Perché facciamo i capi? A cosa serve? Quali sfide raccogliamo nell’affascinante tentativo di riscoprire la vocazione dell’associazione, nella quotidianità convulsa e precaria della nostra società?
Ecco alcune domande che ci invitano a scavare in profondità dentro di noi e nelle motivazioni del nostro servizio, a riscoprire il significato autentico di parole forti che rischiano di risuonare come slogan vuoti rilanciati sui social, senza comprenderne il meritato valore e la vigorosa potenza. Ripartire dal termine vocazione nel suo significato semantico di “chiamata” sembra un po’ poco… e accontentarci di fare cose scontante non è certo nel nostro stile!
È allora il momento di rileggere il Patto associativo per riscoprirne i valori e confrontarli con la nostra vita di capi e di associazione, insomma di specchiarcisi attraverso per guardare meglio dentro di noi! Un po’ come se il Patto associativo fosse scritto su uno specchio: nel leggerlo ci sentiamo interrogati e modificati dai valori del Patto, nel vedere l’immagine riflessa capiamo meglio a cosa vogliamo tendere, come singoli capi e come associazione. Il nostro desiderio di abbracciare l’educazione come campo di azione è di fatto una scelta assoluta e irrinunciabile che ci deve rendere capaci – con determinazione, impegno e anche un po’ di fatica e sacrificio – di esercitare il nostro servizio come un’arte, una condizione di vita.
Questo stile ci guida a guardare con occhi sempre nuovi il mondo e la società che ci circonda, sia quella lontana, sia soprattutto quella vicina dei nostri paesi, città e quartieri. Ci spinge a diventare capaci di leggerne i bisogni e individuare delle azioni concrete da attuare. Lanciamo allora un invito: riscopriamo e valorizziamo la bellezza di elaborare un Progetto Educativo di Gruppo semplice ed efficace per il territorio che viviamo, facciamolo con impegno e onestà intellettuale, senza cedere a superficialismi di facciata: è un’espressione fondante del nostro servizio vissuto nel suo significato vocazionale.
Notiamo che la parola “servizio” sembra oggi diventata desueta nel suo significato: il termine “servo” è logoro e disprezzato. Per noi è invece l’indicazione del modo naturale di comportarci e non è affatto umiliante! È una parola che vogliamo riscoprire e riscattare alla luce del Vangelo e della parola di Dio e avere chiaro che servizio viene da “servitum” opera del servo che risponde in un atto di obbedienza al suo signore. Si fa servo colui che per amore risponde a una chiamata, a una missione: per noi la missione di educare. Così cambiamo il mondo e lo lasciamo migliore di come l’abbiamo trovato.
Naturalmente non si tratta di un compito semplice. Un aiuto arriva di chi ha percorso la nostra strada prima di noi e ci ha lasciato delle tracce. Si tratta di ritornare ai fondamenti, all’esperienza dei maestri che hanno fatto nascere lo scautismo. Baden-Powell ci ha lasciato i suoi scritti che illuminano la nostra azione educativa, non perdiamoli mai di vista per farci ingabbiare da regolamenti e attività complicate: lo scautismo è un gioco semplice. Padre Sevin ha saputo coniugare l’intuizione educativa illuminandola alla luce del Vangelo: è anche grazie a lui che oggi esiste lo scautismo cattolico, dove la spiritualità scout è la strada che ci aiuta a scoprire che Dio è accanto a noi nella vita di ogni giorno. Rileggere e approfondire le fonti è un’occasione di formazione permanente personale che ci aiuta a sperimentare il tempo lento della lettura, della meditazione e del silenzio, contrapposto al tempo veloce della chiassosa interconnessione multimediale che viviamo ogni giorno.
Un altro aiuto arriva direttamente dalle parole del Patto e da quanto proviamo a guardare dentro di noi e a metterci in discussione:
Crediamo sia necessaria una rinnovata fedeltà nell’adesione ai fondamenti di Promessa e Legge, fatta da quella radicalità che don Giovanni Barbareschi, uno dei maestri dello scautismo italiano e ultima Aquila Randagia che ci ha da poco lasciati, ci ha indicato. Vivendo con passione educativa la nostra azione quotidiana di capi, potremo accettare più serenamente i nostri limiti e le nostre inevitabili mancanze, che talvolta ci rendono rinunciatari e tiepidi.
Apriamo il nostro cuore alla Speranza, lasciamoci guidare da Cristo, dal soffio vitale dello Spirito Santo, cerchiamolo negli occhi delle ragazze e dei ragazzi che desiderano un futuro più felice. In conclusione, la vocazione della nostra Associazione è contribuire, secondo il principio dell’autoeducazione, alla crescita delle ragazze e dei ragazzi come persone significative e felici. Essere persone significative vuol dire sapersi assumere responsabilità e disporre di personalità autonoma. Vuol dire avere idee proprie e coraggio di portarle avanti nella società e nella Chiesa, non solo per costruire la propria vita, ma per contribuire allo sviluppo di quella degli altri. Del resto, come ha scritto B.-P. nell’ultimo messaggio che ci ha lasciato, “il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri”. Ed è proprio questa la vocazione dell’AGESCI: essere felici procurando la felicità degli altri.
[Foto di Nicola Cavallotti]
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