Progetto Garanzia Giovani

Enrico Giovannini: docente universitario, ex presidente dell’ISTAT, Ministro del Lavoro nel Governo Letta, papà di due scout. Lei ci è sembrata la persona giusta per introdurre in numero della nostra rivista tutto dedicato al lavoro. Ci aiuta a fare chiarezza?
Non è facile parlare ai giovani italiani di oggi, lo ammetto. Infatti, la crisi economica di questi anni ha reso ancora più difficile la loro condizione. Ogni giorno i media ripetono i dati drammatici sulla disoccupazione giovanile e parlano dei giovani come della “generazione perduta”, sottolineando la voglia di tanti di andare via, di lasciare l’Italia per “cercare fortuna” all’estero come fecero i loro bisnonni. Allo stesso tempo, però, vediamo tanti ragazzi e ragazze impegnati nella vita economica e sociale, sia sui banchi scolastici e universitari, sia nel mondo del lavoro e del volontariato, e leggiamo di imprese italiane che lanciano bandi per reclutare centinaia di giovani di qualità.

E allora qual è la verità? Giovani scansafatiche o intraprendenti?
In questa situazione non è facile, per un giovane, capire dov’è la verità e come orientarsi per percorrere al meglio la propria “strada”. E allora, forse, la prima cosa da fare è superare gli stereotipi proposti dai mezzi di comunicazione e guardare meglio alla condizione giovanile, fatta di problemi, ma anche di tante opportunità. Cominciamo dai problemi, che non sono pochi. E cominciamo dalla scuola. Nella classifica internazionale sulle competenze degli studenti 15enni l’Italia si colloca intorno alla trentesima posizione, nettamente indietro rispetto a molti dei principali paesi europei, anche se in miglioramento rispetto agli anni scorsi. Inoltre, in Italia si trovano grandi differenze in termini di risultati (eccellenze coesistono con risultati molto negativi) tra regioni del Nord e del Sud, talvolta anche nella stessa scuola, e a pesare molto è la condizione della famiglia di origine. Rispetto ad altri paesi maggiore è la quota di ragazzi che arriva tardi a lezione o che fa spesso assenze e questo comportamento è spesso associato a risultati scolastici peggiori. Infine, se va sottolineato come le ragazze ottengano ormai risultati scolastici mediamente superiori a quelli dei ragazzi in termini di completamento degli studi, dal punto di vista delle competenze, le ragazze vanno meglio dei ragazzi nella comprensione ed elaborazione dei testi e peggio in matematica, mentre in scienze non si notano differenze rilevanti.

Un quadro non proprio entusiasmante…
Purtroppo è proprio così, e la situazione appare ancora peggiore se aggiungiamo anche il fatto che molti ragazzi non finiscono la scuola dell’obbligo. Oltre il 17% dei ragazzi abbandona la scuola prima del tempo, con punte del 25% in alcune regioni del Mezzogiorno e di oltre il 40% per i giovani che ci ostiniamo a chiamare “stranieri”. Questo è uno dei dati più preoccupanti perché chi ha bassi titoli di studio trova molte più difficoltà ad essere occupato: restare fuori dal circuito scolastico, quindi, può condizionare l’intera vita della persona.

Cosa si trova davanti un ragazzo quando finisce la scuola?
Al termine del percorso scolastico l’impatto con il mercato del lavoro e con gli studi universitari per molti rappresenta un ostacolo difficilmente sormontabile. Nel 2011 solo il 46% di coloro che hanno terminato la scuola superiore, a tre anni di distanza, aveva un lavoro, il 16% lo cercava senza trovarlo, mentre il 34% aveva proseguito gli studi. Tra i laureati, invece, il 71% dei laureati lavorava e il 15% cercava un lavoro. Purtroppo, alla fine dei loro studi, molti giovani si ritrovano nella condizione di disoccupato o di inattivo: i cosiddetti NEET, cioè i giovani 15-24enni che non studiano e non lavorano, sono circa 1,3 milioni: un numero enorme e nettamente superiore a quello che si trova in altri paesi europei. Di questi, quasi la metà cerca un lavoro senza trovarlo, l’altra metà non lo cerca perché non pensa di poterlo trovare o perché non gli interessa lavorare. Ovviamente, la crisi economica ha una forte responsabilità nel determinare questo risultato, ma non bisogna dimenticare che la scelta del percorso di studio pesa molto sulla possibilità di trovare un lavoro, con maggiori opportunità per gli studi più professsionalizzanti.

