Progetto del capo o psicoterapia di gruppo?

[di Claudio Cristiani]

Quando nelle comunità capi o ai campi di formazione si parla di Progetto del capo, i volti delle persone assumono espressioni diverse, a volte curiose.

C’è il capo o la capo il cui viso assume un’espressione di compiacimento, che tradotta in parole significa: “da noi si fa così: giusto, evvai!”. C’è poi lo sguardo sorpreso di chi sta vivendo un impagabile momento di scoperta, quasi una rivelazione: “in Agesci esiste anche questo?!”; se quello che ascolta viene percepito come qualcosa di utile e importante, il viso si colora di un certo interesse, altrimenti svela l’affacciarsi di un pensiero agghiacciante: “un’altra cosa da fare…!”. Può sembrare difficile da credere, ma trovare capi che rimangono folgorati dal sapere che in Agesci esiste anche un Progetto del capo non è poi così raro.

Guardando in faccia i propri interlocutori è anche possibile intercettare lo sguardo incredulo di chi, dentro di sé, sta pensando “ma che cosa sta dicendo?! il Progetto del capo non è mica questa roba qua!”. L’esplicitazione verbale di una simile incredulità può suonare più o meno così: “Ma no! Da noi si parla, ci si racconta, si mette in comune il proprio vissuto, si dice che intenzioni si hanno per la propria vita, lo studio, il lavoro…; se uno ha un problema può chiedere agli altri che cosa ne pensano, magari la comunità capi può essere d’aiuto…”. Ecco, ci siamo: il Progetto del capo ridotto a una sorta di psicoterapia di gruppo. E guai a dire “ridotto”! Qualcuno potrebbe indignarsi e dire che è un irrinunciabile momento di condivisione, un’irripetibile occasione per conoscersi, per comunicarsi… A cui per giunta viene pure dedicato molto tempo… E ci credo! Calcolando che si fa una volta all’anno, ogni upgrade della propria situazione personale può richiedere parecchio per essere “scaricato”. Se poi è prevista la possibilità di fare domande… addio!

Chi vive il Progetto del capo come psicoterapia di gruppo, in genere si ribella con forza quando gli/le si dice che quello non è un Progetto del capo. Sente questa affermazione come un’offesa, mostra ostilità nei confronti di chi è venuto a mettere in dubbio la validità e l’insostituibilità di una prassi che spesso è annoverata tra le più significative e preziose nella vita della comunità capi. Risentimento che non fa che aumentare nel momento in cui si porta  l’attenzione (torto irrimediabile!) su un arido articolo del Regolamento: il 49 nella fattispecie. Lì si dice che cosa è il Progetto del capo e, tra l’altro, vi si trova che “Gli ambiti essenziali da approfondire sono: la competenza metodologica; la vita di fede; la responsabilità sociale e politica; l’adeguatezza al compito ed al ruolo di educatore”. Certo, a ogni comunità capi “spetta il compito di stabilirne le modalità di stesura [il che vuol dire che deve essere scritto!] e di verifica [vuol dire che deve essere verificato], modellandolo in funzione delle proprie esigenze e di quelle dei suoi membri”. Ma “modellare” non significa “snaturare”.

Per capire che cosa è davvero un Progetto del capo, quindi, dobbiamo avere la pazienza di andarci a rileggere quel benedetto articolo 49. Scopriremo che esso ha lo scopo preciso di aiutare ogni capo a individuare gli strumenti (anzitutto metodologici, ma non solo) per compiere al meglio il proprio servizio. È ovvio che nel proprio essere educatore c’è anche una dimensione umana e personale che merita attenzione, ed è ovvio che la comunità capi può essere d’aiuto nella crescita di coloro che ne fanno parte. Ma non è il Progetto del capo il luogo per approfondire questi aspetti. Il Progetto del capo è stato pensato dall’Associazione per assolvere a una funzione precisa: se lo si interpreta in modo diverso, ci si priva di uno strumento prezioso. Per la condivisione, la comunicazione ecc. si possono trovare altre occasioni, se la comunità capi ritiene che sia utile farlo. Quando viene il momento del Progetto del capo, invece, è bene fare mente locale su quelle due semplici parole, “progetto” e “capo”: se è chiaro il significato dell’una e dell’altra, si potrà fare certamente un buon lavoro.

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