Incomincia a far fresco. Il momento esatto in cui mettersi i pantaloni lunghi e la giacca a vento. L’arancione del sole al tramonto ricopre le cime alte sulla vallata. Il fiume scorre rumoroso in mezzo al bosco.
Tra le tende, i ragazzi si accrocchiano sui massi che spuntano dal prato, accendono i fornellini, uno urla il suo risentimento verso il menù previsto, un altro cerca affannato quel pezzo di formaggio che – era sicuro – aveva riposto tra le calze in fondo allo zaino. Una serata di route della scorsa estate, appena usciti dalla Vallée des Merveilles sulle Alpi Marittime. Quando si immaginano gli scout, si pensa a scenari di questo tipo. I boy scouts, insomma, in mezzo alla natura.
E in effetti è così. Nello scoutismo è identitario educare vivendo esperienze di vita e di fede a contatto con la natura. Non solo natura da rispettare e custodire, ma realtà con cui entrare in una relazione perché è in grado di educarci. Padre Forestier scrive in Scoutismo, strada di libertà: «Il ritorno alla Vita naturale, il rispetto dei ritmi dello sforzo e del riposo, delle regole della sana alimentazione, il tuffo periodico nel seno delle forze degli elementi naturali, condizionano e rinnovano la salute dell’uomo. L’impregnarsi spiritualmente della Bellezza del mondo insegna il rispetto di un ordine cosmico che ha per corrispondente in noi la legge morale». In altre parole una sana relazione con la natura ci rinnova come donne e uomini, ci rende persone in salute. La bellezza del creato ci insegna a vivere.
Nel nostre comunità parliamo di cura degli ambienti che frequentiamo, le nostre sedi, e di attenzioni verso i luoghi che incontriamo nelle nostre route e nei nostri campi. Ci riteniamo responsabili per il nostro territorio. Improntiamo il nostro rapporto con la materialità a una sobria essenzialità. Leggiamo la natura come creato e sentiamo di essere chiamati a custodirla. Credo che in questo la nostra proposta abbia già lo stile e tutti gli strumenti per rispondere appieno in termini educativi alla crisi ambientale e sociale che il mondo sta affrontando.
Tuttavia corriamo qualche rischio. Il primo è quello di un distaccamento tra le parole e quanto poi viene effettivamente proposto. Pubblicità e mondo commerciale non ci aiutano. All’improvviso tutte le auto sono diventate ibride, tutte le nuove borracce sono di plastica riciclata. Utilizzare ancora i nostri gavettini da lupetto non è la scelta più green? Per non creare una frattura tra quanto diciamo e proponiamo, dobbiamo rivedere e interrogarci su quelle abitudini consolidate nella costruzione delle nostre attività. Ciò non vuol dire partire da zero e non far tesoro delle esperienze e dei nostri compagni di coca. Ma rileggere Patto associativo e Metodo, ripensarci, avere occasioni di confronto in Zona e con capi di altre realtà locali aiuta a pensare in modo creativo. Essenzialità vuol dire solo ridurre? È solo un motto all’insegna dello spendere il meno possibile? Sappiamo che essenzialità diventa uno stile quando si relaziona con la competenza. Il nostro zaino è essenziale e pesa il giusto, solo se non si appesantisce di cose inutili. Sappiamo che i migliori cambusieri non si valutano dallo scontrino della spesa, ma dalla loro esperienza. Nei loro menù non c’è mai purè in busta e wurstel, mentre per noi sono appunto, essenziali. Essenzialità fa coppia con responsabilità più che con risparmio, rispetto al denaro che amministriamo. Non facciamo l’asta al ribasso per le quote del campo. All’ultimo giorno organizziamo un autobus unico per tutti i genitori, riducendo le spese complessive e l’inquinamento ma alzando di pochi euro la quota di ciascuno. Per rivedere abitudini consolidate bisogna pensare in anticipo, guardarsi attorno e farsi aiutare. Così saremo fedeli alla proposta, riempiendo di rinnovati contenuti quelle parole che utilizziamo.
