi: il messaggio imperante oggi è quello di non dare fastidio, di stare nel sistema. Lo scoutismo che educa al Servizio, ci chiede di essere scomodi. Agire e quindi dire parole scomode».
– Agire e dire insieme….
«Si, perché all’urgenza dell’azione va affiancata la parola. Dobbiamo raccontare quello che facciamo, che vediamo, ciò che ci muove. Testimoniare la compassione e la fratellanza universale».
– E tu… cosa vorresti dire ai capi che ti stanno leggendo?
«Di accendere la scintilla divina che è in ognuno di noi. Di fidarsi del Vangelo. Di fare esperienza di fratellanza universale. Di resistere alle parole d’odio che troppo spesso sentiamo e di abbandonarsi alla compassione. Di rincorrere quindi la vera felicità. Sia per mare, sia per terra».
Don Mattia sorride. Mi accompagna alla macchina e mi saluta. L’ultimo pensiero lo riserva ancora a Yusufa: «La prossima volta che vieni a trovarmi – mi dice – andiamo insieme a Labàs, che te lo presento!». Ci penso: e se poi si accende la scintilla? Buona strada Mattia!

Don Mattia Ferrari, 25 anni, è vicario parrocchiale a Nonantola (Modena). Entrato in seminario a 18 anni, è stato ordinato sacerdote il 26 maggio 2018. È assistente ecclesiastico del Nonantola 1 e assistente diocesano di Azione cattolica ragazzi.

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