Lo scouting altrove

[di Marco Gallicani]

Vivessi sempre come al campo estivo avrei anzitutto la barba molto più lunga perché la cronica mancanza di specchi mi rende decisamente più pigro nell’uso della lametta. Quando sono al campo mi alzo prima dei ragazzi, bevo il caffè e intanto metto su la colazione.

Poi sveglio i ragazzi, gli lascio un qualche minuto di incoscienza – che alla fine dei conti non siamo ad un campo avventura e non devono scontare nessuna pena – faccio fare loro un po’ di stretch, li lascio lavare e fare colazione. Le ultime due cose le fanno spesso senza dar loro il giusto equilibrio, ma è sempre colpa della cronica mancanza di specchi.

Vien da dire che sarebbe ben bello se tutta la vita avesse i ritmi che lo scouting suggerisce ai campi estivi, dove non solo hai il tempo, ma persino la voglia di osservare, poi dedurre e in seguito agire. Io nella vita di tutti i giorni spesso non ho nemmeno il tempo per accorgermi che viene sera. Magari voi siete più bravi di me. Sicuramente, voglio dire.

Ma vivessi sempre come al campo estivo forse non avrei capito molto di quello che i campi estivi mi suggeriscono. Voglio dire che la questione che pongo al centro di questa riflessione è che a me non sembra di tralasciare il percorso dello scouting nei giorni feriali. Solo che lo percorro diversamente, non solo quindi più frettolosamente. Magari sbaglio, ma a me sembra che nel momento in cui scelgo le cose da fare in ufficio, il cibo da comperare al supermercato, i pannolini per il mio gioiello, i libri da leggere la sera, il posto e il modo in cui vivrò le mie vacanze estive, ecco io ho comunque quel metodo ben piantato nel cervello e quindi
1 – osservo che c’è molta più varietà di quanto possiate pensare nello scaffale dei pannolini,
2 – deduco che forse non è il caso di continuare ad inquinare come se il ‘900 fosse agli inizi, o di contribuire allo sfruttamento dei bambini africani come se la famosa società svizzera non fosse (ancora, si ancora) sotto boicottaggio organizzato,
3 – e poi agisco, cercando di contribuire, nel piccolo di ogni scelta minuta al famoso bene comune a cui Proposta Educativa ha persino dedicato un monografico. E a cui mi richiamano la mia promessa e il mio Patto Associativo.

E di ambiti in cui si può esercitare lo scouting nella vita della vita famigliare ce n’è a iosa. Inutile snocciolarle come fossero un elenco della spesa, ognuno ha le sue. Così come succede nella vita di parrocchia (se ne frequentate una) o nella vita associativa (se non fate solo gli scout) o negli impegni che ci si prende con la comunità dove si vive (se non credete che tanto sia tutto un “magna magna”). Ognuno di noi ha una vita piena di impegni e relazioni, immediate o mediate dalle tecnologie sociali. In ogni singola occasione, analizzatele a ritroso, vedrete che – al netto di quelle millemila volte che eravate fuori forma come solo noi sappiamo essere per i più stupidi motivi – avrete applicato un metodo che da ragazzi vi avevano spiegato con l’uso di una corda o di una bussola. E che ora invece vi torna utile sui social network.

Già, i social network. Si potrà fare scouting anche li? Lo abbiamo chiesto ad uno che di scouting magari se ne intende poco, ma di internet tantissimo.
Si chiama Massimo Mantellini ed è anzitutto un simpatico ed affabile romagnolo di 50 anni. Paga le bollette “facendo molte cose”, quasi tutte bene aggiungo io: per lo più pensa e scrive di tecnologia perché è uno di quelli che internet non solo lo ha visto nascere, ma gli ha pure fatto gli esami della crescita.