Come ha cercato di rimediare, in qualità di Ministro del Lavoro?
Di fronte a tale situazione, nei dieci mesi di governo, insieme al Ministro Carrozza, abbiamo realizzato diversi interventi finalizzati ad allineare l’Italia agli altri paesi più avanzati. In primo luogo, abbiamo previsto che, fin dalla terza media, ai ragazzi vengano illustrate le opportunità lavorative associate ai diversi percorsi di studio, così che anche la scelta della scuola superiore sia più consapevole e tenga conto delle condizioni del mercato del lavoro. È stato poi previsto che gli alunni degli ultimi due anni delle scuole superiori svolgano obbligatoriamente periodi di lavoro presso imprese del loro territorio, così da praticare quell’alternanza scuola-lavoro così frequente in altri paesi, che può aiutare il giovane a orientarsi meglio alla fine degli studi. Ovviamente, l’orientamento al lavoro va intensificato anche nel corso della scuola superiore e degli studi universitari, come previsto a partire dall’anno scolastico in corso.Per ridurre il rischio di entrare a far parte del gruppo dei NEET, il Governo ha poi sviluppato la “Garanzia Giovani”, il programma proposto dall’Unione Europea per assicurare che, entro quattro mesi dalla fine del ciclo di studi o dall’inizio del periodo di disoccupazione, ad ogni giovane venga offerta un’opportunità di lavoro, di tirocinio formativo, di servizio civile, di rientro nel circuito scolastico-formativo (nel caso in cui si sia abbandonata la scuola in anticipo) o di avvio di una propria impresa. Il programma prenderà l’avvio nella prima metà di quest’anno e verrà realizzato dalle Regioni sulla base di uno schema definito a livello nazionale. Infine, il Governo ha stanziato oltre un miliardo di euro per agevolare le assunzioni di giovani a tempo indeterminato, così da superare la precarietà che contraddistingue tanti lavori (le richieste delle imprese per questo tipo di assunzioni sono state circa 30.000 in otto mesi), per realizzare decine di migliaia di tirocini formativi e favorire l’avvio di nuove imprese nel Mezzogiorno, dove la condizione giovanile appare ancora più grave che nel resto del paese. A tale proposito va ricordato che ogni trimestre vengono firmati in Italia oltre 2,5 milioni di contratti di lavoro, la gran parte a tempo determinato, mentre poco utilizzato è l’apprendistato, una forma di contratto di lavoro pensato per i giovani (con il quale l’impresa che assume si impegna anche a fare formazione al ragazzo), le cui regole sono state semplificate proprio al fine di aumentarne l’utilizzo.

C’è speranza per il futuro, quindi? Dobbiamo avere fiducia?
Tutti questi interventi dovrebbero favorire il percorso formativo e di inserimento al lavoro dei giovani italiani. La ripresa economica in corso certamente aumenterà le opportunità di lavoro, ma è probabile che la disoccupazione giovanile resterà ancora alta per molto tempo. Ciononostante, le opportunità per chi ha potuto costruirsi un percorso formativo adeguato non sono poche, e questo vale anche per chi non si è iscritto all’università. Tutti i dati disponibili ci dicono che, se studiare fa la differenza, perché aumenta la probabilità di trovare lavoro, scegliere gli studi più coerenti con le richieste delle aziende è assolutamente indispensabile. Per questo è importante informarsi su quali sono le nuove professionalità richieste da un mondo che è in continua evoluzione e scegliere percorsi formativi adeguati a queste ultime. Come ho avuto modo di dire tante volte alle imprese e alle associazioni, solo con uno sforzo di tutte le componenti del Paese si può dare risposta alla domanda di futuro che viene dalle nuove generazioni. Se è vero che non esistono “bacchette magiche”, è altrettanto vero che moltissimo si può e si deve fare da parte di tutti coloro i quali hanno una responsabilità in questo campo. Anche i media possono fare molto, indicando i casi di successo, e ce ne sono tanti, che mostrino ai giovani italiani nuove opportunità e modelli da seguire. Ad esempio, le migliaia di giovani che hanno avviato nuove imprese o progetti sociali grazie alle leggi approvate negli ultimi mesi e ai finanziamenti resi disponibili sono un esempio da valorizzare, che induce alla speranza. Analogamente, il successo di tanti giovani nelle imprese o nelle università nazionali internazionali mostra il talento che il nostro paese riesce ad esprimere, nonostante le tante difficoltà. In conclusione, possiamo dire che non c’è nessuna ragione per si debba essere per forza pessimisti sul destino delle giovani generazioni del nostro paese. Essere preoccupati è doveroso, essere scoraggiati è sbagliato. La ripresa e lo sviluppo futuro del nostro paese passano per il coinvolgimento e la valorizzazione dei giovani, questo lo sappiamo tutti e tutti dobbiamo fare il massimo nel nostro campo di lavoro. Così come spetta ai giovani aumentare al massimo il loro impegno nella formazione e nella partecipazione alla vita sociale del paese.

Un messaggio per i capi di Proposta Educativa?
Come insegna lo scautismo, il successo di un progetto passa dal servizio dei più grandi ai più piccoli e dall’impegno di tutti verso tutti. Sono sicuro che con lo stesso approccio si può realizzare il progetto più importante in cui il paese deve essere impegnato oggi: superare la crisi economica più grave della sua storia e ridare slancio ed entusiasmo alle nuove generazioni.

[intervista raccolta da Francesco Castellone]

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