Non solo fratelli e sorelle

Abbiamo chiesto a Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose, che ci parlasse dell’esperienza della loro comunità. Anche a Bose, infatti la comunità è fatta da uomini e donne. I due sessi convivono in un’unica esperienza cenobitica che ci sembrava fosse interessante anche per noi, in questo numero che parla appunto di “donne e uomini insieme”. Pubblichiamo quindi per gentile concessione, un estratto da un libro di Enzo Bianchi: Nella libertà e per amore- Edizioni Qiqajon 2014 (pp. 99-101)

[…] Quanto alla nostra situazione a Bose di fratelli e sorelle che vivono insieme, non conosciuta nel passato della vita religiosa e per ora rarissima, che cosa dire? Che certamente vale un principio irrinunciabile: le sorelle siano donne e i fratelli siano uomini; le sorelle siano donne di fronte ai fratelli e i fratelli siano uomini di fronte alle sorelle, perché questa differenza, fino al nuovo ordine del Regno, è essenziale e permanente (non è vero che, qui e ora, «non c’è più né maschio né femmina», come afferma Paolo in Gal 3,28!). Questo significa che occorre una differenza di relazioni tra fratelli e sorelle, perché non si ha lo stesso rapporto con un fratello e con una sorella: su questo punto chi fa l’ingenuo, fa l’ebete! Per fare solo un esempio, la sessualità umana ha un rapporto fondamentale con la parola; e l’affettività reciproca vive particolarmente di parole e silenzi, in modo particolarmente acuto per le donne, ma anche per gli uomini. Occorrerebbe pertanto avere coscienza dell’impatto affettivo delle parole, del diverso uso delle parole tra uomini e donne. Ma occorrerebbe anche imparare che la castità esige anche la presa di parola in pubblico, davanti a tutti, non solo nel bisbiglio fatto all’una e all’altra (un tratto che è soprattutto femminile), nel privato delle relazioni, fino a formare una piccola comunità affettiva all’interno della più grande comunità.

Il nostro essere uomini e donne comporta anche che occorre una certa autonomia tra i due gruppi, a livello di spazi e di stile, ma un’autonomia che non porti a una contrapposizione, perché in tal caso sarebbe meglio una separazione definitiva. È difficile vivere una certa autonomia senza cadere nella logica mondana della contrapposizione; è una sfida in nome del Vangelo, una sfida che è possibile affrontare – e la nostra storia ce lo insegna – se c’è sincerità, se nulla è fatto di nascosto, se non si creano situazioni di esenzione dal comune cammino monastico. E si ricordi: una vita monosessuata non garantisce in nulla dai rischi delle relazioni fusionali né dalle contraddizioni alla castità; anzi, per quel che sappiamo le favorisce…

In una vita cenobitica le relazioni reciproche devono tendere all’incontro, all’ascolto e all’accoglienza reciproca: ciascuno deve uscire da se stesso per andare verso l’altro e per accoglierlo. Non le affettività né i temperamenti né le relazioni di amicizia riuniscono i membri in un’alleanza e in un corpo comunitario: senza essersi scelti, si è comunità radunata a causa della vocazione e dell’amore del Signore sopra ogni cosa. Ognuno accetta e riceve l’altro come dono di Dio, accogliendo anche le debolezze, le infermità dell’altro, quelle presenti e quelle che verranno nel tempo, perché così chiede il comandamento nuovo che nell’alleanza è il primo e supremo comandamento! L’amore gratuito, a immagine dell’amore di Cristo, deve prevalere su ogni sentimento del cenobita: solo così l’amore si apre all’universalità, è amore fraterno per ogni uomo o donna che si incontra e si incontrerà.

Scrive Jean Vanier:
I grandi pericoli di una comunità sono gli «amici» e i «nemici» … Se ci lasciamo guidare da emozioni e sentimenti, presto si formeranno coppie, clan e gruppetti all’interno della comunità. Allora non ci sarà più una comunità ma un gruppo di persone più o meno prese da una logica sentimentale … Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso di distruggere le barriere e di uscire dal cocon, dal bozzolo delle «amicizie», per non vivere in una logica che prima o poi crea nemici.

Sì, l’amore cristiano è difficile da vivere; ma se uno non sa viverlo, è meglio che non stia in comunità e viva invece la propria affettività nel mondo, dove non è chiamato a essere un segno o ad avere un significato cristiano e monastico.

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