PER AMORE SOLO PER AMORE

di Antonella Cilenti

Quando scopriamo di essere amati e chiamati all’amore,
educhiamo naturalmente alla fede

Quando iniziamo la nostra esperienza in L/C siamo cuccioli anche nel cammino di scoperta della fede, qualcuno si muove curioso tra tana e aule di catechismo, qualcuno, più fortunato, mentre rallenta il passo per ascoltare la voce della formica Mi, impara che Dio è creatore di ogni essere vivente. Questo percorso in parallelo termina con il primo passaggio associativo: passaggio sinonimo di discontinuità, cambiamento, destabilizzazione; in reparto la proposta istituzionale del catechismo è terminata e il 12enne dovrebbe scegliere cosa fare della sua fede. In questa età complessa c’è scompiglio ANCHE qui. Cosa succede quando hanno collezionato i sacramenti? Ma è proprio vero che i ragazzi si allontanano o erano obbligati all’ascolto? Come si annuncia Gesù a un E/G o a un R/S? Perché lasciano i gruppi parrocchiali e non vanno neanche a messa?

Io penso che tutto cominci davvero proprio quando è finita la proposta di fede istituzionale! È senza il canonico annuncio che avviene l’annuncio. Per annunciare non serve una check list da spuntare, non è una questione di performance ma di lasciar risuonare. Per essere creduti bisogna testimoniare consapevolmente scelte definitive! Questo nella proposta dello scautismo avviene con naturalezza, come risposta a un bisogno di quella età. I ragazzi tra i 14 ed i 18 anni vivono rapiti in una dimensione esistenziale-emotiva, connotata da una ribellione alla dottrina morale, alla ricerca della verità in tutti gli ambiti della loro vita e sentono la responsabilità di costruirsi una mini posizione. Si mettono in moto meccanismi intellettuali e di discernimento propri di quell’età: il piacere di imparare, la curiosità di partecipare a un vespro, la voglia di protagonismo nell’animare la Messa, la necessità di comprendere le sacre scritture o di contestare a priori alcune posizioni adulte. La fede, fino a questo momento indotta dalla famiglia, seminata senza che si siano posti domande, si fa spazio per soddisfare l’intelletto. I ragazzi scelgono spesso la prima linea: sono testimoni prima ancora di essere credenti, muovono passi nella direzione del Vangelo pur non sapendo bene in quale direzione precisa lo si stiano facendo, sono mossi da qualcosa di ignoto.

Si procede così da giovani o no? Quando gli R/S sono in cerca di un’esperienza di servizio non si muovono per tentativi? Stessa logica del servizio in parrocchia, nella liturgia: prima ci si lancia e poi si rilegge l’esperienza. Quale è il ruolo del capo in questo moto intimo e necessario di procedere dei ragazzi? Puntare sulla FIDUCIA nella relazione capo-ragazzo. I ragazzi amano fare assieme a noi, dobbiamo nella quotidianità pizzicare la corda, sempre tesa, di quella tensione intellettiva e sperare che il suono che ne fuoriesce, riletto dal cuore, diventi chiamata. Lo scautismo è vincente perché ha in sé la dimensione esperienziale che è strategica quando si educa alla fede, nella nostra proposta la Parola non è solo imparata ma giocata e vissuta. Questo è fortemente attrattivo e può competere alla definizione di una fede adulta. Un canto scout dice: «Non mi hanno detto prega, incontrai Gesù per strada».

Daniela, ultima partita del mio clan, nella lettera di partenza dice: «La scelta di essere credente è stata la cosa che ho capito per ultima, quella che ho più volte affrontato senza giungere a capo della matassa; pur avendone preso coscienza per ultima, quando ho capito che voglio camminare in Cristo, non ci sono più tornata sopra». Dalle parole di Dani passa forte il concetto del mantello (già letto in questo numero, vedi pagina 10): essere amanti di Cristo è una decisione che non si diffonde dal cervello al cuore, ma dal cuore al resto del corpo! Si comprende come, se abbiamo lavorato bene da capi, la partenza è un inizio e non la fine. È un’assonanza dello scautismo.

Sono convinta che la scelta di fede è l’unica che si compie prima della partenza, le altre si raggiungono; non ha un luogo e un tempo, è in tutti i luoghi e tutti i tempi della vita di un R/S e di un capo. La sentiremo fare capolino la prima volta che da capi sq. ci troviamo catapultati sull’ambone, con il cuore a 1000, a leggere di Ioiachim (ma chi sarà mai? E come si legge?) senza sapere perché siamo lì, o da scolta quando in route, alle 6 di una fredda mattina di dicembre, il capo clan ci manda a preparare le lodi insieme a sorridenti suorine e tu atterrita non sai neanche come aprire il libretto della liturgia delle ore, o la sentiremo bussare con forza quando da capi scopriamo che l’unica testimonianza vera tanto per un lupetto che per un rover è quella di accogliere il Corpo di Cristo durante la Messa, solo così in futuro lo desidereranno anche loro. Per fare dunque bene il capo reparto, “re, sacerdote e profeta” (vedi le tre capacità da coltivare, a pag. 18) chiedono ai campi di formazione gli allievi cosa devo fare? Niente è la risposta, io educo naturalmente alla fede e lo so fare perché ho scoperto nella mia vita di essere stato amato, chiamato e di amare a mia volta. La fede allora non può essere un obiettivo educativo, è una questione di amore e come tutte le robe di amore si alimenta di temi come silenzio, ricerca, passione, combattimento interiore, scelta. Non si può imporre un amore, questo forse il motivo dei tanti allontanamenti dei ragazzi al termine del percorso sacramentale: un amore si sceglie. Alda Merini in una poesia dice: «Tutti gli innamorati sono in Cristo», vi sembra che non lo siamo noi che abbiamo fatto dei ragazzi che ci vengono affidati la nostra scelta di partenza?

[Foto di Nicola Cavallotti]

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