Occhi chiusi, cuori aperti

di Padre Roberto Del Riccio Assistente ecclesiastico generale

Quando aprì gli occhi, tutto era come prima. L’alba era ancora lontana. L’oscurità continuava a regnare. Eppure c’era qualcosa di nuovo. Rimase in ascolto. Improvvisamente capì. Il silenzio! Il silenzio della notte era diverso. Come se fosse abitato da tanti rumori. Ora li sentiva. Non come prima, quando nel silenzio rimbombavano solo le sue ansie, i suoi dubbi, i suoi pensieri. 

A forza di spaccarsi la testa su quei pensieri era lentamente scivolato in un sonno agitato. Erano pensieri che riguardavano la ragazza che aveva deciso di sposare. Si, perché lei gli aveva detto di essere incinta. Bella notizia, se non fosse stato per quel piccolo dettaglio: il padre non era lui. Immaginatevi il colpo, la rabbia, la delusione, il disorientamento… Il sogno di una vita insieme frantumato come un vaso di porcellana. 

Nei giorni successivi, la girandola dei sentimenti lo aveva consumato. 

Un pensiero lo assillava: cosa fare adesso? Lei gli aveva chiesto di sposarla nonostante tutto. Sosteneva che lui era l’unico che lei amasse. E l’altro? Non lo amava l’altro? C’era poi il bambino. Come si sarebbero comportati con lui? 

Aveva cominciato a considerare le possibili soluzioni, che lo mettevano sempre di fronte alla cosa più dolorosa: l’amava ancora. Non se la sentiva più di continuare a stare con lei, ma allo stesso tempo non voleva abbandonarla a se stessa, specialmente adesso che aspettava quel bambino, che lei voleva tenere. Per l’ennesima volta era tornato a pensarci, fino a quando, stremato, si era addormentato e aveva fatto un sogno. Dio gli era apparso e gli aveva parlato (poteva dunque solo essere un sogno); lo aveva chiamato per nome e cognome (quindi era proprio a lui che Dio parlava); gli aveva detto che la sua ragazza avrebbe avuto un figlio (beh, questo lo sapeva già); infine aveva concluso con una richiesta strana. 

Ripensando al sogno si sorprese del fatto che Dio affidava proprio a lui non solo la sua ragazza, ma anche soprattutto il figlio di lei. Anzi era proprio lui, che avrebbe dovuto dare al bambino il suo cognome. 

Adesso alla luce di quel sogno anche il buio non incuteva più timore. Il suo presente si apriva a un futuro totalmente nuovo. 

Di episodi come questo nel racconto biblico ne incontriamo molti. Sono episodi in cui qualcuno è in difficoltà, perché si trova in una situazione di angoscia e paura, di disorientamento e impotenza. Gli episodi raccontati mettono in scena una lotta. È quella tra il desiderio di bene, di vita e di pienezza e la realtà con i suoi ostacoli. In questo la mentalità biblica considera il sogno nello stesso modo della psicologia. Anche per essa come per la Bibbia «il sogno – per usare un’espressione di Jung – è la rappresentazione simbolica di un contenuto inconscio». Sia per la Bibbia, sia per la moderna psicologia il sogno è in tal senso un prezioso appuntamento con se stessi.

Sognando, possiamo incontrare qualcosa di noi, che normalmente ci è nascosto, perché inconsciamente lo “riteniamo” non accettabile. Non è necessario che sia qualcosa di negativo. Potrebbe essere, e spesso lo è, qualcosa di così prezioso, che non ce la sentiamo di prenderlo sul serio, perché abbiamo paura non si possa realizzare a causa della nostra presunta incapacità o delle difficoltà, reali o apparenti, che ci stanno di fronte. È il caso appena visto del sogno di Giuseppe su Maria (Matteo 1,18-25). Per lui la paura più grande è quella di non riuscire a superare la delusione per quel “tradimento” patito, che oltretutto il figlio di Maria con la sua semplice presenza gli ricorderà per tutta la loro vita insieme. 

Per la mentalità biblica però il sogno è qualcosa di più. La Bibbia non riduce il sogno a un incontro con se stessi e il proprio mondo interiore. Il sogno non è solo un momento, in cui si può osservare qualcosa che emerge dall’abisso del proprio cuore. 

Nell’intenzione degli autori biblici il sogno è soprattutto un incontro con Dio e non solo con il proprio Io. O meglio, è Dio che svela se stesso e i suoi piani a un Io che è emerso nudo anche nella verità dei suoi desideri più profondi e inconfessati. Dio incontra così tutto di noi e non solo quello che noi conosciamo o addirittura non accettiamo di noi stessi. Rivolgendosi attraverso il sogno anche a quell’Io che potremmo chiamare nascosto, Dio accoglie tutto di noi. Se c’è qualcosa che va affrontato (assecondato se positivo, contrastato o corretto se negativo), Dio lo affida al nostro Io cosciente. Spetta a noi la decisione di cosa farci. Solo così egli potrà prendere sul serio quella libertà, con cui ci resi ciò che siamo. 

Affinché ciò sia possibile siamo invitati dal racconto biblico a prendere sul serio non soltanto i cosiddetti sogni a occhi aperti, ma anche quelli fatti quando dormiamo, anzi soprattutto questi ultimi. La condizione per essere “interi” davanti a Dio è di presentarci a Lui anche con ciò che di noi emerge sognando. Gli permetteremo allora di accompagnarci a vivere la nostra vita con tutto noi stessi e non solo con ciò che di noi riteniamo accettabile.

 

[Foto di Nicola Cavallotti]

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