Noi non spariamo, noi non uccidiamo, noi serviamo

di Giorgia Sist, Alessandro Denicolai, don Luca Meacci

Incaricati nazionali e Assistente branca R/S

 

Il film “Aquile Randagie” ci ha raccontato un pezzo di storia che è parte integrante delle nostre radici.
E quella storia, semmai ce ne fosse bisogno, ci spiega ancora una volta come lo stile del nostro essere sia in fondo un intreccio di fedeltà e ribellione.
“Il Rover è un tipo: col coraggio di restare anche solo, per rimanere onesto, con la volontà di proseguire, anche se tutti si fermano, con un disprezzo manifesto per il compromesso o il doppio gioco”, scriveva don Andrea Ghetti – Baden.
L’obiettivo è altissimo, ma i rover e le scolte solitamente non si tirano indietro a questa proposta.
Anzi, scegliere una parte, quella giusta, e rimanervi fedeli è spesso uno dei loro aneliti più grandi.
Non si è fedeli una volta per sempre, ma attraverso l’impegno quotidiano, fatto di piccole scelte che, esercitate giorno dopo giorno, realizzano una scelta più grande: quella di essere a servizio degli altri.
Ci vogliono determinazione, risolutezza, ma anche uno slancio di entusiasmo che nasce dall’idea che la felicità stia proprio nel fare la felicità degli altri.
È la strada (come sempre) la prima maestra: la capacità e la volontà di proseguire si esercitano lungo la strada.
È camminando che sperimentiamo la bellezza del non sentirci arrivati, che impariamo a non accontentarci del dove siamo ora, perché là, più avanti, c’è ancora una meta da raggiungere, un incontro da fare.
È lungo la strada che ci misuriamo con la fatica, con il desiderio di mollare perché più facile: ma quando si riesce a vincere quella fatica (o meglio a farne elemento integrante della nostra condizione) ci si scopre più forti, capaci di superare le difficoltà, di resistere alle tentazioni.
È lungo la strada che abbiamo l’opportunità di riconoscere la bellezza: nel creato, nei compagni di strada con i quali si riesce a costruire relazioni che non erano immaginabili prima di partire, nell’incontro con l’altro che ci svela il volto di Dio quando riusciamo a rispondere al suo bisogno, ma anche quando si fa accogliente verso di noi, ed infine in noi stessi quando riusciamo a lasciare cadere le nostre maschere e ci scopriamo (e ci amiamo) come siamo veramente.
La fedeltà non è una virtù innata, deve essere coltivata, preparata, cresciuta.
“Noi non spariamo, noi non uccidiamo, noi serviamo”, dicevano le Aquile Randagie. La storia di fedeltà e ribellione va oltre il gesto di proseguire lo scautismo clandestinamente.
La storia delle Aquile Randagie è storia di fedeltà alla promessa di essere di aiuto agli altri in ogni circostanza.
Rimanere fedeli ad essere “amici di tutti”, significò prima rifiutare l’adesione al fascismo, poi agire per salvare persone rifiutando l’azione violenta come strumento per perseguire la giustizia.
La grandezza dell’azione politica di quei gesti fu quella di rimanere fedeli all’uomo, alla persona e, in fondo, al Vangelo: non condannando, ma servendo.
Il richiamo a quanto possiamo fare oggi con i nostri ragazzi è forte. I rover e le scolte hanno, ancora oggi, sete di giustizia e di amore.
Incontrare realtà di bisogno e talvolta di ingiustizia è allora un modo per far emergere quella sete, partendo da una voglia di ribellione a ciò che non è giusto, a ciò che non è buono.
Quando ci avviciniamo a queste realtà e ci mettiamo a servizio, rendiamo concreta quella promessa fatta in reparto. Allora non tutto era chiaro, e promettere di aiutare gli altri in ogni circostanza era una scommessa.
Ora, il nostro servizio, è espressione di fedeltà a quella promessa. Riconoscere questo aspetto è importante: ci rende credibili di fronte agli altri e di fronte ai noi stessi.
Il gioco dello scautismo si intreccia con la vita, diventa più vero.
Ancora una volta la scelta di servire non è una volta per sempre: deve essere rinnovata, ribadita. Ecco allora che l’esperienza del roverismo/scoltismo non è fatta solo di occasioni o esperienze singole ma suggerisce la costruzione di percorsi di continuità.
Ne è esempio l’impegno a portare avanti con costanza un servizio personale. Diventa importante, non solo chiedere di mettersi a disposizione, ma anche aiutare i rover e le scolte a tener fede all’impegno preso, proponendo occasioni per spendersi in modo significativo, non accessorio, e privilegiando esperienze relazionali. È la relazione, infatti, che alimenta quel desiderio di continuità, perché ciascuno può cogliere che c’è un altro che mi attende, che può essere felice grazie a me, che desidera condividere sé stesso nel tempo
speso assieme. La relazione sperimentata nel servizio, sprona ad esserci, a non rinunciare alla parola data, a leggere il proprio impegno in una prospettiva di futuro, nella continuità che è di per sé valore e misura di fedeltà.
Ecco allora che scegliere diventa esercizio di fedeltà quando non si identifica semplicemente con il perseguimento dei propri desideri, ogni volta mutevoli, ma consiste nell’individuare una direzione da tenere e perseguirla.
La Promessa aiuta in questo: aiuta a mantenere una rotta di futuro, da rinnovare e alimentare. Nello scautismo non si è chiamati a un semplice “impegno”, che guarda a ciò che oggi credo di poter fare e desidero portare avanti; nello scautismo si chiede di promettere, trasformando così il nostro voler rendere il mondo migliore in una scelta da vivere nel presente e nel futuro.
Il cammino in Branca R/S deve dar forza a quella Promessa pronunciata, il più delle volte, tra le fila del reparto, in un tempo in cui è ancora difficile immaginare la grandezza e la potenza di quanto si sta abbracciando.
Occorre aiutare gli R/S a leggersi nel futuro, cosa assai difficile nel tempo presente ma anche tanto indispensabile. La fedeltà si costruisce rafforzando quella prospettiva di “oggi e domani” che è propria della nostra Promessa, nella continuità del servizio e del proprio impegno di vita e nella comunità.
La credibilità dell’Uomo e della Donna della Partenza, starà proprio nella loro forza di perseverare, di ricordare la propria direzione futura e lo stile di vita che si è riconosciuto come “buono, vero e bello” nel gioco, nell’avventura e sulla strada con il fazzolettone al collo. In una parola: nell’essere fedele.

 

[Foto di Martino Poda]

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