1. Cominciamo dalla base: quanto sai di scautismo, moderno e non? Se dico scouting cosa ti vien in mente?
Poco. Sono stato lupetto e poi scout per qualche anno durante l’adolescenza ma ho l’impressione che lo scoutismo della mia parrocchia fosse a quei tempi una cellula deviata in mano a Comunione e Liberazione. Comunque sia degli scout so abbastanza poco.

2. Eppure quando – ne “La vista da qui” – parli di quanto fertile sia la navigazione a vista su internet e di quanto potenziale ci sia nel dare ai ragazzi qualche dritta per farlo con curiosità e metodo sembra proprio che parli di “scouting”
Non ho mai ragionato in questi termini ma certamente se lo scouting è – come immagino – un processo di ricerca ed affinamento, Internet è oggi un luogo fenomenale nel quale provare a sperimentarlo. Ed offre anche la grande elasticità di essere utile per l’esplorazione di chiunque riguardo a qualsiasi tema. Internet è una sorta di labirinto enciclopedico.

3. Agli scout ovviamente non capita mai, perché notoriamente dormono con la bussola sotto il cuscino, ma forse si può fare scouting perdendosi?
Certamente. I flâneurs francesi di fine ottocento pensavano che la conoscenza passasse per l’osservazione lenta e svagata dell’inconsueto. Io credo esista una sorta di flâneurismo digitale nascosto dietro il mistero di un link. Il web in fondo è un groviglio di continui incroci e assomiglia molto ai vicoli di una città. Perdersi è un attimo e spesso è un’esperienza affascinante. Nello stesso tempo noi oggi abbiamo forse meno tempo di quando non ne avessero Baudelaiere e i suoi amici a spasso per i Parigi, quindi anche la bussola certamente è importante. E nel caso di Internet la bussola spesso è uno strumento di complicata decodifica. Navigare in rete insomma è un processo che si impara e che richiede accortezza.

4. Se si pensa al modo italico di approcciare la rete vengono subito spontanee alcune osservazioni riguardo la quantità (di persone che usano internet, da pc o mobile) e di qualità (della navigazione e del suo utilizzo per la vita quotidiana). È questo che i tecnici chiamano “digital divide” e “cultural divide” ?
Esiste un generico divario digitale, vale a dire la condizione di chi non può connettersi a Internet. Assumendo che Internet sia oggi un presidio indispensabile delle società avanzate (per molte ragioni, riunite tutte dall’essere indipendenti della nostra grande o piccola fiducia nello strumento) la difficoltà o la mancanza di collegamento può essere causata dall’infrastruttura (per esempio in molti Paesi africani l’accesso è in gran parte su rete mobile per la mancanza delle linee fisse) o può essere dovuta ad una scelta individuale. In questo secondo caso parliamo di divario culturale. In Italia per esempio esiste un divario infrastrutturale di media entità (gli italiani che possono essere connessi in larga banda superano il 90% come in molti Paesi europei) e un divario culturale gigantesco. In altre parole quasi un italiano su due pensa che Internet non gli serva e questa è la ragione largamente predominante per cui siamo un dei Paesi europei meno connessi a Internet. Io credo da tempo che questo ritardo sia uno dei principali problemi che condizionano la crescita complessiva dell’Italia.

5. Si dice in rete che “Every company is a media company” quindi credi che valga anche il parallelo “Every association is a media association”? O che “every person is a media person”? L’idea che internet sia in fin dei conti tutto “social” è una deviazione o una evoluzione della sua missione?
Internet è da sempre un luogo sociale. E lo è per la semplice ragione che gli esseri umani sono animali sociali e la rete è una loro estensione. L’interfaccia Internet che utilizziamo più frequentemente, vale a dire il web, è nata come strumento di scambio culturale fra accademici dentro pagine che potevano essere non solo lette ma anche editate. Per un decennio, a cavallo del secolo scorso, è prevalsa la logica broadcast del web “vetrina” per la semplice ragione che un simile contesto era più simile a quello che i media che utilizzavamo prima ma il www già dalle sue origini era un ambiente bidirezionale, pagine da leggere e da scrivere contemporaneamente. Le piattaforme di rete sociale che sono arrivate in seguito non hanno fatto altro che mettere in pratica questa idea in un formato relazionale adatto a chiunque.

