L’illusione di non avere limiti

di Padre Roberto Del Riccio Assistente ecclesiastico generale

Pensare di poter controllare tutto fa sentire sicuri ma è un delirio di onnipotenza. Il pericolo non è la nostra nudità, ma il non accettarla e, vivendola male, rifiutarla. È capitato anche ad Abramo, Maria e Giuseppe…

Molte illusioni ci accomunano agli uomini e alle donne che nella storia ci hanno preceduto.

C’è però illusione e illusione. È un’illusione guardare un bastone immerso in uno stagno e vederlo spezzato. In casi simili non è difficile constatare che le cose non stanno così come appaiono. Basta una verifica empirica. Tiro fuori il bastone dall’acqua e mi accorgo che non è per nulla spezzato. La pandemia causata dal Covid-19 ci butta invece in faccia un altro genere di illusione. È quella che nasce dalla negazione del limite.

Come tutti coloro che hanno vissuto prima di noi sono costantemente caduti in questo genere di illusione, così anche i membri del popolo di Dio. Da Abramo e Sara, passando per generazioni e generazioni di discepoli fino a Maria e Giuseppe, gli apostoli e i membri delle prime comunità. Nemmeno loro fanno eccezione. Lo dimostrano le tante pagine bibliche che con racconti o testi poetici mettono in scena e portano a parola la trappola, rappresentata dall’illusione, e le sue conseguenze nefaste. Come l’angoscia che provano, per esempio, Maria e Giuseppe, quando di ritorno a Nazareth dopo un pellegrinaggio a Gerusalemme si accorgono che Gesù dodicenne non è in viaggio con loro nella carovana e non sanno dove sia. Gesù si è comportato, come loro non si aspettavano facesse. Alla loro domanda risentita «perché ci hai fatto questo?», con sorpresa si sentono rispondere: «Sono qui per una missione e non per soddisfare le vostre attese». Sono così riportati da Gesù a considerare il loro limite e scoprono di essere di fronte a qualcuno che si erano illusi di conoscere e controllare totalmente.

Le pagine bibliche ci ricordano tuttavia non solo che l’illusione è una trappola sempre presente, ma soprattutto ce ne mostrano la radice profonda: credersi capaci di abbracciare il tutto, non riconoscendo che è il tutto a contenere noi. Ciò diventa concreto nel modo in cui ci si pone di fronte a una tipica capacità di noi essere umani, cioè quella di conoscere le cose e agire su di loro. Grazie a essa ciascuno di noi è in grado di trasformare il mondo, rendendolo migliore di come lo ha trovato. È quella capacità che nell’arco della storia ci ha consentito, per esempio, di volare, pur non avendo la costituzione corporea adatta a questo scopo. Che ciascuno di noi possieda questa capacità è una verità indiscutibile. “Usando” la capacità di conoscere alcune cose e agire su di loro possiamo, però, compiere un passaggio, che rappresenta come un punto di non ritorno. È il momento in cui dal poter conoscere e controllare le singole cose si passa al credere di poterle e, soprattutto, di volerle conoscere e controllare tutte e tutte insieme. Come se una voce interiore suggerisse che, solo perché esiste la possibilità di avere la conoscenza e il controllo di alcuni elementi in gioco, possiamo porci nello stesso modo nei riguardi della totalità di essi. Il rifiuto del nostro essere limitati appare qui, quando applichiamo a tutte le cose nella loro totalità una capacità che vale solo per alcune di esse e solo in determinate circostanze. Questo atteggiamento, pur dando solo l’illusione di controllare tutto, fa sentire sicuri e placa l’ansia, come se davvero avessimo potere sulla realtà tutta intera. È un vero e proprio delirio di onnipotenza.

La dinamica appena descritta non vale però solo per i singoli individui. Fosse così, evitare di farsi prendere la mano dal delirio di onnipotenza sarebbe una questione esclusivamente privata. Al contrario, la determinazione ad abbracciare la totalità delle cose e ad agire di conseguenza si è insinuata più e più volte in quella mentalità specifica di ogni gruppo umano, che si chiama cultura. La radice dell’illusione si trasforma quindi da una questione privata a una sociale, politica ed educativa, perché la cultura condiziona il modo di abitare il proprio pezzo di mondo. Quando poi il mondo è diventato un villaggio globale e la sua cultura ha cominciato a essere quella di tutti i suoi abitanti, si è globalizzata anche l’illusione di cui il delirio di onnipotenza è la radice.

La pandemia provocata dal Covid-19 ci ha fatto toccare con mano tutto questo. Come nel racconto della Genesi così anche a noi oggi si sono aperti gli occhi e ci siamo accorti di essere nudi. Anche noi come i personaggi del racconto proviamo vergogna davanti a questa nudità, che rappresenta il nostro limite. Dio però ci vuole ancora una volta rassicurare della bontà della nostra nudità e in Gesù la fa propria. Nudo come un bambino nasce dal grembo di una donna e come un uomo inchiodato a una croce muore nudo. Perché il pericolo non è la nostra nudità, ma il non accettarla e, vivendola male, rifiutarla.

Foto di Andrea Pellegrini

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