Il coraggio di attraversare il ponte

di Carmelo Caruso - Capo Gruppo Paternò 3, Zona Etna-Alto Simeto

Riflessioni al rientro dal Convegno Zone

Tra tutte le sue invenzioni nel campo dell’ingegneria, il ponte autoportante di Leonardo da Vinci è sicuramente la più geniale, per semplicità, praticità ed efficacia, facile da trasportare e mettere in opera. È composto da travi assemblate senza l’impiego di legature o incastri e, una volta montato, riesce a rimanere stabile sfruttando il peso degli stessi elementi che lo compongono, i quali, chiudendosi a forbice, si mantengono fermi gli uni con gli altri. La cosa simpatica, infine, è che la stabilità di questo ponte cresce con l’aumento del carico che vi si applica sopra.

Forse è per questo che l’Associazione vi si è ispirata per dare il nome alla riforma che avvicina i territori al livello nazionale, in cui si prendono le decisioni e si esercita il “potere legislativo” associativo. Infatti, essa rende più semplici, snelli e diretti i percorsi deliberativi, riducendo le legature e gli incastri che spesso rallentano i tempi decisionali, rende più solidali gli elementi, facendoli sorreggere gli uni sugli altri e, soprattutto, funziona meglio quando c’è un bel carico di contenuti che vi si poggia sopra.

La cosiddetta riforma Leonardo, in soldoni, sposta la centralità, in termini di potere decisionale e di indirizzo, verso il livello della Zona. Per avvicinarvi – si legge nel documento “Il Coraggio di farsi ponte”- queste dinamiche, percepite sempre più spesso come lontane ai territori, alle Comunità Capi e ai ragazzi, così che potessero più efficacemente rispondere alle loro esigenze.

A proposito, sono appena rientrato dalla prima uscita di Comunità Capi di quest’anno. Siamo alle prese con il nuovo Progetto Educativo e iniziamo a programmare le attività di Co.Ca. dei prossimi mesi per rimetterci sulla strada. In questo marasma di programmi, attività, esigenze, obiettivi e calendari, è balenata oggi, improvvisamente, e brevemente, una data, per poi fuggire via sommersa da tutto il resto: l’Assemblea di Zona. “Quanto riusciremo ad arrivare motivati, preparati e consapevoli a questo appuntamento di partecipazione alla vita associativa?” È la domanda che immagino puntualmente tutti gli anni ogni capogruppo si pone, e che anche io in questi ultimi 3 anni da capogruppo mi sono posto.

E, puntualmente, nei pensieri che in gran parte dei Capi l’appuntamento dell’Assemblea di Zona suscita: “Quando è l’Assemblea? Ma che si deve fare? Si deve eleggere qualcuno…E poi? I soliti discorsi, qualche battibecco in plenaria e quella noia mortale del bilancio da votare con le palettine…”

Quindi, alla fine, che sarà mai saltare un’Assemblea di Zona? Quello che conta nel nostro servizio sono i ragazzi! Tutto il resto è una roba lontana dalla nostra azione educativa con loro, e quindi di secondaria importanza. Aspettate un attimo! Ma.. non è più così con la riforma Leonardo! O almeno non dovrebbe…

Lo scorso settembre ho avuto la fortuna di partecipare al Convegno Zone a Loppiano. Nel verificare il funzionamento della nuova riforma, ci si è interrogati su come l’Associazione abbia vissuto questo cambiamento, e in particolare come lo abbiano fatto le Zone, che ne sono protagoniste, cosa nei fatti è cambiato nel nostro modo di essere associazione, al di là della mera elezione dei consiglieri generali in Zona come diretti rappresentanti di questo livello associativo. Inutile dirvi che, salvo qualche meritevole eccezione, tutto il mondo è Paese, anche se sarebbe più opportuno dire in questo caso che tutto il Paese è Zona. Insomma, mi è sembrato di capire che questo strumento non lo abbiamo ancora messo a frutto fino in fondo.

Diciamoci la verità, non sempre nelle nostre Zone vediamo brillare un diffuso slancio partecipativo, di protagonismo, di interesse da parte di tutti i Capi. Scarsa a volte è la partecipazione, e con essa anche la consapevolezza e l’attenzione prestata ai lavori assembleari da coloro che vi partecipano. Forse, chissà, complice è anche la cultura contemporanea, del disinteresse e del disimpegno. Cultura rispetto a cui noi, però, come educatori e testimoni credibili, siamo chiamati dal nostro Patto ad essere controcorrente.

L’associazione ci ha dato uno strumento per poter finalmente avvicinare ai nostri ragazzi le decisioni che saranno incisive sulla nostra proposta educativa, al punto da metterle addirittura nelle nostre mani. Bisogna comprendere che, oggi più di ieri, la partecipazione associativa diventa una forma di servizio importante per i nostri ragazzi, che ci porta a interrogarci su come servirli, su dove vogliamo andare come associazione insieme a loro, su come la vogliamo pensare su determinati temi di cui dobbiamo essere per loro testimoni, su come affrontare l’evoluzione culturale della società e la conseguente necessaria evoluzione degli strumenti metodologici con cui ci confrontiamo quotidianamente con loro.

Siamo chiamati a contribuire in modo più diretto con la nostra esperienza, le nostre idee e, perché no, le nostre intuizioni, a formare questo pensiero associativo, senza più delegarlo ad altri livelli associativi, perché possiamo sentirlo finalmente più nostro e incarnarlo più naturalmente nel nostro servizio educativo. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi, e ci siamo impegnati a farlo con il Patto Associativo.

La sfida di Leonardo allora è lanciata: dobbiamo costruire una nuova cultura della partecipazione democratica alla vita associativa, consolidarla e ravvivarla nelle nostre Zone e a partire dalle singole Comunità Capi. Si tratta di quel carico di contenuti che, applicato sul ponte, lo rende più solido e stabile. Il coraggio di farci ponte lo abbiamo avuto, ora dobbiamo avere il coraggio di attraversarlo.

 

[Foto Andrea Pellegrini]

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