Un secondo rischio è quello di affrontare i temi legati all’ambiente come un capitolo a parte. Ecco quest’anno dobbiamo fare un’impresa sulla raccolta differenziata nella nostra sede e un capitolo sulla crisi ambientale! Il nostro metodo guarda alla persona tutta assieme. Fede, servizio, politica non sono una checklist dell’uomo e della donna della Partenza. Anche la cura del creato esige da ciascuno di noi una risposta non legata al singolo comportamento, ma un rinnovamento a livello personale.
Ecologico, economico, sociale, religioso stanno assieme. Da quando la squadriglia Corvi si prende cura del giardinetto in oratorio sa che lauroceraso non è un insulto, che l’erba non si taglia d’inverno, il global warming non è un problema solo di friday, ma lo capisce da quanto è arida la terra già a febbraio. Allo stesso tempo impara la cura per qualcosa che non è suo, conosce il ritmo delle stagioni, che non coincide con quello dei compiti in classe. C’è un luogo bello, dove qualche E/G se vuole, incidentalmente, può fermarsi, e magari chiedersi dove sarà quando quell’albero sarà alto il doppio. In un momento di fortissima astrazione pensare che quel pezzo di terra è un dono. Addirittura ringraziare. Non oso scriverlo, ma magari ci scappa pure una preghiera.
Al di là dell’esempio banale, questa è la grande potenzialità del nostro metodo, guardando al bambino e al ragazzo integralmente e immaginandoci le possibili dimensioni nelle proposte che viviamo assieme a loro. Se vissuta con energia, la realtà va spesso oltre le nostre programmazioni. Dobbiamo inventarci ben poco. La ricchezza del nostro metodo, attraverso una semplicità solo apparente delle esperienze che proponiamo, è straordinaria. Ancora di più se osserviamo e ascoltiamo la natura che ci circonda nelle nostre attività e viviamo in relazione con essa. Allora noi e nostri ragazzi saremo rinnovati, come diceva Padre Forestier, e davvero ogni occasione sarà propizia ed educativa. Con l’enciclica Laudato sì Papa Francesco ci chiede di avventurarci in un territorio che per noi è tutt’altro che inesplorato, ma con un richiamo forte in termini di consapevolezza, impegno e prontezza nella risposta. Dobbiamo sentirci responsabili del nostro «Amano e rispettano la natura». Ecologisti, ma in secondo luogo. Innanzitutto donne e uomini come la Partenza ci propone. Con rinnovato sguardo di speranza e con mani abili che lavorano nella quotidianità dei nostri gruppi e delle nostre attività, stiamo attraversando questa complessa crisi socio-ambientale. Se ci documentiamo sappiamo che l’impresa è ardua perché la crisi è profonda e i margini di intervento si riducono. Dobbiamo tuttavia fare la nostra parte, consapevoli che l’educazione è fondamentale, perché è l’unico modo per cambiare le persone invece che correggere un singolo comportamento. Con gioia e speranza nel cuore perché, come ci ricorda Papa Francesco, questo impegno ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce a una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questo mondo. In route prima di chiudersi in tenda si ha sempre un po’ di apprensione. Questo campo sarà di qualcuno? L’erba è alta, che animali ci sono? Da che parte tira il vento? Non ho visto bene se siamo in una conca… Ci accompagna un po’ di timore, dettato dal rispetto verso la montagna e la natura che ci circonda. Sapere che si è custodi di quel pezzo di mondo, solo per poco, per una notte. Nella quotidianità mi piacerebbe coltivare questo sentimento. Spesso penso che la natura, questa casa, questo quartiere, questo prato siano di mia proprietà e disponibilità. In realtà, ho solo piantato la tenda per poco tempo, sperando di esserne un custode generoso e responsabile.
[Foto di Nicola Cavallotti]
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