Generati da una volontà di accoglienza, chiamati all’amore.
Le domande esistenziali spiegate da una monaca di Bose.
Ci sono domande essenziali che abitano il cuore di ogni uomo e donna.
«Da dove veniamo?». Viviamo una sorta di contraddizione dentro di noi: da un lato siamo colti da un grande sgomento di fronte a questa domanda, dall’altro conosciamo lo stupore di essere nati. Entriamo nel mondo e iniziamo a vivere, o meglio iniziamo veramente a voler vivere quando, da un lato, sentiamo che Dio ci ha amato da prima che nascessimo, che siamo stato veramente voluti («Sei tu che hai plasmato il mio profondo, mi hai tessuto nel grembo di mia madre», Salmo 139,13); dall’altro lato, sentiamo anche tutta la cura e l’accompagnamento delle persone che ci è dato di avere accanto.
«Chi siamo?» e «Che cos’è l’uomo che tu lo ricordi, il figlio dell’uomo perché tu lo visiti?» (Salmo 8,5).
La risposta cristiana a questi interrogativi ha a che fare con l’uomo Gesù, lui che è il racconto e l’immagine del Dio invisibile e l’uomo compiuto: «Ecce homo» (Giovanni 19,5). Gesù, con la sua incarnazione, morte e resurrezione ha vissuto una comunione profonda con ogni uomo e donna di questa terra, con ciascuno di noi. Egli ha sottomesso a sé tutte le cose, anche la morte, anche se nell’ora attuale non ne vediamo ancora il compimento definitivo e spesso siamo scoraggiati per la presenza, nella nostra storia personale e comune, della sofferenza e del male. Sappiamo, però, che Cristo ci guida alla salvezza. È una speranza, una salvezza che non è confinata in un aldilà, ma che si può sperimentare qui e ora, salvezza come arte del vivere quotidiano, salvezza solidale con tutti gli altri umani e con il cosmo intero.
«Dove andiamo?». Credere è seguire le sue tracce, è esercitarci a cogliere nelle nostre vite un riflesso della bellezza di Dio. In Cristo diventiamo fratelli tra di noi: non ci è dato di superare la nostra condizione umana di finitezza, ma ci è dato di assumerla in profondità, cercando le cose del cielo e la sua volontà.
È Dio che ha bisogno degli uomini – come dice anche il titolo di un film degli anni ’50 diretto da Jean Delannoy – e ci chiede di essere uomini e donne con i tratti dell’umanità mostrata e vissuta da Gesù, con la sua fede-fiducia: è solo in questo modo che possiamo continuare quella narrazione iniziata dal Figlio, con le nostre vite. In lui c’è stato amore per questa terra e per tutti gli uomini e le donne che ha incontrato, non si è mai stancato di amare tutti indistintamente, poveri, ultimi, piccoli e peccatori, fino a consegnarci il comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Giovanni 13,34). Nello stesso tempo, Gesù non ha mai confuso la terra con il Regno, riconoscendo che la vita su questa terra è una dura lotta contro gli idoli seducenti che in ogni tempo, ieri come oggi, vogliono farci dimenticare di essere stati generati da una volontà di accoglienza, e vivere non in comunione con gli altri, ma senza gli altri o addirittura contro gli altri. «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per abiti. Non abitano neppure città proprie, né usano un linguaggio particolare, né conducono un genere speciale di vita … ogni terra straniera è patria per loro, ogni patria è terra straniera … trascorrono la loro vita sulla terra ma sono cittadini del cielo … obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere superano le leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati .. sono poveri e arricchiscono molti, mancano di tutto eppure abbondano di tutto. Insultati benedicono, offesi rispondono con rispetto» (“A Diogneto”). In questi stralci meravigliosi di questo testo dei primi cristiani si possono cogliere i tratti dei discepoli di Cristo, che non vogliono privilegi né esenzioni, che non fanno affidamento sulla forza e sulla grandezza. Stare dietro al Signore significa credere all’amore (1Giovanni 4,10) fino alla fine della vita.
Qui è racchiuso il senso della nostra vocazione. Nessun idealismo: ogni scelta costa fatica, amare richiede un esercizio continuo, una infinita lotta spirituale. Per tutti noi, in qualsiasi modo siamo chiamati a quest’amore, derivano delle responsabilità: un primo, grande esempio ce l’ha dato Dio Padre, che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Giovanni 3,16). Allo stesso modo, anche tanti Santi che hanno costellato la nostra storia sono tuttora esempi luminosi di cosa e quanto si possa arrivare a fare per amore. Dunque, una prima domanda importante che dobbiamo farci, cercando di rispondere all’interrogativo «dove andiamo?», è: nel nostro modo di vivere, riusciamo veramente a dare un primato all’amore o rischiamo di dare priorità a degli idoli materiali che a volte anestetizzano le nostre vite?
Occorre ricordarci sempre che noi tutti siamo chiamati ad abitare questa terra di sofferenza e di speranza come sentinelle che gridano giorno e notte che verrà ancora l’alba, che verrà il mattino per non desistere nella dura fatica del vivere quotidiano e continuare a credere fino all’ultimo respiro all’amore, all’amore più forte della morte.
Monaca dell’accoglienza
56 anni, una laurea in Scienze agrarie e una specializzazione in Cinema, teatro e televisione, Antonella Casiraghi è entrata nel Monastero di Bose (la comunità a Magnano, in provincia di Biella – Piemonte -, di cui fanno parte monaci e monache appartenenti a diverse Chiese cristiane, www.monasterodibose.it) 25 anni fa. Qui, da più di 20 si occupa dell’accoglienza, che con la preghiera e il lavoro è uno dei pilastri della vita monastica. Dice la Regola di Bose: «Pratica l’ospitalità sapendo che è Dio che viene a te da pellegrino. Ogni ospite che giunge in comunità sarà dunque accolto da te come Cristo in persona […] Avrai dunque per l’ospitalità una grande cura. Riceverai tutti con onore, con semplicità, ma anche con delicatezza, e cercherai di credere che in loro Cristo è presente. Per tutti attenzione e benevolenza, soprattutto per i fratelli nella fede, i poveri e i pellegrini». Aggiunge Antonella: «In questi anni ho ricevuto molto da tutti gli ospiti, credenti e non credenti: ciascuno di noi ha un tesoro in umanità unico da condividere»
[Foto di Martino Poda]
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