NESSUNO È INDISPENSABILE

di Letizia Malucchi

E altre massime fuorvianti per la Co.ca.

«Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio»

Don Lorenzo Milani, lettera a Nadia Neri, 1966

Nella mia Comunità capi, diverso tempo fa, facemmo una riflessione sull’uscita dei passaggi che allora mi parve molto illuminata. In pratica eravamo tutti d’accordo che le cerimonie e i momenti dei passaggi dei ragazzi dovessero essere momenti fondamentali, basati sul protagonismo e sulla significatività della loro progressione personale. Diverso invece era il discorso per il “passaggio” dei capi tra le varie branche o il loro saluto al gruppo. Qua non vi doveva essere grande risalto per quello che era stato il ruolo di quel capo in particolare con quei ragazzi, in quanto il ruolo dell’educatore sarebbe poi stato certamente garantito da un altro capo altrettanto valido, il cui mandato era santificato dalla Co.Ca. stessa, e la macchina sarebbe andata avanti come per magia. E anche ai ragazzi andava trasmessa questa leggerezza nel vivere il distacco e nel mettersi nelle mani di qualcun altro, come nel passaggio di un testimone inanimato.
Lo trovavo molto rassicurante, sapete? Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile, no? Il metodo è come un ingranaggio ben oliato che in qualche modo è fatto perché giri da solo. Non importa che si faccia il mazzo proprio lui, che stasera è stanchissimo, o lei che deve fare quel periodo all’estero bellissimo di 8 mesi, o quell’altro che ha ricevuto la promozione che tanto desiderava. Ci dovrà pur essere qualcun altro.

Eppure. Quando è toccato a me lasciare il mio Clan dopo un solo anno per un progetto di servizio mal programmato ed entrato in conflitto con il lavoro, mi si è stretto il cuore. Un po’ come quando guardi quei cantieri lasciati a metà, con i piloni di cemento nudi e beanti verso il cielo, con ancora appeso all’ingresso il cartellone colorato della bella casa che sarebbe dovuta diventare.

E non pensate che io mi sia creduta per un solo attimo una capo fuoco migliore di quella che poi mi è succeduta, eh. Assolutamente no. Solo che la testimone di quei progetti che i ragazzi avevano fatto su loro stessi ero stata io, capite. Io li avevo ascoltati e mi ero consigliata con loro, e insieme ci eravamo ricalibrati sui fallimenti e sui successi. La relazione educativa che si era instaurata sulla strada ce l’avevamo io e Matilde, io e Filippo, io e Antonio.

E allora, ecco, ho pensato che ci sarebbe stata un’altra capo fuoco (per fortuna!) ma non sarebbe stato uguale. Proprio per niente. Perché se quello che educa e fa crescere sono le relazioni, e le relazioni d’amore e di servizio, non si può pensare che la “macchina” giri da sola, così spersonalizzata come ci eravamo detti. Per creare relazioni ci vuole tempo, e fede, e speranza, e pazienza, e progettualità. E capisco che questo possa mentalmente schiacciare un povero capo che si deve barcamenare tra i turni, l’università fuori sede, i figli, le sorprese belle o brutte della vita, ma bisogna accettare di stare in ballo, senza adagiarsi su l’agghiacciante deresponsabilizzazione del “nessuno è indispensabile”. Perché è comodo pensare di potercene andare quando vogliamo ma nelle relazioni non siamo intercambiabili, per definizione. Ed è la relazione che in qualche modo detta il tempo del servizio, e questa ha bisogno del suo tempo per maturare, per poter seguire i ragazzi nel tempo. Quell’“esserci” è l’unica chiave che abbiamo per essere credibili. Ognuno di noi è indispensabile, perché il Signore ci ha messo lì oggi, in quell’anno scout, in quella cambusa, in quel punto della strada, in quello sfogo inaspettato, per essere noi e solo noi. E noi non possiamo che provarci, no?

Tocca a noi
Come vivete la programmazione del servizio in Co.ca.?

[Foto di Margherita Danzerli]

2 Commenti a "NESSUNO È INDISPENSABILE"

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    Flavio Castagno 30 Ottobre 2023 (18:01)

    Ciao! Trovare un equilibrio essere educatore ed essere scout è più difficile di quanto sembri, quando diventi capo. Scusate se ho separato, apposta, queste due definizioni. Mi sono sempre sentito in colpa ad andarmene, a ‘rendermi utile’ in altri luoghi. Col tempo ho imparato però che chi è venuto dopo lo ammetto, ha fatto cose anche migliori delle mie. Perchè, diciamocelo, alle volte ci affezioniamo non solo alle persone (e questo è sia lecito che normale), ma anche al nostro ruolo, e bisogna esserlo nella maniera giusta. Se non è così ci sentiamo sempre indispensabili e abbiamo la sensazione che senza di noi le cose non funzionano più. Eppure nel percorso educativo scout, fin da piccoli, insegnamo ad avere uno zaino leggero, a rendersi utili. Offriamo esperienze di servizio di un anno, perchè maturino scelte di rendersi utili (servizio) via via più profonde. E di questa leggerezza a noi cosa rimane? Attezione, la parola leggerezza non è sinonimo di superficialità. Una comunità capi della mia zona, molto numerosa, ci corse in aiuto e ci diede dei capi se no non avremmo aperto delle unità. Questa è la leggerezza: appartenere ad un gruppo, ma rendersi utile agli altri gruppi in difficoltà.E’ solo un esempio. Di alcuni pensiamo sempre che non siano pronti a sostituirci perchè sono timidi ma alla prima prova, quando non sono più l’ombra di qualcuno, camminano molto bene da soli. Non è che nessuno è indispensabile, è che tutti sono utili e la domanda è: sono utile oppure c’è un altro luogo in cui c’è più bisogno?

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    Simone Russo 25 Febbraio 2024 (20:59)

    Nella branca dei Capi ciascun membro ha la medesima dignità dell’altro, a prescindere dall’esperienza o della formazione.

    Eppure, a volte, o spesso, si innescano certi meccanismi per cui il cambio, spesso opportuno ma a volte necessario, diventa un tabù quando alcuni capi sono convinti che la branca sia “cosa loro”.

    Forse la questione non è che siamo tutti indispensabili, ma che siamo tutti opportuni e legittimati a dare il nostro contributo a qualsiasi branca, perché la branca sono quei ragazzi e ragazze a cui rivolgiamo le nostre attenzioni e il nostro tempo.

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