Iperoccupati

Lavorare stanca, scriveva Pavese.

Erano gli anni Trenta del secolo scorso quando il giovane operaio di cui parla la poesia fugge dal lavoro perché ha sentito l’arrivo della primavera. Corre a sdraiarsi sulle colline, sopraffatto dalla fatica mentale e dalla fatica fisica del lavorare. Una storia possibile nell’Italia del 2014, con 3 milioni 307 mila disoccupati (più 9 per cento rispetto al 2013)?
No, perché, per quanto possa essere paradossale, oggi nella nostra penisola ci sono anche persone che lavorano troppo. Si chiamano iper-occupati, nessuna statistica parla di loro, ma sono coloro a cui il lavoro – troppo e troppo pervadente – rischia di inghiottire la vita.

Iper-occupati si diventa: a volte per scelta, a volte per necessità. Si sceglie di lavorare 10-12 ore al giorno perché si punta sulla carriera e si vogliono ottenere risultati di successo. Oppure si sceglie di essere disponibili a trasferte last minutes, turni domenicali e assenza di orari perché la fame di lavoro è tanta o, peggio ancora, il ricatto del “se non ci sei, uno come te lo trovo oggi stesso” non lascia scampo.

Così ci si trova a uscire presto di casa e a rientrare quando i familiari sono già a letto, a saltare pasti e, soprattutto, a non avere la possibilità di programmare e pensare ad altro. Perché, volenti o nolenti, alle condizioni dell’iper-occupato la mente può pensare solo al lavoro. Lavorare, lavorare, lavorare.

E i capi iper-occupati, esistono? Sì, eccome. Spesso si tratta di capi che da poco si sono affacciati al mondo della professione. Finalmente un lavoro, magari dopo anni intensi (a volte sofferti) di università… E poi ce lo diciamo fin da quando siamo piccoli: del nostro meglio. E allora lo scout si dà da fare. Investe. Dedica tanto tempo all’impiego perché, soprattutto quando si inizia un percorso nuovo, il lavoro diventa la priorità. Se poi è precario, a partita Iva o collaborazione, l’ansia  di non perdere le occasioni fa dire sì a tutte (o quasi) le proposte di incarico. E poi non era mica lo scautismo che insegnava a non perdere le occasioni, anzi a cercarle? Ad avere buona volontà, a pensare di poter sempre dare qualcosa in più? Tra l’altro con l’occhio lungo di chi cerca di costruirsi un futuro, e non dice di no perché teme di arrancare: anche nel lavoro lo scout butta il cuore oltre l’ostacolo!Così per qualche mese tutto sembra filare, si va avanti in automatico, anche perché non c’è il tempo per fermarsi e fare il punto.

Poi però i nodi vengono al pettine. Prendere impegni diventa un’impresa ardua se non impossibile. O meglio, si programma ma poi gli appuntamenti, anche i più sacri, saltano. Cominci a perdere Zona (“sono le 21.15, ora che arrivo sono le 21.45… avrà mica senso andare all’incontro per 45 minuti, e poi come seguo….a stomaco vuoto”), poi all’ultimo avvisi che, “sei mortificato, ma Coca inizia fra 10’ e tu sei ancora al lavoro”, e un giorno salta anche staff. La sera che non riesci ad andare a riunione con i ragazzi la crisi è conclamata e il capo iper-occupato entra nel tunnel dell’autocritica nera. Se non riesco a tenere un impegno con i miei ragazzi, forse non sono più in grado di fare un buon servizio. Cerchi conforto in comunità capi.

Chi ti ha sempre sostenuto, anche nei primi tempi da iper-occupato, comincia a storcere il naso. Spesso sono i capi più giovani, che magari stanno ancora studiando, e non si capacitano di come il servizio possa venire dopo il lavoro… Poi ci sono i capi più anziani, lavoratori, che sanno che per prendere il ritmo e riuscire a sentirsi sicuri di sé, guadagnare la stima dei capi e infine far valere le proprie esigenze personali al lavoro… serve un po’ di pazienza. In mezzo, l’iper-occupato rimane solo con i suoi grattacapi: investe sul futuro ma si sente inerme sul presente. L’essere l’iper-occupati incide anche sull’essere capo!

Trovare i tempi giusti tra lavoro, famiglia, servizio, amici e affetti non è mai facile. D’un tratto riemerge il progetto del capo, scritto  a inizio anno e, negli ultimi mesi, abbondato sulla scrivania fra carte e fogli A4 stampati solo su un lato (eh sì, il capo iper-occupato stampa in ufficio senza alzarsi per impostare il fronte retro… proprio lui che della difesa dell’ambiente aveva fatto una sua bandiera). Il capo iper-occupato scuote la testa: a quel tempo il lavoro era un miraggio, sarebbe stato disposto a tutto pur di trovare un impiego, anche a lavorare giorno e notte, nella convinzione che se ci si riesce a organizzare, e staff e coca sono comprensivi, qualsiasi limitazione legata al lavoro non è mai problema. Ora però che è tempo di rilanciare il proprio servizio, i pensieri si fanno foschi.

L’iper-occupato può fare il capo?Pensiamo al Vangelo. Nella sua predicazione Gesù stesso invita i discepoli ad apprezzare il lavoro. Lui che lavorò per gran parte della sua vita terrena come carpentiere, condanna il servo fannullone che sotterra i talenti (Matteo 25, 14-30), si dà da fare di sabato e compie guarigioni nel giorno di riposo. Gesù era un gran lavoratore!Allo stesso tempo però, Gesù insegna ai suoi discepoli anche a non lasciarsi asservire dal lavoro: guadagnare il mondo intero non è lo scopo della vita. «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano» (Matteo 6,19-21).

Ricordate il versetto seguente? «Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Prendiamoci tempo, anche se siamo capi iper-occupati, e cerchiamo innanzitutto di capire dove è il nostro tesoro. Il resto, soluzioni, strategie e compromessi compresi, verrà da sé. Anche se siamo iper-occupati. [scritto da Laura Bellomi]

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