Internet e attivismo, un connubio che risale all’alba della Rete e che è evoluto di pari passo all’evoluzione della Rete.
Negli ultimi anni abbiamo assistito, dalle “primavere arabe” a Puerta del Sol a Wall Street, alla nascita e allo sviluppo di movimenti che molto devono alla Rete e ai suoi strumenti. Non è un caso se, sull’onda di un discutibile tecno-entusiasmo, alcuni hanno definito le rivoluzioni in Tunisia ed Egitto “Twitter e Facebook Revolution”.
Noi vogliamo resistere alla tentazione di attribuire a delle piattaforme web il potere di ribaltare dittature, ma non possiamo negare che queste piattaforme siano straordinari strumenti per facilitare l’organizzazione di gruppi eterogenei di persone, più o meno spontanei, senza chiara leadership riconosciuta dall’intero gruppo, la diffusione rapida di messaggi, la possibilità per ciascuno di testimoniare quanto si sta vivendo. E non è un caso se Ben Ali nelle ultime settimane della sua dittatura ha tentato di bloccare Facebook affinché le notizie delle manifestazioni nelle diverse parti della Tunisia non si diffondessero e non dessero ai tunisini il senso di partecipare a una rivolta che coinvolgeva l’intero paese. Fino ad allora confinare le rivolte nel proprio spazio fisico era stata una delle armi vincenti del regime per proteggere se stesso.
Qualcosa è cambiato, dunque, nel momento in cui la Rete è diventata qualcosa su cui ciascuno di noi, anche senza specifiche competenze tecniche, poteva scrivere oltre a leggere. Don’t hate the media, be the media era lo slogan di Indymedia, l’Independent Media Center nato nel 1999 a sostegno del movimento no global impegnato a protestare a Seattle contro il WTO. E grazie al cosiddetto Web 2.0 e ai social network è vero che ciascuno di noi è diventato un media, con notevoli conseguenze su come funzionano l’attivismo e la partecipazione politica e, più in generale, la comunicazione politica.
Da Obama in poi, negli Stati Uniti le campagne elettorali sono diventate lo spazio e il tempo in cui le persone prendono la parola, viene data loro voce, diventano protagoniste. Ciascuno è chiamato a fare la propria parte per il candidato. E non potrebbe essere altrimenti, in un mondo in cui la comunicazione, ormai disintermediata, si fa su piattaforme che vivono grazie a noi e ai nostri contenuti. Noi siamo i protagonisti di ciò che ogni giorno esprimiamo con la nostra stessa voce amplificata da Facebook o Twitter.
O più o meno. Perché la presunta orizzontalità dei social media nasconde in realtà nuove forme di gerarchizzazione: diffuse, meno evidenti, ma non meno verticali. E perché la presunzione di avere voce in capitolo dura lo spazio di una campagna elettorale in una società che, pur comunicando in Rete, non è ancora diventata a rete e in cui le gerarchie sopravvivono, inattaccate e inattaccabili. La disintermediazione, insomma, non è che simulata, nella migliore delle ipotesi, strumento per indebolire i deboli, nella maggior parte dei casi.
Ciascuno di noi, nei propri spazi, si fa media, portavoce di un pensiero, di una causa. L’attivismo politico ha preso forme nuove e inedite e non richiede più di passare attraverso l’adesione a un gruppo, un’associazione, un partito. È sufficiente una connessione a Internet, un account su un social network e si può partecipare.
Quello che manca ancora è la capacità di mettere a sistema questa partecipazione diffusa e spontanea, valorizzare le competenze e le intelligenze che si dispiegano in Rete in mezzo al rumore dei molti che hanno poco da dire.
Se gli strumenti offerti dal digitale fossero realmente interiorizzati, se pensare digitale diventasse la norma, il web diventerebbe uno strumento al servizio del nostro vivere in collettività, non solo un canale in più attraverso il quale fare le stesse cose che si fanno da sempre. Senza scadere in un facile entusiasmo per la Rete e la tecnologia, è indubbio che la possibilità di costruire reti di persone e idee indipendentemente dai limiti imposti dallo spazio e dal tempo sia un’opportunità unica della nostra epoca. Un’opportunità che aspetta di essere colta nella sua pienezza. Forse perché abbiamo bisogno che a disegnare il nostro mondo siano persone che nel digitale sono nate e cresciute.
E allora, ben venga una comunicazione che vuole metterci al centro, facendoci sentire protagonisti, ben venga la app per smartphone per coinvolgere i propri sostenitori, ma meglio ancora se la partecipazione e il coinvolgimento escono dalla rete e si fanno azione politica. Non perché ci sia contrapposizione tra reale e virtuale, tra Rete e mondo tangibile: ma perché la Rete formi un poco di più il mondo e il suo modo di funzionare, dopo averne profondamente modificato il modo di pensare.
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Social media manager ed esperta di pianificazione di campagne online, Claudia Vago aiuta realtà politiche e non profit a trovare la propria voce sul web. Ha curato diverse campagne elettorali e progetti di ONG, osserva e commenta su diversi web magazine le tendenze della comunicazione. Si occupa di formazione al digitale.
[foto di Francesco Mastrella]
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