Non c’è maschio e femmina

[di don Luca Albizzi, AE Toscana] Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.” (Galati 3,22-29)

1. I destinatari della lettera ai Galati erano cristiani di origine pagana, convertiti da Paolo nel corso della sua attività missionaria nel cuore dell’Asia Minore. Conquistati dal vangelo che egli annunziava con successo ai Gentili (pagani), liberandolo dai gravami della legge giudaica, erano stati successivamente influenzati dalla predicazione di altri missionari, più vicini alle posizioni conservatrici del primitivo giudeo-cristianesimo. Paolo, persuaso che fosse in pericolo l’essenza stessa del vangelo, furente di sdegno scrisse al fine di controbattere tale deviazione, garantendo ai Galati che il vangelo libero dalla legge, già da essi accolto, e al quale avrebbero dovuto rimanere fedeli, era per loro in quanto Gentili il solo vero vangelo. Il riferimento chiaro è all’esperienza dello Spirito: Paolo non proclama l’abolizione delle differenze all’interno della comunità, ma vuole evidenziare il concetto dell’unità che supera, nella fede, tutte le forme di distinzione.

La ‘creatura nuova’ – parola non menzionata in Gal 3,27-28 – nel pensiero paolino, rimanda ad una nuova umanità in Cristo, richiamando il racconto della creazione quando Dio li fece “maschio e femmina”. E lo sfondo è quello di un inno battesimale del Cristianesimo primitivo; l’iniziato cristiano (uomo o donna) era profondamente convinto del fatto di entrare a far parte di un gruppo che proclamava la soppressione di ogni forma di distinzione in tre settori etici molto delicati: razziale, sociale e sessuale. Fede e battesimo contraddistinguevano così l’ingresso nella nuova era.

Nascere nella fede significa per il vecchio io ‘morire’ realmente, vuol dire abbattere la barriera su cui si fondano le distinzioni e riporre la propria identità semplicemente nell’appartenenza alla persona del Signore risorto, nel quale ogni differenza perde di significato.

La vita delle prime comunità cristiane fu improntata, in tal senso, ad un considerevole rispetto della donna come compagna e uguale dell’uomo; sembra assai probabile che simili risultati si siano potuti ottenere seguendo fedelmente a questo riguardo la strada e l’esempio già in precedenza indicati dal Maestro: un atteggiamento nei confronti delle donne caratterizzato da un’apertura e una libertà rivoluzionarie.

2. Ma se nello Spirito non ci sono differenze, queste esistono tra uomo e donna nel modo di essere, di affrontare la vita, di leggere gli accadimenti del mondo, di scegliere le modalità dell’impegno; una differenza psicologica nel carattere maschile e femminile innegabile. Di conseguenza, anche a livello di educazione alla fede dovrebbe esistere una differenza pedagogica, almeno in linea teorica, nella nostra proposta.
E in questo senso, a che punto siamo con la coeducazione? La scelta di educare insieme ragazzi e ragazze, risalente alla fusione dell’AGI e dell’ASCI – oltre quarant’anni fa – ritenuta non solo una modalità educativa ma anche un valore, non solo una parte del metodo ma un contenuto, mantiene la sua forza e la sua validità?

Direi proprio di sì, oggi più che mai. Con tutte le difficoltà e le fatiche del momento che viviamo e che – se la memoria non tradisce – abbiamo di volta in volta sperimentato e affrontato negli anni, in mezzo a contesti sempre in continua evoluzione: disagio dei capi a fare chiare scelte e a conseguire una piena maturità personale, in particolare quella affettiva; instabilità e mancanza di serenità; difficoltà a comunicare con il proprio corpo; situazioni problematiche esistenti sia tra i capi che tra i ragazzi legate a famiglie irregolari, omosessualità, ecc. (v. Carta del Coraggio).

Importante e sempre più necessario è allora garantire una crescita globale e armoniosa della persona: il tema dell’affettività, dell’amore, dell’amicizia, la domanda di relazione, il bisogno di essere amati e di amare, in ultima analisi il bisogno di essere felici.

Si tratta di un percorso che esige tempi lunghi di maturazione: la costruzione di sé come persone felici parte dal riconoscersi e accettarsi come identità sessuata, ricca di caratteri originali, capace di stabilire relazioni con chi è altro da sé, disponendosi all’accoglienza, al rispetto e al riconoscimento della diversità. E qui accoglienza significa farsi altro, immedesimarsi, secondo la strada sempre viva e nuova che Dio ci ha indicato. E’ il messaggio d’amore del Cristo che si è fatto uomo, che si è immedesimato.

3. Non dimentichiamo poi che all’origine il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gen 2,18). In ebraico si afferma che egli voleva “un aiuto kenegdo”, ossia che gli stia di fronte, in piena parità di diritti e doveri. Un aiuto che diventa complementarietà, reciprocità, completamento e dove la differenza tra uomo e donna resta davvero profonda e radicale tanto da far dire che si tratta di una vera e propria ‘alterità’, nel senso che una donna è ‘altro’ rispetto a un uomo e viceversa.

Importante allora, nella nostra azione di capi, tener conto – con grande attenzione e senza semplificazioni – di questa alterità che è una ricchezza per l’avventura dello scautismo. Per questo l’associazione ha scelto, all’interno del metodo scout, di fare coeducazione, occupandosi così anche della alterità tra donne e uomini e non solo della loro diversità.

In questo, la frase di Genesi prima citata ci tranquillizza sul fatto che il bene per l’uomo, voluto da Dio, è stato ed è che la donna sia ‘complementare’ e non uguale a lui, in realtà incompiuto l’uno senza l’altra, in senso naturale più che culturale!

Chiudendo allora questa nostra riflessione, aiutati anche dalla Parola di Dio, dobbiamo essere consapevoli che siamo sempre e comunque di fronte ad un mistero, un progetto mai compiuto, da accogliere e rispettare, con quella delicatezza che non è male avere sempre di fronte all’altro.

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