6. A volte si ha la sensazione che gli uomini del nostro tempo siano in preda ad una vera e propria ansia comunicatrice. Sembra anche a te? Come si può gestire al meglio l’imprescindibile valenza pubblica dei nostri gesti?
Prima del web, la piattaforma più utilizzata in rete era Usenet: un fitto groviglio di gruppi di discussione e forum tematici che si reggevano dentro un sistema di autoregolametazione molto affascinante chiamato “netiquette”. Usenet era un luogo scarsamente rappresentativo della popolazione generale (negli anni 90 erano in rete solo alcune categorie di persone ben identificabili, accademici, smanettoni, programmatori ecc) ma già allora era chiara questa “ansia comunicativa”. Io penso che i contesti comunicativi che Internet consente siano molto più complessi e stimolanti di quelli che ci erano offerti in passato. Da questo discende ovviamente una nuova inedita responsabilità della propria presenza in un ambiente digitale pubblico che richiede cautele e competenze.

7. Come si passa da internet alla vita reale e come internet ha dimostrato la sua utilità nello scouting della vita quotidiana?
Io non vedo punti di discontinuità. Per molti anni è andato di moda utilizzare termini come “virtuale” o “cyber”. Erano espressioni che insieme a molte altre marcavano una distanza. Oggi questo spazio se mai è esistito è stato colmato ed essere in rete è semplicemente una parte (sempre più rilevante) della nostra vita reale. Oggi quando ascoltate qualcuno dire “virtuale” potete subito catalogarlo fra quelli che ancora non hanno capito.

8. Nel libro, ma in generale in quello che hai detto in questi anni sembra si dica che il nuovo orizzonte digitale sia quasi un prisma attraverso il quale guardare gli elementi della società che provano a cambiare e quelli che non ne vogliono sapere. È cosi?
Sì. Io credo che uno dei limiti rilevanti della nostra distanza da Internet sia quello di immaginare la rete come un luogo altro nel quale succedono cose differenti. Se iniziamo ad immaginare la nostra vita digitale come una forma di una nuova normalità allora quel prisma che oggi a molti sembra uno sguardo sghembo ed innaturale può trasformarsi nella nostra finestra sul mondo. Non l’unica ovviamente , ma una vista comunque molto interessante.

LA VISTA DA QUI
Massimo ha appena finito di scrivere un libro che sembra parlare (appunto) di tecnologia e reti, ma che in realtà è un bel punto della strada di come siamo arrivati dove siamo (come società italiana) e di cosa potremmo fare da qui in avanti, anche grazie alle nuove tecnologie. Insomma parla di noi, e quindi anche un po’ degli scout. Il libro è “La vista da qui” (lo pubblica Minimum Fax e costa una decina di euro). La conclusione merita di essere riportata: “Dovessi dire a cosa serve internet oggi direi che per ognuno di noi serve a qualcosa di diverso. Osserviamo le stanze della nostra vita quotidiana: io passo di fronte alle cinquecentine sul monitor di mia moglie, schivo le orrende canzoni che le ragazze ascoltano su YouTube, esco di casa e controllo cento volte la posta o Twitter sul cellulare. Ma so che tutto questo è nulla rispetto a quello che ci accadrà domani. Dovessi dire a cosa serve internet oggi direi che tutto sommato io, da solo, non lo so. E che questo libro avrebbe bisogno di un’ultima pagina bianca da aggiungere in fondo. La pagina dopo questa dove tu, che sei arrivato fino qui, possa scrivere due righe, o scarabocchiare qualcosa, o tracciare una curva o una freccia che spieghino a cosa serve internet. Poi chiuderai il libro, lo metterai via e te ne dimenticherai. E sarà tutto come prima. Anche se sarà un prima che, per nostra fortuna, non esiste più”

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